Alla sua 22a edizione, Sedicorto fa di Forlì, per dieci giorni, un centro internazionale del cortometraggio, in cui si celebra la passione per il cinema a tutto tondo. Per parlarci del Festival, e della forma cortometraggio, di cui è tra i più grandi esperti in Italia, abbiamo intervistato il suo direttore, Gianluca Castellini.
Qual è la specificità di un Festival come Sedicicorto?
Innanzitutto, la particolare cura nella scelta dei cortometraggi e la ricerca costante per trovare film che possano essere alternativi rispetto a quello che il panorama italiano dei Festival offre. L’altra specificità è la continua ricerca nel creare dei momenti collaterali che possano coinvolgere e incuriosire il pubblico, al di là di quello che può essere il classico meccanismo di votazione.
Sedicicorto, infatti, celebra non solo il mondo del cortometraggio, ma la stessa passione per il cinema. Quanto è entusiasmante, ma anche complicato, mettere insieme tutto questo in un Festival?
Io credo che un Festival debba contemplare diversi piani. Noi, ad esempio, affrontiamo dei percorsi storici che riguardano il cinema delle origini, il rapporto tra cinema e letteratura, valorizzando il territorio con aziende di prodotti d’eccellenza, cercando di agganciarli a un film, per creare un connubio. Anche il percorso che facciamo con le scuole esula dal classico itinerario: coinvolgiamo i ragazzi con format specifici in cui li invogliamo ad analizzare film e scriverne. L’anno scorso è partito un progetto che si chiama Lettera al regista, in cui ragazzini della scuola primaria guardano un film e, sulla base delle suggestioni ricevute, scrivono una letterina al regista. Noi fungiamo da postini, con il regista che risponde.

I vincitori delle varie sezioni di Sedicicorto
Che annata è stata questa per la selezione dei cortometraggi in concorso?
Negli ultimi anni non ci sono state annate in cui ritengo la selezione abbia subito impennate verso l’alto o il basso. Quantitativamente, da una decina d’anni, noi ci attestiamo sui 3.500/3.600 titoli che ci arrivano. Nella moltitudine, la selezione non dico sia facile, ma ti offre talmente tanti spunti che si riesce a fare una scelta qualitativamente importante. Oltre a questo, c’è una personale ricerca che faccio io stesso, attraverso altri Festival internazionali, non italiani. Guardo molto al Medio Oriente e ai Paesi asiatici. Nel cinema di animazione, quello asiatico è un faro. Nella fiction, è più facile vedere un lungometraggio che un cortometraggio dalla Sud Corea o dal Giappone, non perché ci sia mancanza di talenti, ma per un discorso distributivo.
Il cortometraggio è solo una palestra per il lungometraggio?
Direi proprio di no. Al di là del fatto che sto notando che il passaggio da corto a lungo non è più irreversibile. Ultimamente, anche chi raggiunge il sogno di approdare al lungometraggio, poi, indipendentemente dal successo più o meno importante, ha questo desiderio di tornare a sperimentare nel corto. Io credo che un regista abbia nel cassetto tante ipotesi di sceneggiatura e realizzarle tutte nel lungometraggio è una chimera, perciò c’è questo doppio binario.
Che cosa è capace ancora di sorprenderti in un cortometraggio?
Uno, dopo tanti anni, pensa di aver ormai visto tutto. In realtà, come è successo anche quest’anno, ci sono stati film che mi hanno sorpreso, Water Sports di Whammy Alcazaren su tutti. Mi ha meravigliato il suo modo di raccontare. Mi sono immerso nell’habitat che lui ha voluto mostrare, percependo un mondo diverso. Di film che riguardano l’ambiente o storie sentimentali ne abbiamo visti tanti e in Water Sports c’è tutto questo, ma in una messinscena con delle scelte estetiche così diverse, rispetto agli standard, che mi ha stupito.

