Intervista a Richard Dale e Peter Webber, registi di Earth – Un giorno straordinario
Abbiamo intervistato i due registi di Earth – Un giorno straordinario: il vincitore di un EMMY e di un BAFTA Richard Dale e Peter Webber, che i più ricorderanno dietro la macchina da presa per La ragazza con l’orecchino di perla e Hannibal Lecter - Le origini del male
Segnatevi queste date: il 22, 23 e 24 aprile. Perché, proprio nei tre giorni a cavallo della Giornata Mondiale della Terra, Koch Media distribuirà nelle sale della Penisola Earth – Un giorno straordinario. Atteso seguito di quel Earth – La nostra terra che, poco meno di dieci anni fa, ci conduceva in un viaggio epico lungo un anno attraverso i continenti e le stagioni, questo nuovo capitolo osa ancora di più, condensando il miracolo della natura nell’arco di un solo giorno, dal sorgere del sole fino al calar delle tenebre. Nel corso di una sola giornata, seguiamo quindi il percorso del sole dalle montagne più alte alle isole più remote, dalle giungle esotiche a quelle urbane. I sorprendenti progressi nella tecnologia delle riprese vi faranno conoscere da vicino un cast di personaggi incredibili: un cucciolo di zebra che cerca disperatamente di attraversare un fiume in piena, un pinguino che sfida eroicamente la morte per sfamare la sua famiglia, un branco di capodogli a cui piace sonnecchiare in posizione verticale e un bradipo in cerca d’amore. Per farci raccontare i particolari di questa avventura abbiamo raggiunto telefonicamente i suoi due registi: il vincitore di un EMMY e di un BAFTA Richard Dale e Peter Webber, che i più ricorderanno dietro la macchina da presa per La ragazza con l’orecchino di perla e Hannibal Lecter – Le origini del male. Il risultato è una doppia intervista da cui emerge una passione per lo storytelling più facilmente associabile al cinema di genere che non a un documentario sulla natura. Non è affatto un caso che la parola più ricorrente nel corso di queste due chiacchierate sia proprio “storia”.
Richard, innanzitutto mi preme farti i complimenti per Earth – Un giorno straordinario. In primis per la qualità delle immagini, che si discosta da qualsiasi altro documentario sulla natura. Che tipo di tecniche avete utilizzato e, soprattutto, quanto tempo è stato necessario per raccontare questo unico, incredibile giorno?
Grazie mille, sono molto contento che il film ti sia piaciuto. Dunque, negli anni che separano il primo Earth dal nostro film la tecnologia è cambiata in maniera esponenziale, te ne accorgi dal fatto che il cellulare che hai adesso in mano abbia una videocamera tecnicamente superiore a quelle che avevamo a disposizione all’epoca. In questi dieci anni sono state realizzate videocamere piccolissime con le quali è possibile riprendere anche con un’illuminazione minima, con l’opportunità di essere davvero molto vicini agli animali senza però disturbarli, ma anzi, quasi entrando a far parte del loro mondo. Per quanto riguarda i tempi di lavorazione, direi che solo le riprese hanno portato via cinque anni. Questo perché a volte capitava che un singolo evento si verificasse una volta sola – è il caso, ad esempio, della lotta tra giraffe – o una volta all’anno (l’inseguimento tra iguana e serpenti) per cui bisognava aspettare anche tre anni per riuscire a filmarlo come volevamo.
Il precedente Earth – La nostra terra copriva un arco temporale di un anno. Il vostro film si spinge addirittura oltre raccontando un solo giorno. Come mai questa scelta?
Dietro la scelta di condensare le storie raccontate nel film in un unico giorno c’era l’idea di mostrare il quotidiano di questi animali. Per me era particolarmente importante perché volevo che il film non mostrasse gli animali e il loro habitat come qualcosa di particolarmente distante. Volevo piuttosto che quei luoghi venissero percepiti come la nostra casa, così da mostrare allo spettatore come, ogni giorno, siamo circondati da eventi straordinari. Eventi per assistere ai quali non devi per forza spingerti fino ai confini del mondo. Ti basta osservare un topolino correre in un campo o una libellula volare. Così Earth – Un giorno straordinario nasce dalla combinazione di una tecnologia che ci permette di rendere più intimo il nostro rapporto con gli animali e il desiderio di raccontare una storia che riguardasse la casa di tutti e non un qualche paradiso irraggiungibile.
