The Dam di Giovanni Pierangeli sbarca in Italia passando dal Sentiero Film Festival.
Pierangeli è un regista di origini italiane che vive attualmente in Polonia. 
The Dam è innanzitutto un film giudiziario: la trama riguarda una causa civile che coinvolge Michal e Elzbieta, genitori di un ragazzo scomparso quindici anni prima in prossimità di una diga dove lavorava il padre.
Se Michal vuole chiudere un capitolo dietro di sé e affrontare una sentenza giudiziaria che dichiari la morte presunta di suo figlio, Elzbieta (madre di Grzegorz, il ragazzo scomparso) è totalmente proiettata nella direzione opposta: vive infatti in un limbo in cui alterna disperazione all’attesa che un testimone si faccia avanti portando notizie di suo figlio. 
L’importanza della memoria
Sebbene si abbia l’impressione che la trama si districhi principalmente all’interno di un edificio e di aule adibiti alle funzioni dell’istituzione giudiziaria polacca, il luogo emotivamente più importante per il film è costituito dalla memoria. 
È nella memoria che conosciamo veramente i personaggi, comprendiamo il loro stato d’animo e le radici della vicenda.
Come in un altro celebre film processuale degli ultimi anni, Anatomia di una caduta, l’obiettivo finale della vicenda è arrivare alla verità. Nel film francese quest’ultima è stabilita proprio grazie all’aiuto della memoria e cioè ai ricordi del bambino contenuti nella sua stessa testimonianza in aula. 
In The Dam con la memoria si ottiene però l’effetto contrario. Per Elzbieta è innanzitutto più corretto parlarne in termini di assenza in quanto lei non era presente al momento della sparizione di suo figlio. Per Michal invece i ricordi costituiscono una sorta di purgatorio, un labirinto fatto di sensi di colpa, incertezze e flashback sconnessi. 
Entrambi sono tormentati dal dramma della perdita del figlio senza neanche averne la certezza.
L’uso del linguaggio giuridico
Il film fa largo uso di termini provenienti dal linguaggio giuridico. Si parla di testimoni, di “richiedente” e di “interessato”: i protagonisti possono parlare in aula solo se “interpellati”.
Il linguaggio giuridico è descrittivo, molto specifico e il suo lessico è utilizzato con lo scopo di attestare qualcosa. Non c’è spazio per l’ignoto perché è necessario giungere a una sentenza. Non è possibile, almeno nella fase finale di un processo, affidarsi all’arbitrarietà della mente e del ricordo, che col passare del tempo si indebolisce.
Elzbieta chiede costantemente se si sia fatto avanti un testimone. Si aggrappa cioè a documenti che possano attestare l’esistenza di suo figlio e non la scomparsa.

 
Le metafore del film
Nei flashback di Michal, lo vediamo spesso percorrere un tunnel sotterraneo della diga, del quale non scorgiamo né l’inizio né la fine ma ne percepiamo solo il movimento lungo di esso. Il tunnel rappresenta la piega presa dalla vicenda giudiziaria ma anche il suo stato d’animo.
Da una parte sa di aver già perso suo figlio proprio in quei luoghi, dall’altra non può fare a meno di rivivere quella giornata di quindici anni prima e ripercorrere quegli stessi spazi dentro la sua mente, in un’elaborazione del lutto che assomiglia tantissimo a un limbo senza via d’uscita.
Neve che purifica: la neve potrebbe avere la capacità di pulire i sensi di colpa e gli errori commessi da lui in quanto padre. La neve dona calma e attutisce il peso di quella che forse sente come una negligenza, una mancata assunzione di responsabilità.
Lo stile e le inquadrature
Frequentissima in questo film è l’inquadratura di quinta, che ci posiziona alle spalle di Michal e ci permette di osservarlo anche nei suoi momenti di fragilità. Questa osservazione così ravvicinata dona però talvolta l’impressione che sia Michal stesso a guardarsi da fuori, in una versione di sé stesso totalmente alienata dal lutto, dai sensi di colpa e dalla stessa vicenda giudiziaria, che sembra vivere distrattamente e fuori di sé.
Tra i vari flashback spicca in particolare un ricordo, mostrato con un’inquadratura quasi supina (anche questa “di quinta”) in cui vediamo un giovane Michal osservare impotente un macchinario a funzionamento idraulico della diga. 
Il posizionamento del soggetto così in basso rispetto alla cima del macchinario rende Michal ancora più piccolo  ma soprattutto suscita un sentimento di inferiorità, di impotenza dinanzi a qualcosa che è troppo grande e che probabilmente fa paura. 

 
L’inquadratura del macchinario davanti a Michal cresce in realtà lentamente, dando quasi l’impressione che stia emergendo un tassello della vicenda dapprima celato dalla sua stessa coscienza, quasi un segreto. Più probabilmente questa lenta rivelazione potrebbe rappresentare la comparsa, nella mente di Michal, dell’amara consapevolezza della morte del figlio.
The Dam
Nonostante il ritmo del film sia principalmente scandito dai flashback di Michal e da formule e interpelli di tipo giudiziario, il regista lascia anche lo spazio a un colpo di scena che dona ancora più spessore alla storia e ai personaggi.
La musica di Paulina Derska è infine l’elemento decisivo per quanto riguarda la realizzazione di atmosfere con un’aria sinistra e di mistero.
Nel complesso il film si presenta come una credibile ricostruzione di un processo giudiziario costruito attorno a una vicenda così straziante. Pierangeli azzecca, con lo stilema dell’inquadratura di quinta, l’espediente giusto per raccontare questa vicenda. Il regista riesce inoltre a bilanciare con successo diversi elementi di genere. Il risultato è un film equilibrato, che scava a fondo nell’umanità dei suoi personaggi e con i giusti tempi di scena.