L’ultimo imperatore, un film epico e biografico del 1987, diretto da Bernardo Bertolucci, con John Lone, Joan Chen, Peter O’Toole, Vivian Wu, Ying Ruocheng. Il soggetto trae spunto da Sono stato imperatore, l’autobiografia di Pu Yi. Kolossal di successo mondiale, segnò una svolta decisiva nella carriera del regista e ricevette un vasto numero di riconoscimenti, tra cui nove Oscar e nove David di Donatello. Il film andò in onda in versione estesa, in prima visione televisiva italiana, il 17 e il 18 dicembre 1989 alle ore 20:30 su Rai 1. Il film ha ricevuto il rarissimo permesso, soprattutto per un regista non cinese, di fare le riprese entro le mura della Città Proibita, dove gran parte della vita di Pu Yi ha avuto luogo, divenendo di fatto il primo film occidentale in cui si mostra l’autentica ambientazione della corte imperiale cinese. In previsione del film Bertolucci arruolò circa ventimila comparse e trecento tecnici tra italiani, inglesi e cinesi, che lavorarono sul set per circa sei mesi. Il blocco di riprese totali ebbe luogo tra il 28 luglio 1986 e il 30 gennaio 1987. Oltre che in Cina, a Pechino, le riprese si sono svolte anche negli studi di Cinecittà a Roma. Il film grazie ai notevoli incassi e al trionfo alla notte degli Oscar segnò una sorta di riscatto dei film storici, o del cinema-spettacolo nella tradizione di Cecil B. DeMille. Il film uscì in Italia il 23 ottobre 1987 e negli Usa il 18 novembre. Gli incassi furono notevoli: la pellicola raggiunse quasi 44 milioni di dollari negli Stati Uniti, e in totale incassò oltre 78 milioni di dollari. In Italia fu il 1° film per incassi della stagione 1987-88.
Sinossi
Nel 1908 a Pechino, l’anziana Imperatrice vedova, prossima a morire, si fa portare il piccolo Pu-Yi. Ultimo della dinastia Ching passerà la sua infanzia nella mitica città, signore e padrone assoluto di uno sterminato Impero. La volontà di governare prende il sopravvento e spinge l’ormai ragazzo a compromessi: il Giappone ha occupato la Manciuria, terra natia di Pu-Yi. Pu-Yi è proprio al centro della Storia con la s maiuscola. Finita la guerra e caduto in mano sovietica Pu-Yi trascorre, dopo la seconda guerra mondiale cinque anni in Siberia; poi nel 1949 la Cina di Mao ne chiede il rimpatrio come criminale di guerra. Dopo un decennio di rieducazione politica, l’ex Imperatore viene rilasciato dal campo in cui, con molti altri, è stato confinato: ora è un uomo comune.
Storia di una solitudine, quella di un uomo eternamente prigioniero, tra mura prestigiose prima, in un esilio dorato dopo, fino al suo approdo tra crisantemi coltivati con amore, nella illusione di una improbabile ‘libertà’. Incapace e ambizioso, colpevole, ma anche sfortunato e vittima ad un tempo, testimone sempre di quegli eventi medesimi, fino a una morte ignorata, da uomo comune, non lontano dalle mura di quella splendida Città proibita, dove ogni suo capriccio di bambino Figlio del Cielo era legge per una Corte fastosa e corrotta. La vicenda di Pu-Yi risulta uno sterminato affresco, dove sono raffigurate varie mutazioni di un popolo. Di questi eventi e di una siffatta metamorfosi il film di Bernardo Bertolucci ci dà forti e sontuose immagini, atmosfere affascinanti ed attendibili impressioni. E la narrazione puntuale e partecipe di una solitudine sposata alla inefficienza e all’ambizione, che nasce e cresce nei rituali pietrificati di tradizioni millenarie, si spreca e svilisce nei compromessi e nelle colpe, per finire, punita ed umiliata dal lavaggio del cervello, in un angolo oscuro di un ex-Impero. Il senso della Storia è sempre vivo e pungente, anche se la carica narrativa mira ovviamente a privilegiare la psicologia del personaggio, che nella sua triste parabola è del tutto emblematico. L’ultimo imperatore ripercorre, con una serie di flashback, la vita di Pu-Yi: da fanciullo cui tutto era dovuto, essendo figlio del Cielo, a re fantoccio del “Manciukuo” in mano ai giapponesi, a prigioniero dei campi di rieducazione politica ai tempi di Mao, dopo un periodo passato in Siberia ostaggio dei russi. Fino alla anonima morte, avvenuta durante la rivoluzione culturale. Film biografico, che rasenta l’agiografia, è una superproduzione altamente spettacolare che è stata premiata con ben nove Oscar (miglior film, regia, sceneggiatura, fotografia di Storaro, montaggio, musica, scenografia, costumi e sonoro). Ma è anche una meditazione sul cinema, sui suoi rapporti con la storia e il sogno, fin dalla prima immagine del treno che arriva alla stazione. L’interpretazione di John Lone è eccezionale per acume, espressioni e silenzi. Un grande spettacolo, senza mai pesantezze né banalità e con una regia eccellente. Con un particolare apprezzamento per la colonna sonora, alla quale hanno posto mano in tre: Cong-Su per le musiche di scena destinate alla Corte Imperiale; il giapponese Ryuichi Sakamoto, per la eleganza dello stile, curiosamente autore delle pagine più occidentali e, soprattutto David Byrne per la parte più orientaleggiante della composita partitura, quella forse più riuscita nel sottolineare tensioni e atmosfere.