Fin dalle primissime immagini appare evidente come Earth voglia creare un parallelo tra regno umano e animale. In buona sostanza si parla della lotta senza tempo per la sopravvivenza, di rapporti tra genitori e figli e anche dell’attrazione sessuale.
Io non ho il tipico background da regista di film sulla natura, ma amo di più raccontare le emozioni umane. Per me era quindi importante impostare il film come una serie di piccoli drammi umani così che lo spettatore potesse relazionarsi agli animali percependoli come suoi simili. In fondo parliamo dell’amore di una madre per un figlio, così come comprendiamo i tentativi di un bradipo di raggiungere una femmina della sua specie al fine di accoppiarsi. L’idea era, quindi, di non fare un film solo per gente interessata agli animali, ma per chiunque viva sulla Terra e abbia un minimo di interesse a guardarsi intorno. Perché, anche se i protagonisti sono animali, in realtà il film parla di noi.
Come è stato lavorare con un altro regista e come vi siete divisi il lavoro?
Sebbene di solito i registi siano molto solitari e poco inclini alla condivisione, io ho trovo che sia molto interessante lavorare con altri registi. Nello specifico Peter è stato coinvolto nel progetto di Earth – Un giorno straordinario due o tre anni prima di me, per cui ha partecipato alla fase del concept, in cui si decideva quali storie raccontare e, in generale, di cosa il film avrebbe parlato. Io sono intervenuto in un secondo momento, occupandomi di come avremmo filmato gli animali, dove posizionare le macchine da presa e come muoverle. Poi ovviamente c’è stato il lavoro di montaggio che ha portato via un anno, durante il quale le storie hanno preso realmente forma. Perché, per quanto possa apparire ovvio, gli animali non puoi dirigerli e urlargli “azione!” o “stop!”. Tutto quello che puoi fare è catturarne il comportamento e decidere come filmarlo. Solo in un secondo momento, durante il montaggio, riesci a tirarne fuori una storia. Per cui c’è stata una collaborazione molto interessante tra me e Peter, che non nasciamo autori di documentari sulla natura, e gli operatori della BBC Natural History che sono andati fisicamente sui luoghi delle riprese, spesso per molte settimane o mesi, a riprendere gli animali.
A proposito del ruolo fondamentale del montaggio nella riuscita di Earth. Quali sono le linee guida che vi hanno aiutato a districarvi tra tutto il materiale girato?
Di tutti i film che ho realizzato questo è senza alcun dubbio quello che dipende in misura maggiore dal montaggio. Normalmente un regista ha già ben chiaro in mente quale sarà la storia, per via della sceneggiatura o, per restare nel documentario, perché decide di filmare una storia mentre accade. Per questo film, invece, gli operatori arrivavano da noi con brevi riprese di comportamenti animali che, prese singolarmente, non contenevano alcuna storia. Pensa, ad esempio, alla sequenza dei pinguini in Antartica. Ci sono questi pinguini che, ogni giorno, abbandonano un’isola sulla quale è poi molto difficile tornare, solo per procacciare cibo per i loro piccoli. Le singole riprese mostravano esclusivamente questo schema. Quello che dovevamo fare noi era costruire una storia su cosa sia disposto a fare un genitore per i propri figli. Per cui prendi le riprese di una moltitudine di pinguini che fanno ognuno una cosa diversa e ne estrai una storia individuale, mostrando non soltanto cosa fa l’animale, ma cosa voglia dire in termini umani. Il lavoro di montaggio è, in buona sostanza, la costruzione della storia. Tutto sempre cercando di tenersi in equilibrio tra l’aderenza alla realtà e una visione del quadro più ampio.
Curioso tu abbia citato proprio la scena dei pinguini che è anche la mia preferita.
La adoro anch’io. Forse perché è stata anche una delle più difficili da girare. Pensa che ci volevano tre settimane di navigazione su una barca piccolissima solo per arrivare su quell’isola. Un luogo che, come puoi immaginare, era assai inospitale per la crew.
Molte scene del film mostrano il rapporto senza tempo tra prede e predatori. Il fatto che nel regno animale gli uni e gli altri siano così immediatamente riconoscibili ha però un ché di rassicurante rispetto alla natura più subdola dei rapporti umani. Era qualcosa a cui avete pensato lavorando al film?
