Era il 1973 e Pasquale Squitieri girava I guappi. Nel set, con Franco Nero e Fabio Testi, insisteva Claudia Cardinale. Ebbene quella lavorazione cominciò ad alimentare i non moltissimi rotocalchi di gossip che in quel periodo dominavano il mercato editoriale italiano, ancora privo della grande forza mediatica del web, Novella 2000 e Eva Express in primo luogo. Insomma il set dei I guappi era diventato un rincorrersi soprattutto di notizie pruriginose, addirittura bollenti per la corte serrata del regista verso la sua bellissima attrice protagonista Claudia Cardinale. E si rincorrevano anche voci insistite di liti tra i due. Addirittura di aggressioni che lambivano anche la sfera fisica. Sembrava che in un primo momento la Cardinale assolutamente non ne voleva sapere del suo bel regista. E tra il popolo che leggeva e si alimentava soprattutto di cultura “pettegola” cominciava a serpeggiare che l’idea dello scontro tra i due avesse origini in realtà solo pubblicitarie. Ma non era assolutamente così. Più il film andava avanti nella lavorazione e più le notizie diventavano veritiere. Quando il film uscì nelle sale la storia d’amore tra la Cardinale e Squitieri era ormai ufficializzata. E si rivelò una coppia ed un legame veramente di ferro per lustri, proprio come il Prefetto che da lì a qualche anno il regista Squitieri cominciò a girare con la Cardinale e con Giuliano Gemma protagonisti. Ed in qualche maniera Pasquale Squitieri pagò per anni, attraverso la difficoltà di poter lavorare serenamente in seguito, questo suo ardire.
Claudia Cardinale era allora legata al produttore Franco Cristaldi, un produttore onestissimo, bravissimo, profondamente colto e potentissimo, padre certamente dei migliori film della cinematografia italiana di tutti i tempi. Ma questa sfera privata, molto diffusa dai giornali, a Cristaldi pareva indispettirlo alquanto. Squitieri all’epoca, certamente, non era ancora un regista affermatissimo, veniva esattamente da un solo buon film,
Camorra, girato nel 1972, opera che finalmente poteva contare, per la sua filmografia, di un impegno produttivo un po’ più florido rispetto al passato. Ed il risultato saltò subito agli occhi anche della critica più severa. Camorra, interpretato da Fabio Testii, Jean Seberg, Raimond Pellegrin, Charles Vanel e da una schiera di valenti caratteristi, tutti presi dal cinema della commedia italiana e dal mondo del vernacolo teatrale napoletano, pensiamo in questo momento ad Enzo Cannavale, era davvero un bel film. Camorra rispettava in pieno le aspettative produttive e popolari del periodo. In precedenza Squitieri si era prodigato assolutamente di un valore nominale molto acceso con le sue pellicole, ma nei fatti, i film, anche per l’assenza di un budget coraggioso, non avevano inciso sul mercato. Parliamo di film quali Django sfida Sartana, di La vendetta è un piatto che si serve freddo, due western decisamente girati con i toni spettacolari e culturali dell’epoca – siamo tra la fine degli anni sessanta e i primissimi anni settanta -, e di due sceneggiature successive, queste si effettivamente coraggiose dal punto di vista strategico (culturale e politico) per il periodo, Io e Dio (1969) e La musica nelle vene (1970). Tra l’altro la realizzazione de Io e Dio era stata resa possibile praticamente grazie alla generosità ed alle ricerche culturali di Vittorio De Sica, che innamoratosi del progetto di Squitieri volle decisamente trasformarlo in un film, proprio anticipando di tasca sua due milioni di lire del periodo, solo per dare a Squitieri l’opportunità di girare già qualche metro di pellicola di quella sceneggiatura. Il vero grande successo però Pasquale Squitieri lo incontrò solo nel 1977, insomma il successo netto (che non ci fu nemmeno con I guappi, nonostante il buonissimo incasso nel 1974) che fece esprimere la critica in maniera assolutamente positiva e fece rispondere il pubblico in maniera certamente copiosa nelle sale. Il film era Il prefetto di ferro, sicuramente un film bello, anche coraggioso, scritto con i stilemi anche della migliore sociologia e della politica più coerente ed ideale necessaria.
Prima de Il prefetto di ferro Squitieri aveva girato nel 1974 (nello stesso anno de I guappi) in mezzo ad una serie di difficoltà logistiche, come diceva, quasi insormontabili, L’ambizioso con un Joe Dallessandro proveniente dal cinema di Andy Wharol e di Paul Morissey, da quel Trash, i rifiuti di New York, pellicola decisamente underground, che sbarcò nei cinema italiani grazie all’interessamento di Pier Paolo Pasolini e di Dacia Maraini. La sua filmografia poi è continuata in un crescendo di titoli, alcuni che hanno inciso sul terreno culturale e cinematografico, altri un po’ meno (tra gli ultimi titoli ricordiamo L’avvocato De Gregorio, con protagonista un attore di razza come Giorgio Albertazzi, un film passato assolutamente sottosilenzio), ma senz’altro Squitieri è stato, per il cinema italiano, certamente, un autore difficile, assolutamente indomabile agli usi ed ai costumi del sistema sociale e dell’industria culturale. Anche per questo la sua rimane una filmografia da non sottovalutare alquanto. E titoli quali Gli invisibili, Russicum – I giorni del diavolo, Il colore dell’odio, Atto di dolore sono certamente da salvaguardare.
Giovanni Berardi