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Biennale del Cinema di Venezia

Kim Novak riceverà il Leone d’Oro a Venezia: un tributo all’icona di ‘Vertigo’

In occasione del Leone d’Oro alla carriera, Kim Novak ripercorre la sua parabola hollywoodiana: dagli anni d’oro con Hitchcock e Sinatra al ritiro volontario dalla scena.

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Durante una lunga intervista con Deadline, Kim Novak ha ripercorso la sua carriera, parlando con sincerità delle sfide vissute a Hollywood e del motivo per cui, al culmine della fama, ha scelto di ritirarsi. Oggi, a 92 anni, riceve il Leone d’Oro alla carriera alla Mostra del Cinema di Venezia, dove verrà presentato anche il documentario Kim Novak’s Vertigo di Alexandre O. Philippe, omaggio alla sua figura e al suo lascito artistico.

Nel dialogo, Novak ha ricordato episodi significativi — dai contrasti con registi come Preminger fino all’amicizia con Sinatra — ribadendo l’importanza di restare fedeli a sé stessi.
L’attrice ha lasciato il cinema per dedicarsi alla pittura, all’allevamento di cavalli e a una vita lontana dai riflettori. Con grazia e determinazione, Kim Novak rimane una figura unica: non solo un’icona, ma una donna che ha scelto di vivere secondo le proprie regole, conservando intatto il suo fascino senza tempo.

Da modella a star di Hollywood: l’ascesa fulminea di Kim Novak

L’intervistatore ha chiesto all’attrice di raccontare il suo percorso: cresciuta a Chicago, aveva intrapreso un viaggio on the road per promuovere una nuova linea di congelatori domestici e, seguendo il consiglio di una delle due modelle con cui viaggiava, aveva deciso di visitare Hollywood durante il soggiorno sulla costa occidentale. Per puro caso era apparsa come comparsa in un film, venendo poi scoperta e nel giro di due anni era diventata la più grande star femminile del momento. 

 “Sì, esattamente. È stato sorprendente, perché quando sono partita da Chicago per fare la modella i miei genitori mi hanno accompagnata in treno, pensando che sarei tornata presto. Invece al mio ritorno ero già una celebre star del cinema. Tutto è successo in pochi mesi, ancora prima di girare il mio primo film. Le cose si sono semplicemente allineate e la mia vita è cambiata radicalmente.”

Quando le è stato chiesto se fosse stato difficile adattarsi a un cambiamento così rapido, Novak ha parlato dell’importanza di ascoltare il proprio istinto e di sapersi adattare:

“Molti hanno una visione rigida di come devono andare le cose. Ma io ho imparato che bisogna essere pronti a cambiare direzione, ad attraversare le porte quando si aprono. Non puoi dire sì a tutto, ma devi saper scegliere quando lasciar perdere e quando resistere.”

Durante l’intervista è emerso quanto l’attrice abbia spesso lottato contro le dinamiche oppressive dello studio system. Non solo le venivano assegnati i film, ma anche gli accompagnatori da mostrare in pubblico.

“Mi ritrovavo in limousine con perfetti sconosciuti solo perché lo studio voleva far vedere che uscivo con una grande star. A un certo punto ho detto basta. Se dovevo andare a una première volevo andarci con chi decidevo io, o non ci andavo affatto.”

Le parole spese su Harry Cohn 

Novak ha espresso un giudizio ambivalente su Harry Cohn, il potentissimo capo della Columbia Pictures. Ha riconosciuto la sua autorità e il suo fiuto per le buone sceneggiature, ma anche il controllo asfissiante.

“Era un dittatore, certo. Ma ha saputo inserirmi nei film giusti. Dopo la sua morte nessuno sapeva davvero cosa fare. Ed è per questo che ho deciso di andarmene.”

In un raro momento di tenerezza, ha ricordato di quando gli portò del cioccolato fondente fatto in casa:

“Si è sciolto per un attimo. Nessuno gli aveva mai fatto un regalo. Lì ho visto un lato umano, fragile. Ma poi mi ha cacciata dall’ufficio, naturalmente.”

Il ricordo di Sammy Davis Jr

Uno dei momenti più potenti del documentario e dell’intervista è il ricordo della sua relazione con Sammy Davis Jr., contrastata duramente da Cohn, a tal punto da aver subito minacce da parte di quest’ultimo. 

