Black Rain in My Eyes è un corto documentario prodotto in Siria e diretto da Amir Athar Soheili e Amir Masoud Soheili. L’opera è in concorso al Sole e Luna Doc Film Festival ed è stato premiato al Nepal Human Rights International Film Festival, al Leuven Disability Film Festival, al Family Film and Screenplay Festival e all’Hollywood North International Film Festival.
La storia pone al centro la figura di Hessan, poeta siriano e padre di quattro figlie non vedenti, e la sua scelta di preservare l’innocenza delle bambine offrendo loro una versione “poetica” della realtà bellica che le circonda. Il film vive di sottrazione più che di esposizione muovendosi per suggerimenti, per contrasti tra ciò che si cela e ciò che rimane.
L’eco della guerra e la forza della poesia
Soheili adotta un approccio nel quale la guerra è assente sul piano visivo diretto: ciò che osserviamo sono le conseguenze, le ferite lasciate, il silenzio che segue il boato. Le bambine toccano e sfiorano bossoli vuoti, percorrono con le mani i fori nei muri lasciati dai proiettili. Vediamo edifici ridotti in scheletri, frammenti di una vita quotidiana bruscamente sospesa. Tra i fotogrammi l’orrore fisico si fa materia: un muro sventrato evoca il corpo distrutto, e quel collegamento mentale tra rovina architettonica e carne mutilata si impone come una verità dolorosa.
In uno dei passaggi più delicati, un pittore si avvicina alle bambine per spiegare i colori del mondo attraverso il tatto: dipinge le loro mani e le invita ad annusarle. In quel momento, l’innocenza e la cecità si intrecciano in una poesia sinestetica: l’odore, la consistenza, il respiro diventano elementi della visione che non hanno bisogno degli occhi. Le immagini vibrano con maggiore intensità, trasformando i limiti in viaggi sensoriali.
La confessione come atto di rinascita
Prima del finale, il padre si apre in una confessione poetica, mettendo a nudo la sua voce ferita, le menzogne che ha costruito, le paure e l’amore smisurato verso le figlie. Poi accade qualcosa che chiude il cerchio: una scuola riprende vita, tornano i colori, i disegni, le presenze vocianti dei più piccoli. Quel gesto suggella il racconto non come semplice sopravvivenza, ma come atto di rinascita. È impossibile rimanere indifferenti al grido che si leva, allo strazio che la guerra esercita sui più giovani e sulla loro innocenza.
In definitiva, Black Rain in My Eyes non offre risposte facili, ma impone un’esperienza di empatia e dolore. È un invito a percepire il peso della guerra nelle sue tracce più sottili e a riconoscere la potenza dell’arte come strumento di resistenza e memoria.
“Queste non sono pallottole, figlie mie, che cadono dal cielo su di noi. Sono stelle che si staccano dal cielo e precipitano sulla terra. Questi suoni che sentite non sono esplosioni, ma la musica delle cerimonie di nozze. Sono grida di festa, non dovete aver paura. Questo mondo diventa per noi bello, duraturo e dolce in un batter d’occhio.
O nostri padri, siamo cresciuti e abbiamo capito che quegli eserciti che attaccavano le nostre case e i nostri villaggi hanno ucciso i nostri vicini con le pallottole. […] Le urla e i pianti dei nostri bambini non erano dovuti alla vivacità del gioco, ma alla violenza delle esplosioni e alle ferite che subivano.
Ma nostri padri, il mondo non resterà così: domani sarà certamente bello.”