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Trieste Science+Fiction Festival

‘Sane Inside Insanity’: 50 Anni del Cult Rocky Horror al Trieste Science + Fiction

Il documentario Sane Inside Insanity racconta mezzo secolo di culto, libertà e appartenenza dietro il fenomeno più irriverente del cinema musicale.

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Sane Inside Insanity

Cinquant’anni fa, nel 1975, The Rocky Horror Picture Show fece il suo ingresso nelle sale con un passo impavido e un rossetto sfacciato, pronto a sconvolgere il pubblico e a riscrivere le regole del musical cinematografico. Oggi, nel 2025, a celebrare quel mito senza tempo arriva Sane Inside Insanity (Il fenomeno del Rocky Horror), un documentario che racconta la nascita, la fortuna e l’eredità di uno dei più longevi fenomeni di cultura pop. Un documentario fratello- Strange Journey- La storia di Rocky Horror- è già stato presentato al Festival del Cinema Ritrovato di Bologna lo scorso giugno, la versione restaurata è stata proiettata nelle sale dell’appena conclusasi ventesima edizione della Festa del Cinema di Roma, mentre il film di Andreas Zerr ha trovato il suo spazio al Trieste Science+Fiction Festival, inserendosi tra le celebrazioni ufficiali del cinquantesimo anniversario del Rocky Horror Picture Show. Un anniversario che non celebra soltanto un titolo, ma un modo di vivere e di stare al mondo.

Il culto che non è mai finito

Come ha fatto un flop al botteghino a diventare uno dei film più proiettati e amati di sempre? Sane Inside Insanity ripercorre le origini di quell’apparente insuccesso: quando uscì nel 1975, il pubblico cinematografico non era pronto per la sua ironia camp, la sua estetica volutamente esagerata e il suo messaggio apertamente queer. Inoltre, a differenza degli spettatori teatrali londinesi, già affezionati allo spettacolo The Rocky Horror Show, quelli del grande schermo non conoscevano né i volti né i nomi del cast, che Jim Sharman, con audacia, confermò anche per il suo adattamento cinematografico. La critica rimase perplessa, le sale si svuotarono, e il film sembrò destinato all’oblio.

Ma il suo vero e celato potenziale risiedeva nella comunità che, sin dagli anni Ottanta, ha trasformato le proiezioni notturne del film in una liturgia collettiva. Sane Inside Insanity dà voce a fan storici, performer e organizzatori di “shadow cast” (le proiezioni dal vivo in cui il pubblico recita e canta insieme al film), mostrando come l’esperienza del Rocky Horror abbia travalicato i confini del cinema per trasformarsi in un rito di appartenenza e liberazione. La macchina da presa di Zerr cattura il lato più umano di questo culto e le confessioni di chi, travestendosi da Frank-N-Furter o da Magenta, ha trovato un modo per essere se stesso senza paura. La forza delle immagini sta nel mostrare come The Rocky Horror Picture Show abbia rappresentato, per generazioni di outsider, un porto sicuro, un luogo dove la diversità non è solo accettata ma celebrata con orgoglio.

Un film figlio del suo tempo, fuori dal tempo

Il 1975 era un anno di transizione. Il post ’68 aveva lasciato in eredità un’onda di libertà sessuale e di ribellione ai codici borghesi, ma la società occidentale stava già rientrando in un clima più conservatore. In questo scenario, The Rocky Horror Picture Show esplose come un meteorite glam in un cielo che tornava grigio, unendo il gusto del kitsch alla provocazione queer, la parodia ai desideri più profondi.

Ciò che rese rivoluzionario il film di Jim Sharman, e che Sane Inside Insanity ricostruisce con passione, fu la sua capacità di fondere linguaggi e generi fino ad annullarli: musical, horror, fantascienza, commedia erotica e cabaret si mescolano in un impasto visivo e sonoro che non obbedisce a nessuna regola, anticipando la fluidità culturale e identitaria che oggi diamo quasi per scontata. Negli anni Settanta nessuno aveva mai visto nulla di simile. Un protagonista androgino e seducente, interpretato da Tim Curry, che sfidava apertamente i ruoli di genere, un’estetica ispirata al rock eccentrico di Bowie e una colonna sonora che mescolava rock, swing e musical classico in un’unica, elettrizzante dichiarazione d’amore per la libertà individuale.

Il film cambiò la storia del cinema perché ruppe il patto di passività tra schermo e spettatore. Chi ne faceva esperienza non poteva restare fermo sulla poltrona, era chiamato a partecipare, a rispondere, a gridare e ballare. Nasceva così una forma inedita di fruizione collettiva, un cinema che diventava performance condivisa, rito identitario di liberazione personale.
Il documentario mostra con efficacia come questa dimensione partecipativa, ancora oggi viva nelle proiezioni e nei festival di tutto il mondo, sia parte integrante della sua eredità artistica. Il Rocky Horror non fu solo un film che raccontava la trasgressione, fu esso stesso un atto di trasgressione cinematografica.

Un amore che si rinnova

Sane Inside Insanity si propone come un grande atto d’amore per il cinema e per chi lo abita, davanti e dietro lo schermo. Il ritmo alterna momenti di riflessione a frammenti di performance, con un montaggio che ricalca la pulsazione del musical originale: un continuo time warp tra passato e presente. Non mancano gli omaggi ai protagonisti storici quali Tim Curry, Susan Sarandon, Richard O’Brien, ma il vero cuore pulsante del film resta il pubblico, quella moltitudine di corpi e voci che da cinquant’anni tiene viva la fiaccola del culto.

Il documentario suggerisce che il cerchio del Rocky Horror Picture Show non sarà mai destinato a chiudersi e che il fenomeno continua a vivere ogni volta che qualcuno indossa un corsetto o lancia un riso in sala. È cinema che sopravvive al tempo perché si rinnova attraverso la partecipazione, diventando un linguaggio universale di identità e libertà.
E forse è proprio questo il suo segreto, l’aver trasformato la follia in consapevolezza, l’eccesso in affermazione, la diversità in festa. Cinquant’anni dopo, il Rocky Horror non ci invita più soltanto a “fare il Time Warp”, ma a ricordare che la più grande trasgressione resta quella di essere se stessi sempre, ovunque e con orgoglio.

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Sane Inside Insanity (Il fenomeno del Rocky Horror)

  • Anno: 2025
  • Durata: 100 minuti
  • Genere: Documentario
  • Regia: Andreas Zerr