Roberta Palmieri e Olga Sargenti, vincitrici della sezione Cortinloco con Ziki
Accanto alla sezione in concorso di Sedicicorto, ne spiccano altre come Supercazzola, Radici, Lebanon o Crazy Short. Che contenitori sono stati?
Sono stati un tentativo, secondo me riuscito, di esplorare alcune tematiche. La Supercazzola è un chiaro omaggio ad Amici miei, alla goliardia, al film con inclinazione verso la commedia. Generalmente, c’è una preponderanza di temi drammatici, la Supercazzola è un modo per sdrammatizzare. Radici appoggia il nostro tentativo di veicolare sempre un messaggio ecologico, promuovere un sentimento legato all’ambiente, per questo abbiamo creato questa sezione dedicata all’albero come protagonista. In Lebanon abbiamo fatto un focus sul Libano, perché ogni anno individuiamo un Paese da esplorare. Il nostro Crazy Short è stato, invece, il succitato Water Sports, qualcosa fuori dagli schemi.
Che bilancio complessivo puoi fare di questa 22a edizione di Sedicicorto?
Il bilancio è positivo, in termini di partecipazione e di occasioni di confronto, sia con il pubblico che con gli ospiti arrivati. Poi io valuto il bilancio anche su quanti incidenti di percorso ci sono stati: pochissimi e tutti facilmente rimediabili. Quindi direi che è andata anche meglio di quanto mi aspettassi.
Questa è stata la prima edizione del Festival senza uno storico amico e collaboratore di Sedicicorto come Paolo Micalizzi, cui hai anche dedicato un premio e un incontro. Cosa ti manca di più di lui e qual è stata la sua lezione più grande?
La lezione più grande il suo esempio di vitalità, che gli ho sempre invidiato, nonostante l’età ormai avanzata. Il suo mettersi continuamente in gioco, anche quando affrontava esperienze ripetute, perché era abituato ad andare a tanti Festival da decenni, senza mai avere un’assuefazione a quel tipo di contesto. Per lui erano tappe fondamentali del proprio tempo. Mi ricordo che, tutte le volte che ne finiva uno, mi chiamava dal treno (lui viaggiava solo così) e mi diceva d’aver incontrato qualcuno che gli aveva dato uno spunto, un’idea. I Festival gli facevano accendere delle lampadine, aveva un’inesausta capacità di creare nuovi progetti. Mi manca, poi, la sua paranoica presenza telefonica, che all’inizio non sopportavo, ma ora ne sento un’enorme mancanza. La scorsa edizione di Sedicicorto è stata il suo ultimo Festival, è deceduto una settimana dopo. In questi giorni ci ho pensato spesso, ogni tanto mi giravo, guardavo il cancello e immaginavo che me lo sarei visto arrivare con il suo impermeabilino, il passo inconfondibile. Ormai lo consideravo un immortale. Aveva 86 anni, però non vedevi in lui un cedimento fisico e, soprattutto, intellettuale.

il regista Whammy Alcazaren e il produttore Alemberg Ang
Quali sono i momenti che più porterai dentro di te di questa edizione di Sedicicorto?
Sono tre le fotografie che mi sono rimaste particolarmente impresse. La prima legata ai due ospiti filippini: il regista Whammy Alcazaren e il suo produttore Alemberg Ang, praticamente due fumetti viventi, che appaiono e s’illuminano. La seconda è stata il concerto dei Flower Tide: un momento veramente magico. Hanno creato un’atmosfera incredibile in un contesto che non è il loro, perché sono più abituati a suonare nei night club, ma sono riusciti a costruire una sintonia fortissima con il mondo del cinema. La terza, l’intesa che si è creata con il gruppo dei volontari del Festival: molti erano studenti in un progetto di alternanza scuola-lavoro, ma così contenti di esserci che non contavano più le ore. Erano entusiasti di quello che facevano, hanno legato molto, si è creato veramente un bel clima.
Quali prospettive vedi per le prossime edizioni di Sedicicorto?
Sulle prospettive lascio aperto un punto interrogativo. L’ultimo giorno abbiamo fatto una riunione tra alcuni direttori di Festival. E fra tutti si avverte un forte disagio, che parte dal solito tormentone economico, ma investe anche tantissime altre problematiche. Ormai c’è una forte saturazione di queste manifestazioni e diventa difficile riuscire a collocarsi. Sì, certo, se sei bravo emergi, però sai benissimo che l’Italia non è un paese meritocratico e non sempre vai avanti perché sei stato bravo a creare contenuti. Per cui le difficoltà sono sempre di più, persino la semplice collocazione di data per non sovrapporti a un altro Festival che, magari, è un tuo vicino di casa. Noi, qui a Forlì, per esempio, abbiamo tre Festival quasi tutti in contemporanea. Per cui fuggo dalla solita frase fatta noi andiamo avanti per conto nostro, perché comunque ti devi relazionare con il territorio e un pubblico sempre più esigente. Quindi è una scommessa aperta.

Gianluca Castellini