In effetti non avevo pensato a questo aspetto della faccenda, ma credo proprio che tu abbia ragione. È qualcosa che ha a che fare con la vacuità delle nostre principali preoccupazioni quotidiane. Magari dopo aver visto il film possiamo pensare che qualsiasi cosa ci succeda a lavoro o sui social media, c’è qualcosa di più grande di cui dovremmo preoccuparci, che riguarda concetti come la vita, la morte o la felicità. Non è una cosa a cui ho pensato deliberatamente ma era di sicuro da qualche parte nella mia mente quando abbiamo deciso di dare al tutto un sottotesto più umano – e in maniera particolare infantile – alle storie. Perché quello mostrato nel film è proprio il modo in cui i bambini vedono e percepiscono il mondo. Nella maniera meno complicata possibile.
Come è avvenuta la scelta delle specie animali da mostrare nel film e ci sono animali che in un primo momento pensavate di includere e poi non siete riusciti a fare?
Ce ne sono tantissimi e uno dei lati più difficili del nostro lavoro è stato proprio decidere cosa tenere fuori. In primo luogo bisognava creare un mix equilibrato di specie animali e ognuna di loro doveva avere una storia legata a un particolare momento del giorno. So che può sembrare banale, ma non lo è affatto. Ad esempio di pomeriggio non accade quasi nulla di rilevante. Per cui c’era anche un aspetto pratico nella scelta. Inoltre, come ti dicevo prima, volevo trovare animali le cui storie fossero per molti aspetti ricordassero quelle umane. Abbiamo quindi deciso di tenere gli animali che ci aiutassero in questo senso. Pensa ad esempio alla parte finale del film, quella notturna. Ci sono queste scimmie che, molto semplicemente, hanno paura del buio. Non temono dei predatori specifici e, proprio come noi, si nascondono dalla notte perché hanno la sensazione che di notte accadano cose brutte. Un altro esempio è la libellula, un insetto non particolarmente telegenico ma segnato da un destino poetico e commovente che la fa nascere, vivere e morire nell’arco di poche ore.
Earth si differenzia da tutti gli altri documentari dello stesso genere per il respiro fortemente cinematografico presente in ogni sua scena. Una cosa che mi ha colpito particolarmente è come ogni storia raccontata rimandi a un diverso genere cinematografico. Dal thriller delle iguana che fuggono dai serpenti alla comedy dell’orso fino all’action della scena di lotta tra giraffe e l’horror della parte notturna di cui parlavi prima.
Sono felice che tu l’abbia notato perché era assolutamente ciò che volevo ricreare. Ci abbiamo messo tre anni a girare la scena delle iguana e dei serpenti proprio perché volevo che desse allo spettatore le stesse emozioni degli inseguimenti automobilistici nei film di James Bond. Ovvio che in tal senso l’uso della musica faccia tantissimo. Per questo abbiamo usato la colonna sonora come se , di volta in volta, dovessimo accompagnare una scena d’amore o una sparatoria in un western.
Conclusa la prima parte dell’intervista, raggiungo telefonicamente Peter Webber che, al momento, si trova in Qatar.
Peter, a eccezione del tuo ultimo Ten Billions tu sei per lo più noto come un regista di fiction. Cosa ti ha spinto a un certo punto a dedicarti al cinema documentario?
Nei primi anni da regista ho lavorato molto per la TV dirigendo ben 12 documentari per cui, di fatto, ho realizzato più documentari che opere di fiction. Poi, dopo essermene allontanato per un po’, di recente mi sono riavvicinato a questo genere. Credo che la maggiore coscienza della crisi ambientale che ci troviamo ad attraversare possa avermi trasmesso l’urgenza di fare film che trattassero queste tematiche.
C’è qualche connessione tra Ten Billions che è un film totalmente incentrato sulle persone e Earth che invece è tutto rivolto al regno animale?
Ten Billions era un film molto cupo, che guardava al futuro prossimo del Pianeta e ad alcuni dei problemi che ci troviamo ad affrontare, dal cambiamento climatico al rischio estinzione. Dopo aver realizzato un film così dark ho quindi sentito la necessità di fare qualcosa di più positivo, che trasmettesse la luce, l’amore e la felicità presenti sulla della Terra e nelle creature che la abitano. Un inno alla bellezza del Pianeta per ricordare cosa rischiamo di perdere se non facciamo qualcosa. Nonostante Earth – Un giorno straordinarionon sia, in definitiva, un film con pretese moralizzanti; piuttosto un film per famiglie, una forma di intrattenimento che spero possa ispirare nei più giovani amore per la natura.
Qual è la costante, se c’è, tra il lavoro per un film di finzione e quello per un documentario come Earth – Un giorno straordinario?
