Tra la prima e seconda stagione, Nobody Wants This, cerca di affrontare il tema di fondo, la relazione tra Joanne (Kristen Bell) e Noah (Adam Brody), e quello di sfondo, intrecciando la problematicità di coppia tra conservatorismo religioso e la coppia moderna iper liberal.
Nella serie Netflix emerge un’innegabile attitudine : il suo essere confort a tutti i costi. La sua ricetta magica è indubbiamente muoversi come una sit-com più orizzontale, incasellando il linguaggio episodico in cui quasi tutti i personaggi sono protagonisti. Lo scopo è quello di intrattenere il pubblico, cercando di non appesantirlo con una complessità dell’amore riscontrabile in prodotti più stratificati come Normal People o più incentrati sul “percorso” come la serie Love.
Nobody Wants This e le altre
Il suo essere perennemente umoristica, sommando battute da white e dark comedy, si inserisce, inoltre, nel palese tentativo della creatrice Erin Foster e della produttrice Jenni Konner di far rivivere costantemente il teen drama pop anni duemila, premendo sul ricordo che lo spettatore della televisione classica aveva di questo. Perché se il rabbino e la podcaster hanno il volto di Bell e di Brody, i loro personaggi sono irrimediabilmente collegati alle due iconiche serie tv che li hanno resi volti noti.
In Joanne l’affezione della memoria del pubblico rivede Veronica Mars, e in Brody Seth Coen, quindi due emblemi del teen generazione del nuovo millennio. Tale tentativo di far riemergere il classico-nostalgico nel nuovo lo si vede anche nella nuova stagione, introducendo per un episodio Leighton Meester, un altro volto caro al pubblico teen. Così, di colpo, l’ibrido nostalgico è servito, collocando nella stretta relazione tra The O.C. e Veronica Mars, Gossip Girl.
La serialità non è nuova a far incrociare più prodotti virali in una o nell’altra serie, ma in questo caso parliamo di una dinamica più potente del tipico cross-over. Assistiamo invece a personaggi che riproducono l’immaginario di una generazione televisiva. Ciò favorisce il successo della serie Netflix, potendo essere confortevole e nostalgica allo stesso tempo. Garantendosi un pubblico che rivive i ricordi di un’epoca televisiva passata, e una serialità che sembrava essere tramontata.
New Girl e l’ostacolo delle terze stagioni
Le seconde o terze stagioni sono sempre un ostacolo abbastanza rischioso per commedie romantiche serializzate, vivendo del passaggio verso la maturazione o nello stallo. Dinamica che non tocca solo Nobody Wants This, ma anche prodotti precedenti alla serie Netflix. È accaduto ad una celebre “sit-com senza risate”, New Girl, trovando un freno non nella seconda ma nella terza. Nick (Jake Johnson) e Jess (Zooey Deschanel) dopo aver valutato, per due stagioni, se innamorarsi o meno, trovano il lieto fine nel finale della seconda durante il matrimonio poi saltato della migliore amica di Jess Cece (Hannah Simone).

Il rischio – far mettere assieme dopo solo due stagioni Jessica Day e Nick Miller – diventa reale nella terza stagione. La nuova coppia del vecchio loft scopre come questo sia nuovo, irrespirabile per il transfert dall’amicizia all’amore. Così anche le gag slapstick comedy, motore della serie, perdono il loro senso. Alla fine della stagione Jess e Nick si lasciano, permettendo al meccanismo di New Girl di reinventarsi dalla quarta stagione.
Love e il finale aperto
Succede la stessa cosa a Love, serie Netflix creata da Paul Rust, Lesley Arfin e Judd Apatow. L’originalità della rom-com è sfidare l’estetica convenzionale, creando il mito romantico tra un improbabile nerd (Paul Rust) e la carismatica bad girl Mickey (Gillian Jacobs). Le prime due stagioni trovano un’antitesi narrativa che mette in dubbio ciò che lo spettatore crede di sapere delle relazioni romantiche, ponendo la bella della serie, prima desiderata e irraggiungibile, ossessionata dal ragazzo.
Nella seconda avviene l’opposto; Gus, nella relazione, fa difficoltà a mantenere e sostenere gli umori di Mickey con alti e bassi che trovano sempre nel finale un lieto fine. La terza stagione, in primis per ragioni produttive e non creative (Netflix decide di chiudere la serie), fa una certa fatica a rendere drammaturgicamente conflittuali i contrasti tra i due (almeno rispetto alle precedenti stagioni) e il matrimonio finale appare come un compromesso per chiudere il cerchio imposto ma non realmente voluto. I finali stagionali alla Love – rinsaldare l’amore anche quando sembra perduto – sono una costante nella struttura dei plot romantici con alcune eccezioni.

La negazione ripetuta del lieto fine in Sex Education
Differisce da questa regola un’altra serie Netflix ma di produzione inglese : Sex Education. Creata da Laurie Nunn, la serie si occupa di un tema di fondo il quale maschera quello di sfondo destinato a diventare centrale in termini di economia seriale. L’educazione sessuale alla base di Sex Education dovrebbe essere il vero motore centrale della serie, ma finisce per essere un’altalenate teen drama romantico tra i protagonisti Otis (Asa Butterfield) e Maeve (Emma Mackey).

