La storia di Ho amici in paradiso nasce dall’esperienza personale del regista, Fabrizio Maria Cortese, che da due anni frequenta il Centro “Don Guanella” di Roma. Una commedia dolce-amara che tratta l’argomento dell’handicap con leggerezza e senza pietismi. Con Antonio Catania, Enzo Salvi, Christian Iansante e Fabrizio Ferracane.
Sinossi: Felice Castriota è un commercialista salentino impulsivo e superficiale. È colto in fragrante a riciclare soldi della malavita, ma in cambio di informazioni su ‘U Pacciu’, noto malavitoso locale, Felice evita la galera e viene affidato ai servizi sociali. Spedito al centro “Don Guenella” di Roma, il protagonista si trova ad avere a che fare con persone menomate fisicamente e con condizioni intellettive anche gravi. Aiutato da Giulia, giovane psicologa del centro, Felice supera i problemi iniziali e per la prima volta inizia a sentirsi parte di una grande famiglia. Ma il passato torna a fare i conti con il protagonista quando si trova a dover fronteggiare la minaccia di ‘U Pacciu’, uscito di prigione in libertà vigilata ma deciso a vendicarsi a tutti i costi.
Recensione: Il primo lungometraggio di Fabrizio Maria Cortese ha l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica su questo tipo di Istituti. Dopo due anni di laboratorio teatrale realizzato come terapia per i pazienti del “Don Guanella”, nasce l’idea di un film con attori professionisti affiancati dagli ospiti del Centro. A differenza di pellicole come La pazza gioia di Virzì, gli otto disabili coinvolti dal regista diventano veri e propri attori che interagiscono con dei professionisti.
Per evitare di raccontare con pietismi la storia di queste persone, ma leggere positivamente il tipo normalità che vivono ogni giorno e raccontare con leggerezza il grande impegno dei volontari e degli infermieri del Don Guanella, il regista realizza una piccola storia di amore e di amicizia, raccontata con il linguaggio della commedia, aiutate dalla partecipazione di attori come Enzo Salvi e Antonio Catania.
Se la scelta della commedia aiuta il regista a raccontare da una parte l’aspetto più problematico di queste persone, dall’altra non riesce veramente a trovare un equilibrio tra sensibilizzazione e intrattenimento. In nome della leggerezza inserisce temi come la criminalità organizzata, il divorzio, l’abbandono e la solitudine, e invece di concentrarsi su una visione interna, tale da rendere lo spettatore partecipe dei reali problemi che queste persone affrontano ogni giorno, e quindi capace anche di scherzare con la tragicità di alcune situazioni, Fabrizio Maria Cortese sceglie di rimanere un esterno; giocare sulle gag per apparire più positivo e spensierato possibile, ma senza trovare le coordinate giuste per approfondire questa tema e realizzare una commedia credibile.
Non si può escludere dall’equazione la difficoltà di questo progetto, il film deve sicuramente molti dei suoi problemi dal tipo di esperimento portato avanti da regista. A differenza di molti altri lungometraggi, i protagonisti sono veramente portatori di handicap, per questo, a prescindere dai problemi della pellicola discussi sopra, non si può che elogiare il tentativo di Fabrizio Maria Cortese di sensibilizzare attraverso il sorriso un’opinione pubblica spesso distratta su certi argomenti.
Alessio Paolesse