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Biennale del Cinema di Venezia

‘Grand Ciel’ un cantiere distopico alla Biennale

Un film visivamente impeccabile e un'importante riflessione sulla solitudine odierna

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Alla Biennale di Venezia sezione Orizzonti Grand Cielè un film di Akihiro Hata. Nel cast Damien Bonnard, Samir Guesmi, Mouna Soualem, Tudor-Aaron Istodor, Ahmed Abdel-Laoui, Denis Eyriey Issaka Sawadogo, Mounir Margoum, Zacharia Mezouar.

Biennale Cinema 2025 | Grand Ciel

Grand ciel la trama

Vincent fa il turno di notte nel cantiere di un quartiere futuristico. Quando un lavoratore scompare, Vincent e i suoi colleghi iniziano a sospettare che i loro superiori stiano coprendo un incidente. Ma presto, un altro lavoratore scompare.

Con Grand Ciel, presentato nella sezione Orizzonti della Mostra del Cinema di Venezia 2025, il regista Akihiro Hata firma un debutto  inquietante e futuristico  che pone una riflessione cruda e attuale sulla condizione del lavoro e sulla fragilità umana.

Una domanda urgente

Il protagonista, Vincent  (Damien Bonnard), è un operaio temporaneo impiegato nel turno di notte in un cantiere mastodontico – un nuovo quartiere ultramoderno che promette di essere un capolavoro ingegneristico. Ma quella promessa, come le fondamenta della sua esistenza, si incrina rapidamente.

Al centro del film una domanda  urgente: come possono la precarietà lavorativa e la pressione sociale deformare insidiosamente corpo e mente?

Come si può giungere ad annientare ogni senso di solidarietà, fiducia e cameratismo? Attraverso Vincent, che vive nel terrore costante del declassamento sociale, il film esplora la lenta erosione del bene comune in favore dell’interesse personale. Il cambiamento, prima sottile, inizia a contaminare anche la sua vita familiare. Le relazioni si sfaldano, consumate dalla paura di fallire. In un sistema economico spietato, ogni lavoratore sembra combattere da solo una guerra silenziosa per proteggere il proprio fragile equilibrio.

Un ambiente ostile

Una minaccia che non è solo sociale. Grand Ciel, il gigantesco cantiere, diventa un organismo a sè, ostile e soffocante. Come ha dichiarato lo stesso Hata, è “quell’onnipresente cemento, freddo e minerale, la cui polvere fluttuante, come una nebbia tossica inarrestabile, si insinua in ogni fessura, minacciando di inghiottirti – mentre il cantiere continua a crescere, a qualunque costo.” Le luci al neon illuminano  volti cadaverici, il silenzio opprime, la mente è instabile.

Colpisce l’aspetto visivo di questo film che ci comunica anche , e in alcuni momenti soprattutto, attraverso immagini potenti. Visivamente, il film è straordinario. Con l’aiuto del direttore della fotografia David Chizallet , Hata costruisce un ambiente che esprime distopia da un lato ma che è anche simbolo di una società labirintica che è quella di oggi. Una dimensione che soffoca e costringe , che acuisce i sensi e li dilata provocando una sensazione percepita al tatto e ‘annusata’ ; davvero rara in una pellicola.

A livello narrativo, Grand Ciel  colpisce perchè abilmente unisce realtà e finzione , mente e corpo, ma senza pedanteria o eccesso di profondità ostentata. Nessuna lezione da impartire.

I dialoghi, scritti da Hata insieme a Jérémie Dubois, sono credibili e resi ancora più efficaci da un cast ben diretto. Peccato che quel distacco (necessario)  manchi il cuore. L’eccesso di  perfezione tecnica a volte sembra prevalere sul resto generando una sensazione di freddezza che dispiace. vista la particolarità del film. Manca un ponte tra ciò che si vede e ciò che viene percepito.

Nonostante questo , per un’opera prima, Grand Ciel è un esempio di bel cinema  e un quadro attuale e importante sulla profonda solitudine, sul meccanicismo e la sempre più crescente perdita di umanità del mondo moderno.

 

Grand Ciel