Presentato in anteprima alla Sezione Orizzonti della 82esima Mostra del Cinema di Venezia Le Grand Ciel di Akihiro Hata mescola denuncia sociale e cinema di genere per affrontare il tema delle morti sul posto di lavoro.
Distribuito da No.Mad Entertainment e previsto nelle sale italiane nel febbraio 2026 Grand Ciel ha aperto la quinta edizione del Festival dei Film di Villa Medici.

Akihiro Hata e il suo Grand Ciel
Quanto e in che modo la società francese ha ispirato la vicende del film e con esse la condizione dei personaggi?
Le ha ispirate per intero. Penso che sia una realtà che esiste, ma che è molto poco conosciuta. La percepiamo in maniera piuttosto astratta, ma i cantieri sono per definizione luoghi spesso recintati, non accessibili al pubblico, e quindi non sappiamo bene cosa succeda al loro interno. Il cantiere, a mio avviso, è un luogo che è stato molto poco filmato nel cinema, è piuttosto raro come ambientazione. La sceneggiatura è stata molto nutrita da testimonianze di fatti reali e anche dai miei incontri con gli operai, quindi è davvero uno specchio della società francese e di ciò che accade nei cantieri.
La nube di cemento dentro la quale scompaiono gli operai ricorda quella di The Fog di John Carpenter. Tra i film a cui ti sei ispirato c’è anche questo? Palando del cinema che ti piace quali sono gli autori e i film che preferisci?
The Fog è stata un’ispirazione e, in generale, Carpenter mi piace molto. In The Thing di Carpenter c’è un personaggio contaminato dal “mostro”, non si sa chi sia, e questo tipo di drammaturgia mi ha ispirato. Il buco di Jacques Becker, invece, è un film francese che mi ha molto colpito e dal quale mi sono ispirato soprattutto per il personaggio di Vincent, perché Gaspard, il protagonista de Il buco, porta davvero con sé questa ambiguità morale. Si chiede: «Scappo da solo?» oppure «Scavo il buco con gli altri e ci proviamo insieme?».
Per scrivere il personaggio di Vincent, Gaspard è stato una grande fonte di ispirazione. Tra le mie influenze ci sono anche i film giapponesi che stanno sul confine tra fantastico e naturalistico, ma questo è legato alla mia cultura d’origine. E forse con una certa presunzione, anche i film di Tarkovskij mi hanno ispirato, in particolare il modo in cui filma i luoghi rendendoli vivi: non è semplicemente natura, ma c’è un’atmosfera molto particolare che riesce a creare. Questo mi ha ispirato per l’atmosfera del cantiere.
La scelta di mescolare cinema sociale a una trama di genere conferisce più potenza e coinvolgimento alle scene del film. Questo testimonia come il genere sappia lavorare sull’immaginario della società contemporanea.
Attraverso il cinema di genere e scene con una scrittura più fantastica si riesce a rendere le cose molto concrete. Per esempio, la polvere di cemento nel film: è un elemento che esiste davvero nei cantieri, è qualcosa di molto concreto, ma attraverso la grammatica classica io ho cercato di far incarnare a quella polvere altri significati, più simbolici. Penso che il fantastico possa dare una dimensione più universale, più allegorica di quella che è la minaccia: non è solo una semplice polvere che ci fa tossire — ovviamente provoca anche tumori ai polmoni, questo è un fatto — ma è anche una sorta di male che ci contamina poco a poco, che accumuliamo nel corpo e che finisce per corromperci dall’interno. Naturalmente credo che il ricorso al fantastico mi abbia permesso di apportare queste dimensioni più universali. In quella polvere che vediamo nel film ci si può proiettare moltissime cose.