Mentre il liceo inglese subisce una trasformazione inclusiva della generazione contemporanea, il duo romantico è soggetto ad una continua negazione del lieto fine; per tre stagioni il finale diventa un ripetitivo “cliffhanger” allontanando l’unione romantica tra Otis e Maeve. Nella prima stagione il protagonista bacia un’altra impedendo a Maeve di dichiararsi. Nella seconda i messaggi sulla segreteria di Maeve, lasciati da Otis, vengono cancellati dalla gelosia di un inaspettato rivale per la coppia, e nella terza l’amore è impedito per le aspirazioni di Meave in procinto di trasferirsi negli Stati Uniti per seguire un corso di scrittura. Il non lieto fine, perennemente rinviato in Sex Education, risponde a chiare esigenze produttive, consentendo alla serie di proseguire per altre stagioni rispetto alla sua conclusione naturale.
L’amore sospeso e i personaggi trasversali
Un meccanismo simile ma opposto lo ritroviamo nella seconda stagione di Nobody Wants This. La serie di Erin Foster si chiede nella prima stagione se l’impedimento religioso possa consentire a Joanne e Noah di abbattere le differenze culturali in favore dell’universalità del più alto tra i sentimenti: l’amore. E in entrambe le stagioni la religione mette alla prova la relazione tra i protagonisti. Noah è combattuto tra i suoi precetti ebraici, l’obbiettivo di diventare rabbino, e l’amore impossibile per l’agnostica Joanne. Tradizioni e conformismo rappresentano l’antitesi della serie, e il loro superamento, in nome del mito romantico, la tesi che nella seconda stagione è più una sintesi ripetitiva della prima.

Non è un caso che la nuova stagione si concentri essenzialmente sul contrasto tra Joanne e la sorella Morgan (Justine Lupe), sospendendo nella sua apparente stabilizzazione la relazione tra Bell e Brody. È sempre lì presente il nocciolo della questione: la conversione o meno di Joanne. Ma non viene affrontata quasi mai se non negli episodi finali. Anche questa dinamica risponde ad esigenze produttive : allargare il brodo per le successive stagioni, dando più spazio ad altri personaggi. Così viene messa più in risalto Morgan e il fratello di Noah Sasha (Timothy Simons) alle prese con i suoi problemi matrimoniali con la moglie Esther (Jackie Tohn).
L’approfondimento dei personaggi verticali che diventano improvvisamente centrali è una costante della commedia romantica serializzata. In Love, nella seconda stagione, emergono Bertie (Claudia O’Doherty), la coinquilina di Mickey, e Chris (Chris Witaske) il migliore amico di Gus. Perfino nella sit-com per eccellenza Friends la dinamica tra Ross (David Schwimmer) e Rachael (Jennifer Aniston) viene accantonata e ripresa nei finali di stagione, rendendo centrale il rapporto tra Chandler (Mattew Perry) e Monica (Courtney Cox).
La ripetizione del finale in Nobody Wants This
In Nobody Wants This, però, si denota l’esigenza di allontanare il plot romantico ripetendo l’arco dei protagonisti, i quali rimangono immobili e sempre al punto di partenza. Mentre per altre serie il comprendere come funzionino dipende essenzialmente o dal suo inizio o dalla conclusione dei singoli episodi, la rom-com con Bell e Brody ha una limpida identificazione strutturale nei finali stagionali. Joanne e Noah della prima stagione si rincorrono in mezzo al traffico per non lasciarsi, situazione ripetuta in questa seconda stagione. Le problematiche rimangono, non vengono risolte. Joanne non vuole convertirsi o non è ancora pronta. Noah non può accettarlo anche se finge di farlo. Eppure ancora una volta il tema religioso viene sospeso, irrisolto.

Lo spettatore si identifica nella nostalgia e meno nella serie stessa
Ripetendo una dinamica amorosa che è sempre la stessa. Fintamente nuova. Questo punto cruciale per Nobody Wants This avvalora la sua natura da confort-series. L’intelligente mossa di Foster e Netflix è l’ aver inserito la moglie di Brody e simbolo di Gossip Girl, creando un mastodontico hype durato per quasi un anno. La nostalgia ha reso la secondo stagione, agli occhi del pubblico, una vecchia conoscenza e nel contempo confortevole. In linea con rodati schemi a metà tra la commedia scorretta (ma non eccessiva) e la sit-com, la curiosità per il proseguimento romantico tra Joanne e Noah ha stimolato l’interesse dello spettatore senza preoccuparsi di doverli abbandonare. Anche per questo, separatamente, vengono analizzati i percorsi dei protagonisti; Joanne nelle incomprensioni relazionali con la sorella, e Noah alla prese con una nuova sinagoga, accessoriata come una innovativa azienda moderna ma svuotata del culto sacrale.
Nobody Wants This, paradossalmente, dovrà trovare la risposta nei suoi finali, evitando la sindrome dell’eterna ripetizione di Sex Education o del continuo indecisionismo di Love. In sostanza Joanne e Noah dovranno iniziare a comportarsi come una vera coppia, esponendo punti favorevoli e criticità. Solo in questo modo la serie Netflix potrà garantirsi un solido futuro nelle successive stagioni. E lo potrà fare solo se il finale diverrà il motore-evento della storia e non solo la ripetizione di questa.
Nobody Wants This 2 – La Recensione