Tra thriller, tecnologia e humour nero: ‘The Iris Affair’ esplora il lato assurdo dell’intelligenza
Firmata da Neil Cross e diretta da Terry McDonough e Sarah O’Gorman, la nuova serie Sky unisce azione, mistero e satira in una storia dove nulla è come sembra. E tutto ruota attorno a un supercomputer chiamato Charlie Big Potatoes.
Quando una serie televisiva apre con una scena in cui un uomo viene massacrato mentre una donna lo osserva impassibile e un adolescente assiste con crescente orrore, capisci subito che non sei davanti al solito crime da salotto. The Iris Affair – tech-thriller con tinte action, spy drama e un tocco di commedia dark – è disponibile dal 17 ottobre su Sky e NOW. La nuova serie inglese Sky Original, scritta da Neil Cross (già creatore di Luther), prende l’impianto classico del thriller ad alta tensione e lo rielabora in chiave pop, surreale, spiazzante. Un ibrido ambizioso e a tratti prepotente, che si lancia a tutta velocità tra scene d’azione, intelligenze artificiali ribelli e codici impossibili da decifrare.
Al centro della storia troviamo Iris Nixon, interpretata da una glaciale ma magnetica Niamh Algar (Mary & George, The Virtues). Iris è una mente geniale, specializzata nella risoluzione di puzzle complessi, tanto brava quanto priva di trasporto emotivo. Una donna che ha fatto della logica la sua armatura, almeno finché le cose non iniziano a sfuggirle di mano. È lei la chiave per decifrare il mistero dell’attivazione di una macchina quantistica, costruita da un altro genio finito nel baratro della follia.
Attorno a lei, ruota la figura affascinante e ambigua di Cameron Beck, un imprenditore visionario e potentemente inquietante, a cui Tom Hollander (The White Lotus, Feud: Capote vs. The Swans) presta volto e voce con la consueta eleganza venata di pericolo. Il suo “Charlie Big Potatoes” – sì, è davvero il nome dell’Ai più potente della serie – non è solo un giocattolo narrativo. È una metafora: della tecnologia che ci sfugge di mano, della hybris umana, del potere che non ammette debolezze.
Italia, luogo di caccia e memoria
Girata tra Firenze, Roma, la Sardegna e altri scorci iconici d’Italia, la serie sfrutta il paesaggio come elemento narrativo e non come semplice sfondo. I vicoli, le piazze assolate, i porti decadenti diventano il teatro ideale per una storia in cui il tempo si spezza e si rincorre. I salti temporali sono continui – uno degli episodi comincia due anni prima, un altro ci scaraventa nel giorno dopo rispetto al prologo – ma invece di confondere, creano uno spazio fluido dove il passato informa il presente e ogni dettaglio può essere un inganno.
È un’Italia da cinema internazionale, ma anche uno spazio simbolico dove si consuma la caccia tra genio e nemesi. Non è un caso che la protagonista assuma identità false, si faccia passare per insegnante privata, giochi al doppio e al triplo. L’Italia, qui, è il luogo dove tutto può accadere. E dove, forse, qualcosa può ancora essere risolto.
Alla regia, due nomi che sanno tenere il ritmo
Gli otto episodi della serie sono affidati a due registi esperti nel tenere alta la tensione e nello scavare nei sottotesti: Terry McDonough, già dietro la macchina da presa per Breaking Bad, Better Call Saul e The Street, e Sarah O’Gorman, che ha firmato episodi di The Witcher e dell’acclamato Un gentiluomo a Mosca. La loro alternanza registica funziona: McDonough porta una tensione quasi western, fatta di dettagli e silenzi inquietanti, mentre O’Gorman inserisce un registro più emotivo e sfumato, lavorando sui personaggi e sulle loro zone d’ombra. Insieme, gestiscono il caos con misura e rendono credibile anche l’inverosimile.
Tecnologia, potere e ironia: gli ingredienti di un successo
Il cuore della serie, al di là dell’azione e dei colpi di scena, è la riflessione su potere e intelligenza. Che cosa succede quando una macchina inizia a “pensare pensieri non ancora pensati”? La domanda è scientificamente provocatoria, ma anche eticamente inquietante. L’Ai chiamata Charlie Big Potatoes, creata da un Kristofer Hivju (Il Trono di Spade, Forza maggiore) ormai distrutto dalla sua stessa invenzione, è il nodo attorno a cui ruota il conflitto tra Iris e Cameron.
La scrittura di Neil Cross riesce nella difficile impresa di tenere insieme complessità teorica e ironia leggera. Il nome stesso del supercomputer, esagerato fino al farsesco, è una dichiarazione d’intenti: questa è una serie che non si prende troppo sul serio, pur raccontando cose molto serie. E riesce a camminare sul filo tra eccesso e misura, tra pathos e parodia, senza mai eccedere.
Un cast perfetto per un racconto sopra le righe
Niamh Algar è la scelta ideale per un personaggio come Iris: impassibile ma profondamente carismatica, sa incarnare un tipo di eroina che rifiuta l’eccesso di emozione senza cadere nella freddezza gratuita. È il calcolo che diventa gesto, l’intelligenza che guida l’azione. Al suo fianco, Tom Hollander costruisce uno dei cattivi più affascinanti della stagione, giocando tra megalomania e tenerezza, brutalità e ironia.
I comprimari – tra cui Kristofer Hivju nei panni dello scienziato catatonico Jensen Lind, e Sacha Dhawan (The Great, Doctor Who) come il misterioso gestore di un sito che tiene viva la caccia a Iris – arricchiscono il quadro con sottotrame mai banali e ben calibrate.
Una scrittura che osa e vince
The Iris Affair è il classico esempio di serie che sfida le regole ma sa farlo con consapevolezza. La trama è un costante gioco d’equilibrio tra azione, delirio tecnologico e humour nero. Il tono può virare dalla tensione drammatica alla battuta surreale in pochi istanti, ma grazie a una scrittura solida e al controllo registico, la serie non deraglia mai davvero. Gli intrecci sono volutamente sopra le righe, i personaggi spinti fino all’estremo, ma è proprio in questa esagerazione calcolata che si cela il fascino della narrazione.
Anche la stampa internazionale ha colto questo aspetto, parlando di una produzione che “osa” dove molte preferiscono restare prudenti. Il risultato è una serie che gioca con le regole del genere senza distruggerle, le estende, le sovverte con eleganza, e porta lo spettatore su un terreno dove la sorpresa è l’unica costante. E dove perfino un nome come Charlie Big Potatoes trova perfetta legittimità narrativa.
Il futuro delle serie è (anche) questo
In un panorama televisivo ormai saturo di crime procedural, di gialli nordici e drammi psicologici, The Iris Affair apre un nuovo fronte: quello del thriller ad alta densità simbolica, ma con una leggerezza che sa essere contagiosa. È un prodotto sofisticato ma accessibile, colto ma giocoso. Non ha paura di essere sopra le righe, perché sa che l’intrattenimento vero richiede slancio, esagerazione e un pizzico di follia.
E se alla fine del secondo episodio vi trovate a dire: “Ma cosa diavolo sto guardando?” … Tranquilli. È esattamente quello che vuole la serie. E se restate, vi promette un viaggio tra intelligenze artificiali, passioni umane, fughe rocambolesche e qualche risata inaspettata. E, soprattutto, vi promette Charlie Big Potatoes. Che, diciamocelo, è già un’ottima ragione per non cambiare canale.