Marshmallow è il primo lungometraggio di Daniel DelPurgatorio, in programmazione mercoledì 29 ottobre al Trieste Science+Fiction Festival, fa uso degli stilemi del cinema horror per costruire un racconto che lascia fino all’ultimo col fiato sospeso. Due sono i film fondamentali per comprendere l’opera, il primo è il rivoluzionario horror fantascientifico La cosa (1982) ed il secondo è il classico slasher Venerdì 13 (1980). Il debito nei confronti del film di John Carpenter, che già dal poster ufficiale del film risulta evidente, riguarda la riflessione che emerge nel finale sul concetto di limite e di morte. Dall’opera di Sean S. Cunningham viene preso in prestito l’immaginario del campo estivo nel bosco, un topos cinematografico rievocato in modo diretto dalla battuta 
“Perché i campeggi sono sempre così inquietanti?”

Marshmallow, Daniel DelPurgatorio
L’indizio dell’acqua
Tutto il film è percorso da un simbolismo legato all’elemento dell’acqua, seguirne l’evoluzione permette di vedere un’unità di senso in un’opera che a tratti appare frammentata. L’incubo con il quale si apre ‘Marshmallow’ introduce lo spettatore ad una dimensione ambigua, un racconto a cavallo tra due mondi, due opposti lati della stessa esperienza; l’angosciante legame tra il protagonista e l’acqua che ne inonda i sogni è a talmente profondo, che la censura onirica la sostituisce al suo stesso sangue. Questo elemento sembra la metafora della personalità del giovane Morgan, un bambino insicuro che si sente socialmente alla deriva, incapace di fare parte della realtà che lo circonda. Queste circostanze rendono il soggiorno estivo al campo un rito di passaggio, si ha la sensazione che sopravvivere all’interazione forzata sia una tappa evolutiva fondamentale. Ma quello che sino ad un certo punto può sembrare un classico film slasher, a tratti anche un racconto sulla paranoia erede di ‘Society’ (1989), si trasforma in un’opera fantascientifica distopica. L’elemento che credevamo essere la metafora della fragilità del protagonista, di una radicale paura che ne ostacolava il desiderio di aprirsi al mondo, si rivela essere legato ad una tematica più ampia ed universale; l’acqua si trasforma in liquido amniotico laddove emerge la morte, tema che non viene però trattato secondo i canoni del cinema slasher come ci si sarebbe aspettati.
Liquido amniotico o veleno?
Nel sottogenere horror del quale fa parte Venerdì 13 la morte è sempre legata a dinamiche pulsionali: i desideri dei protagonisti vengono rimossi da un’istanza contraria, il mostro, un agente surrettizio e censorio. La questione della morte e qui invece trattata da un punto di vista etico ed esistenziale, uno spostamento dovuto al fatto che al pazzo omicida viene sostituito un uomo di scienza; sebbene infatti i medici che si celano dietro le misteriose figure che appaiono nel campeggio non abbiano intenzioni omicide, risultano però essere gli autori di un piano che racchiude una mostruosità deontologica. L’idea di sfruttare la più profonda tragedia umana, ovvero l’insondabile mistero della morte e il conseguente trauma della perdita dei propri cari, riscrive la nostra visione del mondo. L’uomo è un essere per la morte: la sua progettualità assume senso solo in virtù di tale limite. Privi di questa dimensione diventiamo altro. Persino la perdita del proprio bambino deve essere affrontata, vivere con una copia del proprio figlio afferma l’idea di poter posticipare perennemente l’esperienza della perdita; viene così simulata la condizione di una gravidanza senza fine, nella quale inevitabilmente quel liquido amniotico, che garantisce la vita, si trasforma in veleno. 

Marshmallow, Daniel DelPurgatorio
Gli androidi sognano pecore elettriche?
Nascosto sotto diversi livelli narrativi il finale tenta di farsi erede de La cosa. Lo scandalo di ciò che ci viene mostrato non risiede infatti nell’idea di riuscire a porre rimedio alla morte attraverso un sapere tecnico, ma nella superficialità di questa operazione. Leggerezza racchiusa in una contraddizione. Da una parte il dott. Collins, dopo aver spiegato cosa sta succedendo al campo, esclama con frustrazione “cosa c’è di così male?”; dall’altra parte uno dei collaboratori non è in grado di dire cosa esattamente siano i non-morti che stanno creando. Come nel film di Carpenter la posta in gioco è la natura della soggettività. Ci si domanda se possa esistere un ente al quale ci riferiamo e al quale attribuiamo una volontà (e forse una coscienza), che però elude ogni nostra comprensione. L’equipe di medici che tenta di dare nuova vita alla morte si comporta come quella società descritta da Philip K. Dick, nella quale vengono costruite copie dell’uomo, senza però sapere cosa esattamente si stia creando. 

Marshmallow, Daniel DelPurgatorio
Dubbi che restano irrisolti
Nonostante il film offra innumerevoli spunti di riflessione, tenta infatti di affrontare in modo critico temi etici ed esistenziali che per l’uomo rimangono senza risposta. Dal punto di vista cinematografico si mostra carente sotto diversi punti di vista. Nella transizione dall’horror al fantascientifico il ritmo sembra risentirne, sono inoltre presenti alcune ingenuità di scrittura nelle sequenze che più direttamente richiamano gli stilemi dello slasher. Il risultato è un film che sembra aver voluto dire troppo, finendo spesso e volentieri per perdere di vista la forma.
La nota che più stona è però il finale, gli ultimi minuti dell’opera rivelano in modo chiaro una risposta alle domande sollevate fino a quel punto; l’uomo commette peccato nel momento in cui supera la soglia invalicabile della morte, per questo motivo il suo atto di hybris apre uno scenario apocalittico. La pregnanza dei dubbi e delle questioni che emergono dal film subisce un arresto netto. Si fa un passo indietro come a dire:
“Io non pretendo assolutamente in questo modo di spiegare quel grande mistero dal quale tutto l’universo dipende.”