“Quando ci hanno detto che non potevamo vederci ci siamo ribellati. Ma quando ho capito che minacciavano davvero la sua vita e anche quella della sua famiglia, ho dovuto allontanarmi. È stato devastante.”

Il caso “Vertigo”: un rischio che ha fatto la storia

Quando Harry Cohn le passò la sceneggiatura di Vertigo definendola “pessima”, la Novak decise comunque di accettare.

“Non conoscevo ancora Hitchcock. Ma mi sono fidata del mio istinto, anche se ho dovuto scioperare per ottenere lo stipendio che meritavo. Non sapevo sarebbe diventato un classico ma sapevo che dovevo lottare per essere pagata il giusto.”

Nel corso dell’intervista è stato chiesto all’attrice anche della decisione di non accettare il nome d’arte scelto dallo studio.

“Non volevo essere Kit Marlowe, suonava falso. Novak era il mio vero nome, con radici, con una famiglia dietro. E io non volevo rinunciare a chi ero davvero.”

Il doppiaggio a sorpresa di ‘The Legend of Lylah Clare’

Novak ha ricordato il momento in cui scoprì di essere stata doppiata in The Legend of Lylah Clare senza essere informata:

“È stato uno shock. Avevo dato tutto per quel ruolo e poi hanno cancellato la mia voce. L’ho scoperto alla première, nessuno mi aveva avvisata prima.” 

L’intervistatore ha chiesto a Kim Novak una riflessione su come Frank Sinatra — suo caro amico e una figura influente — avrebbe reagito in un caso del genere.

“Oh mio Dio. Lui era un uomo che lottava per ciò in cui credeva. Mi ha incoraggiata a resistere, a lottare per un giusto compenso. Quando gli dissi che avrei trovato una soluzione mi rispose: ‘No, vali di più. Devi resistere.’ È stato fondamentale nella mia vita.”

Il rapporto di Kim Novak con Sinatra sul set di ‘Pal Joey’

Un altro passaggio toccante riguarda la loro collaborazione sul film Pal Joey, durante la quale Novak si esercitò duramente nella danza, solo per trovarsi di fronte a un Sinatra riluttante.

“All’inizio era il mio migliore amico: premuroso, meraviglioso. Ma durante le prove, dopo settimane di lavoro, Sinatra salì sul palco e disse: ‘Farò questo, non farò quello…’ e se ne andò, lasciandoci nel caos. Era come se fosse diventato il personaggio, Joey. In quel momento ho pensato: ‘Davvero?’. Ma poi ho capito che si era trasformato nel ruolo, completamente immerso.”

La stima reciproca con i registi più esigenti 

Pur citando personalità forti come Harry Cohn, Alfred Hitchcock e Otto Preminger, Novak ha sempre mantenuto un rapporto professionale e rispettoso con loro:

“Tutti mi rispettavano perché ero puntuale, imparavo le battute, lavoravo sodo. Otto Preminger era durissimo, ma con me trovò gentilezza. Sapeva che non avrei retto le urla, quindi mi trattava con rispetto.”

La vita di Kim Novak oltre Hollywood

Infine, Kim Novak si mostra per quello che è sempre stata dietro l’icona: una donna profondamente autentica, sensibile, capace di trarre forza anche dalla perdita. La sua scelta di abbandonare Hollywood non fu un gesto impulsivo, ma un atto di coerenza personale.

“Non sono mai stata interessata ai soldi o alla fama. Volevo solo fare qualcosa che fosse vero per me. Anche quando ho perso tutto — i miei scritti, i miei quadri — ho capito che il vero valore stava nell’esperienza, non nell’oggetto.”

Oggi, lontana dai riflettori, vive immersa nella natura con suo marito e gli animali che considera parte della sua famiglia. Le oche, i cavalli, i boschi e il silenzio le hanno restituito quella pace che Hollywood non avrebbe mai potuto darle.

L’ultima domanda posta dall’intervistatore è stata: “Se dovesse dare un consiglio alle nuove generazioni di attrici?”

“Siate fedeli a voi stesse. Non accettate ruoli o compromessi solo per compiacere. Se è destino che accada, accadrà. Ma non rinunciate mai al vostro senso del bene e del male.”