Beh, l’atto del raccontare una storia è lo stesso, sia che lo si faccia attraverso la fiction o il documentario. La differenza fondamentale è che in quest’ultimo uno cerca sempre di plasmare la realtà nel modo più narrativo, mentre nella fiction il tentativo è di trovare quanta più realtà possibile nella finzione. Sono le classiche due facce della stessa medaglia.
In genere i documentari si dividono in due macrogruppi: ci sono quelli che vogliono semplicemente raccontare una storia per via della sua unicità e quelli che invece tendono a voler dimostrare una tesi. A quale di queste due categorie appartiene Earth?
Non credo che il nostro sia un film a tesi. E’ più una celebrazione, una canzone d’amore per il Pianeta e tutta la vita che contiene. Ci mostra come gli eventi più importanti che accadono in natura possano essere di volta in volta elettrizzanti, poetici, inquietanti e, in una parola, bellissimi. E’ uno straordinario viaggio che se, da un lato, può essere visto come un semplice film per famiglie, dall’altro rappresenta qualcosa di più profondo e magico.
Parlando con Richard, mi spiegava come tu sia stato coinvolto nel progetto parecchio prima di lui, fin dalle sue prime fasi.
Molto tempo l’ho passato a scegliere il “cast” e a costruire storia e struttura, cercando il giusto equilibrio tra i differenti episodi. La maggior parte delle riprese è stata poi effettuata da specialisti di fauna selvatica della BBC Natural History che si sono attenuti allo script che avevamo realizzato. Sono stato poi impegnato nelle fasi di montaggio e nella direzione di Robert Redford che è la voce narrante del film (NdR: In Italia Redford è doppiato da Diego Abatantuono). Ma Earth è più il frutto di un lavoro condiviso che non di un singolo regista.
Visto che ha citato Redford, immagino che la scelta di averlo come voce narrante del film sia legata al suo impegno ecologista. Puoi raccontarci qualcosa del suo coinvolgimento nell’operazione?
Di certo il fatto che lui sia da sempre un ecologista convinto lo ha reso la scelta perfetta. Dopo aver visionato un primo montaggio del film, Robert ha subito deciso di prendervi parte. A quel punto sono volato in New Mexico, dove vive, e abbiamo registrato il suo contributo. Si è rivelato un perfetto gentiluomo e un vero professionista. Per me è stata una grande emozione lavorare con lui.
Qual è l’importanza di un film come il vostro in questo specifico periodo storico in cui la natura sembra non essere proprio ai primi posti in un’ideale classifica dei temi all’ordine del giorno?
Io credo che oggi sia di vitale importanza porre la natura al centro. Forse perché così tanti di noi vivono in grandi città, in società consumistiche e materialiste, ci siamo allontanati dalla natura nonostante siamo indissolubilmente legati ad essa per la nostra sopravvivenza. E solo quando le cose cominciano ad andar male capiamo il nostro errore. Sono realmente convinto che stiamo andando incontro a un disastro, anche se Earth non vuole in alcun modo mettersi in cattedra, solo celebrare le molte meraviglie della natura. Spero quindi che il film possa ispirare la gente ad andare oltre le proprie preoccupazioni quotidiane e riavvicinarsi al mondo naturale.
Qual è, tra tutti quelli mostrati in Earth, la tua specie preferita e perché?
Sono davvero indeciso su quale sia il mio preferito perché in realtà lo sono tutti. Perché sono proprio gli animali che ho deciso di mettere nel film e ce ne sono tanti che non vi sono rientrati. Trovo che il bradipo sia particolarmente divertente, così come trovo spaventosa la scena dei serpenti e degli iguana. E poi c’è il narvalo (un particolare tipo di cetaceo dotato di un unicorno) che è un animale magico.
Cosa pensi del lavoro di David Attenborough? E’ stato in qualche modo fonte di ispirazione per Earth – Un giorno straordinario?
Attenborough si erge come un colosso al di sopra di chiunque faccia documentari. Ho il più grande rispetto e ammirazione per quest’uomo, riverito dalla maggior parte dei cineasti di storia naturale.
Mentre parliamo sei in Qatar. A cosa stai lavorando?
Sono appena tornato dalla Jamaica dove ho realizzato un documentario su una band di anziani musicisti reggae che si sono riuniti per registrare un disco acustico, un’esperienza fantastica. Al momento sono al lavoro su un cortometraggio: un’epopea storica per il National Museum of Qatar, progettato dall’architetto francese Jean Nouvel. Un’installazione che ricrea l’immaginario poetico della nascita della nazione nella metà dell’800. Un sacco di cammelli, cavalli e dune insomma.
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