Tra le miriadi di programmi televisivi che escono sulle piattaforme e sulle reti televisive, Dark Winds è uno dei progetti più interessanti degli ultimi anni, e arriva finalmente da noi su Netflix.
Dark Winds: Redford e Martin, un’unione sorprendente
Basata sul ciclo di romanzi scritti da Tony Hillerman, la serie Dark Winds è stata prodotta da George R. R. Martin e Robert Redford, che hanno unito la forza delle loro diverse personalità per creare una serie decisamente politica, con elementi di folklore, mistero e un pizzico di soprannaturale.
Se il segno di Martin è evidente nei momenti puramente “magici” e “trascendenti”, tutti legati alle tradizioni autoctone, è indubbiamente il tocco di Redford che si fa sentire maggiormente, dando risalto a una narrazione che non solo esplora il mistero, ma che anche mette in luce la realtà sociale e politica dei nativi americani.

Dark Winds
Un paese tormentato dalla sua storia
È fondamentale tenere presente l’anno in cui è ambientata la serie: il 1971, tre anni dopo la creazione dell’American Indian Movement (AIM), un movimento nato per affrontare i problemi legati alla povertà, alla discriminazione e alla brutalità della polizia contro i nativi americani. Inoltre l’anno precedente erano usciti Seppellite il mio cuore a Wounded
Knee di Dee Brown, un testo che mette in luce la ferocia dei coloni europei contro le tribù
native, e Piccolo Grande Uomo di Arthur Penn, un film con Dustin Hoffman che capovolge la visione tradizionale western sugli aborigeni d’America.
Ribaltamento di percezione
Tutti questi erano segnali che l’America cominciava a cambiare visione nei confronti della popolazione nativa, e che la nuova visione stava prendendo piede nella cultura mainstream. Ed è proprio da questo cambiamento che nasce la serie Dark Winds.
Dopo la “conquista” definitiva, e prima di quel momento di cambiamento, le minoranze americane venivano trattate come cittadini di serie B, emarginate e sottoposte a politiche discriminatorie. Quest’ultimo aspetto è il cuore della serie, in cui si assiste ancora a sentimenti di superiorità da parte dei coloni nei confronti dei nativi, il tutto condito da intrighi e inganni.
Il racconto di un popolo spezzato
Sfruttando questo bagaglio storico, la serie riesce a offrire uno spaccato sulle riserve indiane di allora. Uno dei suoi aspetti centrali è proprio la capacità di raccontarne le difficili condizioni di vita.
Se da un lato vediamo i piccoli gruppi sociali che mantengono vivi i loro rituali tradizionali, dall’altro ci rendiamo conto che continuano a vivere in una condizione di precarietà. In quegli anni, i tassi di violenza domestica, omicidi e criminalità erano molto alti nei territori tribali, a causa dei gravi problemi di povertà cronica e di disoccupazione, e di un forte senso di colpa legato alla storia della conquista e alla continua discriminazione da parte dei bianchi americani.
Guerrieri navajo in terra moderna
Un’altra qualità di Dark Winds è che unisce un aspetto soprannaturale e mistico a tinte western moderne, come un’altra serie che già in passato ci ha proposto questo mix: True Detective di Nic Pizzolatto. Le due serie sono simili anche per l’elemento distintivo dei loro protagonisti principali, i Navajo, che erano considerati in passato come i “cattivi”.
In particolare, in Dark Winds spicca il protagonista Joe Leaphorn (un ottimo Zahn McClarnon), un guerriero navajo nel mondo moderno. Joe sa come muoversi nel territorio, come studiare il paesaggio, come individuare ogni indizio. Lui sa come
comportarsi perché quella è la sua terra, quella che apparteneva alla sua famiglia da
secoli. È un personaggio complesso, che assiste ai crimini di un Paese che ha annientato la sua terra, il suo popolo e suo figlio, cercando allo stesso tempo di riportarvi un ordine.
Dark Winds è decisamente una delle sorprese degli ultimi anni della televisione americana: il racconto perfetto di una parte della storia del paese che, a oggi, è una ferita non ancora completamente risanata.