
Die Letze Wette è un’opera al contempo tenera e dissacrante, incentrata sulla paura più atavica e viscerale del genere umano: la morte.
Il cortometraggio di Meike Wüstenberg ci porta nella quotidianità di due anziani signori, che per ravvivare la monotonia dei loro ultimi giorni si divertono a fare una serie di scommesse tra di loro, il cui pegno simbolico è l’ultimo pezzettino di una barretta di cioccolato.
La regia
È una regia estremamente realista, quella di Wüstenberg, in cui predominano i suoni ambientali, ed il montaggio si adatta al ritmo di vita dei due personaggi; l’occhio della regista entra ed esce dalla dimensione più propriamente narrativa per farci in parte assaporare la delicatezza di una quotidianità fatta di amore e di attesa.
L’uso del colore
L’uso magistrale del colore fa da commento al film esplicitandone le dinamiche fondamentali attraverso tonalità simboliche: nel breve prologo antecedente al titolo del film vediamo in due semplici ma efficaci scene un ritratto puntuale e vivido del carattere dei personaggi, che ci è possibile apprezzare grazie ai contrasti dialogici e agli eloquenti movimenti del corpo degli attori, e la definizione del loro rapporto in quanto coppia, ovvero un rapporto estremamente saldo e sereno; il regista esplicita questo clima domestico di sicurezza e complicità attraverso un uso predominante del marrone, un calore caldo, accogliente, che rappresenta quello che i personaggi provano nell’abitare lo spazio in cui si trovano l’uno al fianco dell’altro.

Die Letze Wette è un’opera al contempo tenera e dissacrante, incentrata sulla paura più atavica e viscerale del genere umano: la morte.
Dopo il prologo, c’è la comparsa di tonalità che gravitano intorno al bianco ed al grigio, metafore di una profonda solitudine e del pensiero ricorrente della morte, un pensiero sempre presente nella mente dei due personaggi, e a cui ciascuno reagisce a modo suo: in modo più sereno ed ironico lui, ed in maniera più disillusa e pessimista lei. Entrambi continuano tuttavia a darsi manforte attraverso la condivisione il più possibile spensierata di quegli ultimi momenti insieme, e in questo modo la comunione delle loro anime sembra contrapporre al tristo presagio di quelle tinte infauste e fredde un colore caldo e brillante, fatto di calore umano ed un amore inestinguibile.
Uno sguardo ironico
Meike Wüstenberg compie un’importante operazione attraverso quest’opera, perché costruisce una narrazione attorno alla paura più atavica e viscerale del genere umano: la morte.
la regista però non si lascia intimorire, e si fa beffa di quest’ultima insieme ai suoi personaggi, esorcizzando il terrore della fine con la leggerezza di un umorismo condiviso tanto dal regista quanto dai personaggi che mette in scena: nel corto, una volta che l’ anziano ha scoperto l’esito dell’ennesima scommessa fatta con la moglie, ovvero il sesso del figlio di un loro amico, al ritorno nel salotto dove lei la stava aspettando, la trova stesa sul divano, senza vita. Il commento visivo a questo momento drammatico è reso da un’inquadratura di quinta in angle down che vede fuori fuoco il corpo senza vita della donna, mentre la crescente preoccupazione del marito riempie la scena; ad un certo punto la donna inizia a ridere, rivelando che il tutto altro non era che uno scherzo bonario.
La regia in questo frammento è molto elegante nella sua sobria e misurata espressività, che si fa strada nel cuore dello spettatore attraverso un sincero stupore ed un sapiente commento visivo, rendendo l’immagine filmica la protagonista assoluta del climax di questa piccola orditura narrativa perfettamente bilanciata con la tipologia di racconto scelto dal regista.
Un “doppio” finale
Sul finale dell’opera, però, la musica, grande assente per tutto lo sviluppo della narrazione, riveste il suo unico e più importante ruolo all’interno del discorso interpretativo.
In quello che apparentemente sembra il finale, abbiamo una musica romantica ed appassionata in La maggiore, la quale sembra lasciare intendere che il regista voglia celebrare l’amore eterno ed imperituro, simboleggiato qui dalla toccante immagine dei due anziani che seduti sul divano di fronte alla telecamera si stringono l’uno al fianco dell’altra, ma in realtà, quest’atmosfera romantica viene rotta da un’ultima scena in esterna in cui il marito ripaga la moglie con la stessa moneta, e dopo un primissimo piano sul volto dell’uomo che sorride compiaciuto pregustandosi la reazione della donna, scorrono i veri titoli di coda, che rivelano il vero tono dell’opera e dello sguardo della sua regista in tutta la sua prorompente ironia, un ironia colta e misurata, che è riuscita a farci sorridere senza privarci al contempo di emozioni più profonde.