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TERRA LENTA FILM FESTIVAL

‘Sh’hili’: cronache di cambiamenti irreversibili

Recensione di ‘Sh’hili’, in gara nella prima edizione del TerraLenta film festival

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Alla sua prima edizione, il TerraLenta film festival si propone di offrire un nutrito numero di contributi audiovisivi a tema documentario ambientale indipendente e d’autore. Nel loro manifesto si parla di sensibilizzazione, di dialogo e apprendimento in un’ottica che vuole incentivare azioni e iniziative ecosostenibili. Ecco allora presentarsi Sh’hili, documentario del regista Habib Ayeb girato tra Italia, Francia, Tunisia e Marocco che esplora in che modo il cambiamento climatico sta affliggendo varie realtà, soprattutto, in questo caso, quella del settore primario.

L’ulivo di Ayeb

Sh’hili si struttura attraverso varie testimonianze di persone di diverse nazionalità e culture. Esse si posizionano davanti alla telecamera e parlano: individui che vivono la terra e il mare da anni e che non possono far altro che constatare la drammatica condizione a cui si è giunti. Ayeb dà spazio a figure che vivono in prima persona i mutamenti apportati da un caldo che, ormai da qualche anno, è diventato anormale. Un caldo che prosciuga e uccide.

Proprio in una delle clip iniziali lo spettatore viene messo a contatto con la storia dello stesso Ayeb. Il regista si mostra accanto a un ulivo ormai secco che, nella sua memoria d’infanzia, è invece sempre stato un rifugio: una pianta le cui foglie si sono periodicamente rigenerate nel tempo. Ayeb avvicina le sue mani a dei rami morenti constatando come “ormai sia tutto finito”. 

E si continua poi a sentire altri contributi: pescatori, contadini e studiosi. Il discorso, ovunque lo si guardi, non fa altro che evidenziare una situazione innaturale. Alcuni animali muoiono, altri se ne vanno, lasciando il loro posto a nuove specie come quella del granchio blu, che, a fronte di un continuo processo di tropicalizzazione, è giunto nell’Adriatico.

Un problema storico-politico

Il documentario di Ayeb ci tiene anche a sottolineare come questo processo di riscaldamento globale sia la conseguenza di un comportamento umano, perpetrato soprattutto dalle civiltà nord-occidentali nei confronti del sud. Si instaura, di conseguenza, un discorso che mette in causa anche le varie dinamiche di colonialismo che hanno afflitto – e continuano ad affliggere – i paesi del terzo mondo.

Il cambiamento climatico si impone come una cartina di tornasole che mette in mostra i rapporti di subalternità su cui, come dice l’antropologo Francesco Danesi Della Sala, il “nord del mondo ha costruito il suo benessere”. Sh’hili mette in luce come questo cambiamento ambientale renda ancora più evidenti le disparità economiche tra i paesi storicamente sfruttatori e quelli storicamente sfruttati, dove i secondi subiscono – con più ferocia – le conseguenze di un consumo sfrenato attuato dai primi.

Avere o essere

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Il contributo divulgativo di Sh’hili è sicuramente importante. Ayeb, con il suo lungometraggio, porta l’attenzione non solo su una problematica che affligge la comunità mondiale da diversi anni a questa parte, ma fa scendere in campo persone da diverse parti del mondo che, dati alla mano, con la loro esperienza nelle rispettive attività e nei rispettivi territori, sbattono rumorosamente i pugni sul tavolo, invocando una presa di coscienza collettiva.

Sul lato formale, è un documentario abbastanza classico ma che, attraverso questa alternanza di testimonianze, riesce in qualche modo a raggiungere un certo tipo di bellezza non scontata. Se da una parte infatti è un documentario che offre un’ottima disamina divulgativa, dall’altra riesce anche a farsi apprezzare per come rende quasi poetico quel rapporto che intercorre tra l’uomo di terra e la terra stessa: una relazione minacciata dalle macchine industriali e dalle dinamiche di mercato e consumo capitalistiche, ma che riesce comunque ad andare avanti con l’idea di resistere, nonostante tutto.

Erich Fromm parlava proprio dell’aut-aut tra l’avere e l’essere, su come il vivere bene non sia più un concetto filosofico su cui speculare, ma una necessità etica su cui si fonda, oggi, la nostra stessa sopravvivenza. Sh’hili, documentario che merita assolutamente di essere visto, si pone esattamente su questo filone, invocando all’essere, un cambiamento nell’uomo che da secoli vive nell’avere.

Sh'hili

  • Anno: 2022
  • Durata: 76'
  • Genere: Documentario
  • Regia: Habib Ayeb