“After” di Alberto Rodriguez, regista molto affermato in Spagna, è un film articolato, che rivela le evidenti capacità dell’autore, impegnato non solo nel trattare questioni assai spinose, ma soprattutto nel gestire la materia cinematografica in maniera originale e creativa, fornendo non pochi spunti di riflessione per un’analisi critica.
Diciamo immediatamente che il tema affrontato – la difficoltà di vivere di tre quarantenni amici dai tempi dell’infanzia – ripropone, almeno agli occhi di chi scrive, l’infinita litania di commiserazione intonata dal coro della decadenza occidentale, sempre impantanata in una trappola esistenziale apparentemente insuperabile, e perennemente alle prese con il problema della “caduta” e del “paradiso perduto”, come si dice all’inizio del film, parafrasando Milton. La critica a questo tipo di lettura della contemporaneità è sempre lo stesso: non possiamo continuare ad affrontare la questione dall’interno, da una prospettiva, verrebbe da dire, piccolo borghese, ma forse adesso sarebbe meglio chiamarla, dato il mutamento degli equilibri, “tardo imperiale”. Che differenza c’è tra questa danza “orgiastica” macabra e senza speranza e quello che ci raccontava Federico Fellini cinquant’anni fa, quando faceva volare la statua di Cristo su una Roma irrimediabilmente pagana? Nessuna, davvero. Possibile che non riusciamo ad evitare d’indugiare ostinatamente nella favoletta d’Edipo a Colono? I nostri tre protagonisti per sfuggire alla delusione della realtà non sanno far altro che regredire, trastullandosi in trasgressioni fatte di sesso, alcool, droga. Insomma dilettanti.
Diversa è la valutazione della forma del film, dato che Rodriguez lavora in modo interessante sulla dimensione temporale; non solo rivisita, in relazione a un medesimo evento, i diversi punti di osservazione di ciascun protagonista, per intenderci alla maniera del Tarantino di “Pulp fiction”, ma si cala così profondamente in ciascuno di loro che, quando ne ripropone le prospettive d’osservazione, arriva addirittura a mutare l’andamento dei fatti. L’emotività dei personaggi diviene una lente talmente potente da deformare la stessa rappresentazione della realtà che, in riferimento ad un medesima situazione, muta, (dis)individuandosi in dimensioni alternative.
Si potrebbero versare fiumi d’inchiostro sul trattamento temporale dei “passati possibili”.
Questo sembra l’aspetto decisivo del film che dimostra lo spessore del regista e che, per il momento, ne fa la pellicola più interessante del festival.
Luca Biscontini
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