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Sentiero Film Factory

‘Don’t you dare film me now’: essere visti per esistere

Un voyeur tecnologico e un racconto umano, di vita e di morte

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In bilico sul bordo di una piscina, come della vita, sospesa tra la decisione di lasciarsi andare o perseverare. In equilibrio tra il rifiuto di essere osservati, nella propria fragilità e umanità, e il desiderio di osservare. Così, sospeso, tra la vita e la morte, è Don’t you dare film me now, il cortometraggio di Cade Featherstone, già presentato al Corto Weekend Film Festival, e ora in concorso a Sentiero Film Factory. 

L’equilibrio dello sguardo

Sospesa, tra la decisione della vita, e quella della morte, in una piscina con un peso legato al bacino, è la protagonista del cortometraggio di Featherstone. Sospeso, in aria, è il drone che, sorvolando il quartiere, la scopre, la scruta e la riprende. Spingendola, restia a essere filmata nel momento della sua morte, ad allontanarsi dal bordo dell’acqua attendendo che, a morire, sia prima l’oggetto tecnologico, ed estraneo, che passivamente la registra.

E in quel tempo, scandito dal suono delle batterie in esaurimento, il drone la segue, tra gli alberi e il verde intorno alla piscina, in cui lei scappa, in un dialogo, a parole apparentemente a senso unico, quasi surreale, basato sul guardare ed essere guardati. Così come, una volta, lei stessa, danzando, era vista, e ammirata, tra passi di danza e volteggi che sembrano essersene andati con gli anni, insieme ai volti e agli occhi che, dall’altra parte del palco, la guardavano con meraviglia. Assenza, che, forse, spenti i riflettori, è divenuto uno dei motivi di un’esistenza non più degna di essere vissuta.

Don't you dare film me now

L’occhio delle macchine

È lo sguardo voyeuristico del mezzo tecnologico, quello che entra, prepotentemente, nelle fragilità  e nelle debolezze della protagonista. Ed è uno sguardo che si scontra con quello intimo, artistico e umano di cui, nonostante le ritrosie e il rifiuto, quella stessa donna sente la mancanza, ricordando, attraverso i movimenti della mano e del vestito bianco e della vestaglia rosa, spostati dal vento, quei momenti.

“Mi hai visto ballare?” chiede, infatti, sul finale, a un interlocutore sconosciuto e senza volto, ma proprietario di quel drone ormai in fin di vita, con cui l’anziana ha danzato in piscina celebrando una fine che però non è più la sua, e sottolinea quindi, in conclusione, il desiderio di essere vista, guardata, da qualcun altro che non sia soltanto lei, e che, forse non sia nemmeno l’occhio di un mezzo tecnologico. Lo stesso che, però, sembra essere l’unico mezzo, nella contemporaneità, per molti, di esistere, essere ed essere riconosciuti. E che si fa testimone, insistente, anche laddove non gradito, di ogni aspetto della vita, dalla vulnerabilità alla felicità fino alla sofferenza. Come, testimone, e voyeur insieme, vorrebbe essere, persino della morte.