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Mentelocale. Visioni sul territorio

‘Through the roots’: l’anima parla

Danza, memoria e identità: un viaggio brutale e necessario alle radici dell'esistenza.

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Sarà presentato al Mente Locale Festival un lavoro che scuote. Non è una favola, né un documentario d’archivio. Through the roots, diretto da Maria Ponomariova è la cronaca di una ricerca interiore condotta attraverso il corpo e la memoria. Il coreografo torna indietro, non per nostalgia, ma per scavo. Non c’è un copione, solo l’istinto. La telecamera non è un testimone passivo, ma un bisturi che incide i luoghi dell’infanzia, cercando una verità che le parole non sanno più esprimere. Il movimento diventa il dialogo, un linguaggio visivo primordiale che bypassa la logica. È l’occhio che parla, che racconta i traumi e le silenziose promesse lasciate nei luoghi da cui si è fuggiti. Un pezzo di cinema essenziale, brutale nella sua onestà e necessario per chiunque si senta sradicato.

Il viaggio a ritroso: scontro tra corpo maturo e mappa emotiva

L’opera è strutturata attorno al viaggio documentario del suo creatore: un ritorno fisico e mentale ai luoghi d’origine. Non è un road movie, è un percorso a ritroso, un confronto diretto con gli spazi che hanno formato, e forse deformato, l’identità. Il protagonista utilizza la danza non per esibirsi, ma come mezzo per riesumare il ricordo. La trama è questo scontro: tra il presente del corpo maturo e la mappa emotiva del passato. Il film cattura questa tensione, questa ricerca di una riconnessione con le radici della memoria che sono state recise. Si assiste al tentativo, spesso doloroso, di trovare un senso di appartenenza in un mondo che ha perso ogni punto fisso. La storia è tanto semplice quanto universale: il desiderio di capire da dove veniamo.

La memoria non lineare

È un’opera che rifiuta la facilità del racconto lineare. Through the roots ti lancia subito nel vivo, costringendoti a elaborare il significato tramite frammenti e sensazioni. Il tono è intimo, ma mai autocompiacente. Il viaggio documentario non è un memoir, ma una seduta spiritica con la propria storia. L’obiettivo dichiarato è l’empatia, spingere il pubblico a ricucire i propri strappi, a interrogare le proprie origini. Non si tratta di una terapia di gruppo, ma di un invito al confronto solitario. Il regista utilizza ogni inquadratura per suggerire, mai per imporre. È un cinema che fa male, perché tocca corde sepolte. Richiede attenzione, non distrazione, e non ti lascia scampo una volta che hai accettato la sfida. Il movimento è l’arma con cui si combatte l’oblio.

L’arte del gesto

La scelta di basare l’intera struttura sul linguaggio del movimento evocativo è coraggiosa e vincente. Non c’è spazio per riempitivi o sottotrame inutili. La danza non è uno sfondo, è la narrazione. Ogni passo, ogni gesto, è un capitolo del passato riemerso. In un panorama cinematografico saturo di effetti speciali e dialoghi didascalici, questo cortometraggio è un atto di resistenza. Funziona perché è crudo, quasi minimalista. Il risultato è un’opera di arte viva che rimane addosso a lungo. Ti costringe a rallentare e a rinegoziare la tua relazione con il tempo. Se cercate un intrattenimento leggero, state lontani. Se invece volete confrontarvi con un cinema che scava a fondo nell’anima, Through the roots è un appuntamento da non mancare.

Through the roots

  • Anno: 2024
  • Durata: 15'
  • Distribuzione: Daria Titova
  • Genere: Documentario, Danza (Dance Film), Sperimentale
  • Nazionalita: Paesi Bassi, Russia
  • Regia: Maria Ponomariova