Grosso guaio a Chinatown, un film del 1986, diretto da John Carpenter. È interpretato da Kurt Russell e Kim Cattrall e mescola elementi da commedia con quelli dei film di arti marziali.
Nell’idea originale di John Carpenter, il film avrebbe dovuto essere ambientato nel vecchio west e avere per protagonista il classico cowboy senza passato che arriva in città e libera la ragazza dalle grinfie del malvagio stregone Lo Pan. Riportato ai giorni nostri e condito da elementi orientaleggianti inediti per il cinema del periodo, il film si è rivelato un cocente insuccesso commerciale, forse anche per via della strategia pubblicitaria utilizzata dalla produzione (che diede maggior risalto alla promozione di Aliens – Scontro finale uscito nelle sale sedici giorni dopo). In seguito è diventato un cult movie grazie al suo successo in home video e ai passaggi televisivi, in Italia su Canale 5 e poi su Italia 1 nei fine anni ’80 e primi ’90.
Jack Burton, camionista, accompagna l’amico Wang Chi all’aeroporto a prendere la fidanzata Miao Yin, in arrivo dalla Cina. La donna viene rapita da una setta di fanatici capeggiata dal diabolico Lo Pan. Per salvarla, Jack e Wang Chi sono addirittura costretti a combattere contro i demoni cinesi. Commedia d’azione adrenalinica, che prende in giro i film di kung fu e certo fantasy hongkonghese. Senza irriverenza, anzi, con il rispetto per la contaminazione che Carpenter dimostra da sempre. Russell demolisce il mito di Jena Plissken con una interpretazione eccellente.
All’epoca Carpenter si ritrovava schiacciato tra un bicipite di Schwarzenegger e un altro di Stallone, e mentre si dimenava doveva beccarsi pure le battute di quel brillante di Indiana Jones. Non gli rimaneva altro da fare che chiamare il vecchio compagno Kurt, e di usarlo come mezzo per sfogarsi e prendere per il culo il cinema d’azione americano degli anni ’80 e l’ideologia destrorsa che gli stava dietro. Russell è l’americano medio, uno di quelli che rumina porzioni extra large di pop corn sbracciandosi e tifando proprio per il Terminator o il Rambo di turno, quello che c’è in tv. E’ un idiota purissimo che si trova nel bel mezzo di un’avventura volutamente grottesca, più che fantastica, prova del fatto che, a differenza dei colleghi, Carpenter sa benissimo di stare girando un b-movie. Questo è il primo motivo per cui Grosso guaio a Chinatown un b-movie non lo è. E’ una parodia, piuttosto, o almeno quasi, intelligentissima e d’avanguardia. La contaminazione orientale è una novità (e i rimandi draculeschi sono interessanti); le scene di combattimento sono ipermoderne, come il riuscitissimo umorismo “d’azione”. Tutto il peso comico del film pesa sulle spalle di Kurt Russell, perfetto in un ruolo per lui insolito, che gli permette di sfuggire al personaggio che proprio Carpenter, usando un termine capatondiano, gli aveva appioppato.
Pur salvando tutti, come gli amici già nominati e di lì a poco il perennemente canottierato Bruce Willis, il Jack Burton di Russell lo fa quasi per sbaglio (“It’s all in the reflexes, babe”), e nella maggior parte dei momenti di pericolo, pur mettendosi in testa al gruppo, si rivela inutile e impacciato, mentre è l’amico dagli occhi a mandorla a far fuori tutti i cattivi. Attenzione però, perché se Carpenter mette su una satira pesantina su America e americani, ne riconosce anche i pregi. E allora Russell non è solo sfrontato e incosciente, ma è coraggioso e generoso, pur in modo macchiettistico, e decide di aiutare l’amico anche se nulla lo obbliga, se non la donna (che alla fine rifiuta) e la ricerca dell’amato camion (usata più come scusa perchè l’aiutare, come l’amare la donna, è una debolezza). Sente una sorta di impegno, di responsabilità, e in fondo, credendo di essere qualcuno, pur non essendolo veramente, si guadagna simpatia e dignità meritate.