Una mostra su un’artista romana di grande valore e sensibilità che interpreta con corrusca e sanguigna intensità i suoi soggetti. Grandi figure di donne con una corposa e carnale immagine di sé dominano le scene e ne sono perlopiù le principali protagoniste. D’altra parte erano quelli i soggetti più di moda all’inizio del 1600. Si tratta di drammi religiosi, storici e mitologici che la committenza adorava e che, con la loro intrinseca e accettata violenza, salvano l’osservatore, il committente e il proprietario dall’accusa di voyeurismo erotico o sadismo gratuito. Certo è che ci sono grandi immagini di omicidi in diretta, spesso perpetrati da sensuali fanciulle. Ma la mostra non è questo e le grandi tele, ricche e ben collocate nei saloni luminosi di Palazzo Braschi, sembrano raccontarci, oltre alle opere di Artemisia (1593 -1653), una koinè culturale tutta italiana, anche se costellata da artisti stranieri. Presenti Guido Cagnacci, Simon Vouet, Giovanni Baglione.
Le opere seguono una forma che s’incentra su un linguaggio barocco pieno e cosciente del quale Caravaggio è, seppur non presente, un costante e ideale ispiratore. Anche se la definizione di barocco è stata un passo successivo, è proprio in queste figure grandiose, create con un olio ricco e pastoso, che sta lo spirito “romano” per eccellenza. Quello nel quale tutta la città, con le sue chiese e i suoi nobili palazzi, si riconosce.
Lo stile di Artemisia privilegia un cromatismo delicato che non eccede e uno sfumato netto coniugato con eleganza. Il sentimento e l’emozione del racconto sono spesso predominanti, ma il modellato delle carni nude o dei panneggi solenni non arriva mai a un mero formalismo. Non sempre i soggetti, a volte complessi, sono totalmente risolti dal punto di vista compositivo, ma l’intensità della risoluzione finale compensa le carenze.
La nostra appassionata protagonista non si fermò a Roma, la sua vita la portò a Firenze, Napoli, ma anche Venezia e Londra. Da non dimenticare che a Firenze fu la prima donna a entrare all’Accademia delle Arti e del Disegno; dove imparò anche a leggere, scrivere e a suonare il liuto.
Ma la mostra rappresenta più che mai anche la Roma del suo tempo: una Roma piena di contraddizioni e che rivela se stessa, proprio come una bella donna; proprio come Artemisia, che si lascia scoprire solo dalla mano garbata del suo amante, il nobile Francesco Maria Maringhi. È questo che andremo ad approfondire visitando quest’esposizione: artisti che, come la talentuosa Artemisia, raccontarono, tramite il pennello e i suoi virtuosismi, la Roma del ‘600, le sue novità, i suoi drammi, le sue atmosfere.
Sono circa 100 le opere in mostra, provenienti da ogni parte del mondo. Tra queste ricordiamo le tele dell’artista: Giuditta che taglia la testa a Oloferne del Museo di Capodimonte, Ester e Assuero del Metropolitan Museum di New York, l’Autoritratto di Artemisia come suonatrice di liuto del Wadsworth Atheneum di Hartford Connecticut e la splendida Annunciazione di Napoli del 1630. Ma anche gli affascinanti lavori di Cristofano Allori e Francesco Furini, dell’ambito fiorentino, o quelli di Jusepe de Ribera, Francesco Guarino, Massimo Stanzione, Onofrio Palumbo e Bernardo Cavallino, di ambito napoletano.
Poco accettabile quindi e limitativo, rispetto all’allestimento e ai suoi autori, farne una mostra di genere. Quando si tratta di donne creatrici, si vanno a cercare sempre le motivazioni, i risvolti, i segreti relativi a un agire estetico, che non si cercano invece nella vita di un artista dell’altro sesso. Le vicende private di Artemisia, i suoi drammi, i suoi amori, non ci riguardano nel momento in cui valutiamo la sua capacità, la bellezza e l’originalità delle sue opere. Se non riusciamo a prescindere dal fatto che lei è donna, e che ha vissuto uno stupro e un processo a esso legato, non le rendiamo onore e merito. Sarebbe ora che le artiste, le poetesse, le scrittrici, ma anche tutte le donne che si sono distinte, in genere, non fossero considerate interessanti per la loro vita in quanto donne, ma solo per il loro valore.
Artemisia Gentileschi non è un’eroina, è una donna normale, che ha reagito, come molte di noi ancora oggi, alle violenze del mondo che la circondava e ha scelto di rialzare la testa. Comunque ella incarna un personaggio che, ante litteram, rappresenta la figura di una donna moderna, che nonostante i drammi e le difficoltà della vita afferma se stessa e riesce a ottenere rispetto in ambienti ancor oggi prettamente maschili, come quello artistico.
Artemisia dovrà dunque accettare, come molte altre, di essere considerata un’artista ma anche un simbolo di coraggio al femminile.
L’esposizione, patrocinata dal Ministero dei beni culturali, promossa e prodotta da Roma Capitale, Arthemisia Group e organizzata con Zètema, è curata da Nicola Spinosa per la sezione napoletana, da Francesca Baldassari per la sezione fiorentina, e da Judith Mann per la sezione romana. Palazzo Braschi, Roma. Fino al 7 maggio 2017.
Alessandra Cesselon