Alla fine non c’è bisogno di andare lontano, a volte addirittura dall’altra parte del mondo, per assistere a qualcosa di straordinario. Perché, ogni giorno, intorno a noi, avvengono migliaia di miracoli della natura. Certo, vanno visti dalla giusta distanza, E, nel caso di Earth – Un giorno straordinario, questa distanza è davvero minima. Merito di una tecnologia che, nei dieci anni che separano Earth – La nostra terra da questo suo sequel, ha compiuto passi che definire da giganti non rende appieno l’idea e che ha permesso a Richard Dale (un premio BAFTA e EMMY) e Peter Webber (La ragazza con l’orecchino di perla, Hannibal Lecter – Le origini del male) e al loro team di 100 operatori di avvicinare le ormai minuscole macchine da presa agli animali in un modo mai visto prima, e costruire così un racconto per molti versi commovente di vita e morte, gioie e paura, condensato in una sola giornata, dall’alba al tramonto, spostandosi dall’Africa al Polo passando per le Galapagos.
Ciò che però stupisce di più fin dalle prime immagini non è tanto la loro perfezione, quanto il respiro cinematografico che allontana Earth da qualsiasi altro documentario a tema “natura” mai visto prima, per elevarlo invece a Cinema tout court. Un risultato simile è frutto senza alcun dubbio di un montaggio certosino che, da una mole di materiale frutto di riprese durate cinque anni, ha estratto eventi che possono manifestarsi anche una sola volta all’anno, ma anche di una propensione evidente a uno storytelling che, mentre inquadra il concitato inseguimento di un’iguana da parte di un’orda di serpenti, pensa in termini cinematografici. Così ogni segmento del film parla il linguaggio specifico di un genere diverso. Se la succitata scena è girata come il più classico degli inseguimenti action, la lotta furibonda tra due giraffe – animali in genere nobili, mai rappresentati nella loro capacità di farsi male l’un l’altro – rimanda in maniera piuttosto evidente al western, così come la parte finale del film, quella dedicata alla notte, vira abilmente verso l’horror.
L’impressione a tratti è quasi di non assistere a eventi naturali ma a un film della Disney in CGI. L’unica differenza qui è la totale assenza di script e il fatto che a muovere gli animali non ci siano attori in motion capture e, in quest’ottica, la sequenza del bradipo che, risvegliato dal suo torpore dal richiamo di una femmina percorre chilometri per raggiungerla, per poi trovare una neomamma assai poco incline all’accoppiamento, diverte ancora di più.
Il paradosso è che lo switch dal documentario al film strictu senso serve sì agli autori per avvicinare al progetto tutto un pubblico poco interessato al mondo animale, ma soprattutto a garantire alle storie raccontate nuove sfere di senso che hanno per lo più a che fare con l’essere umano. Come se la nostra maggiore abitudine alla fiction ci spingesse a immedesimarci più con quest’ultima che non con una ricostruzione fedele, sebbene “animale”, della realtà. Ecco che, a quel punto, Earth – Un giorno straordinario mostra questi pinguini che, ogni giorno, abbandonano un’isola sulla quale è poi molto difficile tornare, solo per procacciare cibo per i loro piccoli, ma in realtà riflette su cosa sia disposto a fare un genitore per i propri figli. C’è solo una cosa che, in ultima analisi, rende distanti mondo umano e animale ed è il rapporto senza tempo tra prede e predatori e come, nel regno animale, il fatto che gli uni e gli altri siano così immediatamente riconoscibili abbia un che di rassicurante rispetto alla natura più subdola dei rapporti umani. Ma è una riflessione funzionale alla perfetta riuscita di un film che, come spiegato dagli stessi autori nell’intervista concessaci, dopo aver visto il film, potrebbe spingere gli spettatori a “pensare che qualsiasi cosa ci succeda a lavoro o sui social media, c’è qualcosa di più grande di cui dovremmo preoccuparci, che riguarda concetti come la vita, la morte o la felicità.”