Diretto dal francese Alexandre Aja, noto per i suoi horror viscerali come The Hills Have Eyes e Crawl, Never Let Go – A un passo dal male si immerge in un’atmosfera opprimente di isolamento e paranoia familiare, ambientata in un bosco fitto e ostile che diventa quasi un personaggio a sé.
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Un legame fisico e costante come regola di sopravvivenza
La storia ruota attorno a una madre, interpretata da Halle Berry, e ai suoi due figli gemelli, Nolan e Samuel (rispettivamente Percy Daggs IV e Anthony B. Jenkins), costretti a vivere in una capanna fatiscente per sfuggire a un “male” indefinito che infesta il mondo esterno. L’unica regola di sopravvivenza è un legame fisico costante: corde che li tengono ancorati alla casa, perché “non devi mai lasciar andare”. Il film gioca con l’ambiguità tra realtà e illusione, trasformando la protezione materna in un’ossessione che erode i confini tra amore e follia.

Tra tensione, paura e intensità
Halle Berry, qui lontana dal glamour hollywoodiano, incarna una figura materna ferina e logorata dal tempo e dalla paura, con un’intensità che trasuda da ogni gesto e sguardo. I suoi figli, giovani attori esordienti, reggono il confronto con naturalezza: Daggs IV porta un dubbio razionale che squarcia la routine claustrofobica, mentre Jenkins aggiunge una devozione quasi mistica che amplifica il dramma familiare. Aja, maestro nel creare tensione attraverso l’ambiente – con inquadrature che sfruttano il sottobosco e i rumori lontani per instillare un’angoscia costante –, mescola elementi di survival horror e folk horror, evocando echi di Bird Box o The Witch, ma con un focus intimo sul trauma generazionale e sul peso della genitorialità in un mondo collassato.

Un ritmo ipnotico
La prima parte cattura con un ritmo ipnotico, dove il semplice atto di legarsi con una corda diventa metafora di vincoli invisibili: la casa, un rifugio precario fatto di legno marcio e ricordi sbiaditi, amplifica il senso di vulnerabilità. Qui, il film eccelle nel costruire un folklore personale, fatto di rituali quotidiani e sussurri sul “male” che potrebbe essere tanto soprannaturale quanto psicologico. La fotografia di Maxime Alexandre, con i suoi verdi cupi e ombre lunghe, contribuisce a un’immersione sensoriale che fa percepire il bosco come una minaccia vivente, mentre il sonoro – crepitii, fruscii e silenzi tesi – lavora in sinergia per tenere lo spettatore sul filo del rasoio. 
Interrogativi aperti che diventano riflessioni
Tuttavia, man mano che la narrazione avanza, il film si addentra in un territorio più filosofico, esplorando temi come la trasmissione del terrore familiare e la linea sottile tra difesa e controllo. Questo spostamento introduce colpi di scena che mirano a ridefinire la percezione della minaccia, ma a volte frammentano il flusso, lasciando interrogativi aperti che invitano a riletture multiple – o, al contrario, a un senso di incompletezza. Aja sembra ambire a un’allegoria sul “parenting elicottero” e sulle eredità emotive, ma il passaggio da horror puro a riflessione introspeettiva non sempre si rivela fluido, con momenti che privilegiano l’ambiguità a scapito di una risoluzione coesa. Le creature, mostrate con un mix di effetti pratici e digitali, aggiungono un tocco di body horror grezzo, ma il loro ruolo rimane enigmatico, quasi un’eco di paure represse piuttosto che un antagonista tangibile.

Un’anima intima e disturbante
In definitiva, Never Let Go è un esercizio di suspense che brilla per la sua economia narrativa – girato in un’unica location con un cast ridotto – e per le performance che ancorano l’intero intreccio. È un film che premia chi apprezza l’horror psicologico e le storie di legami familiari tesi al limite, offrendo spunti su come la paura possa forgiare o distruggere. Uscito nelle sale nel settembre 2024, prodotto da Lionsgate con un budget contenuto, si inserisce nel filone degli horror pandemici, ma con un’anima più intima e disturbante. Se siete pronti a confrontarvi con un bosco che sussurra segreti oscuri, questo è un viaggio che vi legherà stretto, anche dopo i titoli di coda.
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