Dracula di Radu Jude, presentato nella sezione Concorso Internazionale durante la 78ª edizione del Festival di Locarno, non è la classica storia che ci si aspetta quando il soggetto prende spunto dal romanzo omonimo di Bram Stoker. Il film, prodotto da Saga Film e RT Features, nasce inizialmente come una grande burla tra il regista romeno e il suo produttore.
Reduce dalla vittoria alla 75ª edizione di Berlinale con il premio per la miglior sceneggiatura per Kontinental ‘25, il regista, originario della Transilvania, ha deciso di sperimentare con l’Intelligenza Artificiale realizzando, tramite iPhone, un kolossal di 170 minuti dedicato alla figura di Dracula – Vlad III l’Impalatore.
Radu Jude, noto per il suo cinema indipendente e originale che affronta spesso le vicende narrate sullo schermo attraverso le sue zone d’ombra, propone un Dracula perfettamente in linea con la sua cifra stilistica: un approccio ironico e narrativamente innovativo, che mescola storia e mito con libertà creativa.
Dracula è un film che non vuole essere un capolavoro

Il lungometraggio si sviluppa in più episodi, tra cui: una caccia al vampiro in una squallida taverna, un Dracula antimarxista che sfrutta i suoi lavoratori, due love story, una più bizzarra dell’altra, un omaggio (e che omaggio!) al Nosferatu di Murnau, inserti kitsch generati dall’Intelligenza Artificiale, scene al limite della pornografia – d’altronde Dracula in questa versione non succhia solo il sangue – e molto altro ancora.
In una scena particolarmente surreale, due attori – Gabriel Spahiu nei panni del vampiro e Oana Maria Zaharia in quelli di Mina Harker – recitano in uno spettacolo di paese in una taverna della Transilvania. Vengono inseguiti da una folla di turisti inferociti in un crescendo di comicità assurda, arricchita dall’uso dell’AI. La fuga termina in un cimitero, dove un turista americano impegnato nella “caccia al vampiro” pronuncia una frase che il regista attribuisce al filosofo Ludwig Wittgenstein:
“The thing about progress is that it looks much greater than it really is.”
Una citazione che, in estrema sintesi, racchiude lo spirito dell’intero film.
Come dichiarato dallo stesso Radu Jude in conferenza stampa, il film non ha mai avuto grandi pretese – e non le vuole avere. L’obiettivo è divertire, essere volutamente su un piano narrativo scorretto e grottesco, usare l’AI in maniera grezza per creare espedienti comici assurdi.
Il mito di Dracula, sia cinematografico che letterario, viene decostruito attraverso una miriade di storie che si intrecciano: il filo conduttore è un fantomatico regista che cerca di scrivere la sceneggiatura perfetta, facendosi aiutare da un chatbot di Intelligenza Artificiale. Lo spettatore si trova così immerso in un vortice narrativo che passa dal pulp alla letteratura, dalla politica alla fantasia più sfrenata, spesso sconfinando nel politicamente scorretto.
Il risultato è una commedia meta-cinematografica che prende in giro il cinema stesso, divertendo e divertendosi.
Una lettera d’amore al cinema di serie B

Con Dracula, Radu Jude rende omaggio a tutti quei registi che non sono mai riusciti a fare “il grande cinema” e che, a causa di budget ridotti, hanno prodotto opere artigianali, spesso destinate a scivolare nel grottesco e nel comico.
Il tono surreale e la struttura narrativa del film ricordano inevitabilmente figure come Ed Wood, regista passato alla storia per il suo stile kitsch e borderline. Non è un caso che, nel cult Plan 9 from Outer Space, appaia Bela Lugosi, l’attore ungherese che divenne celebre interpretando il Conte Dracula in numerose produzioni statunitensi.
Radu Jude sembra voler comunicare allo spettatore che anche il cinema imperfetto può avere un’anima potente: a volte è proprio nell’artigianalità, nell’errore e nell’eccesso che si nasconde la vera libertà creativa. Il suo Dracula è un inno alla fantasia senza freni, un’opera volutamente imperfetta che trasforma il kitsch in un atto di amore per il cinema stesso e per una delle figure più iconiche della letteratura e del cinema gotico: il conte Dracula.