Blue Heron è un intenso film di formazione che affronta il tabù della malattia mentale con uno sguardo intimo e non convenzionale. Attraverso la narrazione cinematografica, la regista Sophy Romvari invita lo spettatore a interrogarsi sul ruolo cruciale dell’amore fraterno e sul confine sottile tra protezione e oppressione.
Presentato nella sezione Cineasti del Presente alla 78ª edizione del Locarno Film Festival, Blue Heron è un’opera che non lascia indifferenti. Non solo per la delicatezza del tema – lo stigma legato alla salute mentale – ma per la capacità della regista di restituire, con tatto e profondità, il pathos quotidiano vissuto dai protagonisti.
Prodotto da Nine Behind Productions e Boddah, il film è una vera e propria immersione in uno sguardo privato, sospeso tra il lutto e la consapevolezza.
Due linee temporali, un unico nodo emotivo

La storia si muove su due piani temporali. Nella prima parte seguiamo Sasha (Eylul Guven), una bambina che negli anni ’90 cresce insieme ai fratelli, alla madre e al padre. Tra loro c’è Jeremy (Edik Beddoes) il fratello maggiore. Biondo, dagli occhi azzurri e dall’animo enigmatico. La sua ipersensibilità si manifesta in episodi maniacali che spezzano l’apparente serenità familiare, diventando fonte di tensioni intergenerazionali.
Nella seconda parte, Sasha ormai adulta (interpretata da Amy Zimmer) decide di affrontare quei ricordi e il dolore per la prematura scomparsa del fratello, girando un film su di lui.
Rompere gli schemi della memoria attraverso il cinema
Nel presentare l’opera al festival, la regista Sophy Romvari ha dichiarato:
“Volevo rompere gli orizzonti della classica storia di formazione per parlare delle imperfezioni nella rappresentazione cinematografica della memoria.”
Il film porta a chiedersi se, nei vent’anni narrati, lo stigma verso la malattia mentale sia davvero cambiato. Disturbi come bipolarismo o sindrome borderline, accompagnati da episodi maniaco-depressivi, sono ancora troppo spesso scambiati per ribellioni adolescenziali volontarie.
L’opera mette in luce un nodo doloroso: l’amore dei genitori, per quanto sincero, non basta se manca la consapevolezza che certi comportamenti non sono una scelta, ma il sintomo di una patologia.
La metafora della memoria come camera oscura
Blue Heron esplora il tema della memoria e delle sue zone d’ombra. Proprio come in una camera oscura, i ricordi possono affiorare o restare sepolti, distorti dal tempo e dalle emozioni.
Sasha ricorda i momenti di gioia con Jeremy e cerca di capire le decisioni dei genitori, che lo avevano allontanato considerandolo pericoloso. Ai suoi occhi, invece, Jeremy resta una figura fragile, spiritosa e profondamente sensibile.
Blue Heron non offre risposte semplici. È un film che scava, che mette a nudo le crepe della memoria e ci ricorda che la comprensione è il primo atto di cura. Perché la fragilità, quando viene accolta, può diventare il luogo più autentico in cui l’amore trova casa.