Alla sua seconda prova come regista dopo I Laureati (1995), Leonardo Pieraccioni conferma le proprie doti per una commedia d’autore. Con Il Ciclone (1996) si ritrova la leggerezza di un tempo, l’imprevedibilità della vita – sempre pronta a cambiare – e un umorismo sprizzante ma mai fuori dalle righe. Sempre più apprezzata con il passare degli anni, la pellicola del 1996 si è fatta narratrice di generazioni. Un treno che ha percorso varie tappe d’Italia, portandosi dietro un bagaglio da cui tirar fuori nuovi ricordi e attimi di un passato lontano.
“E lì alla stazione pensai che i treni son fatti apposta per gli addii. Partono piano, lenti lenti, tu hai tutto il tempo per pensare a chi sta partendo”
Leonardo Pieraccioni, in una delle scene finali de Il Ciclone.
La vita passa lenta, tra lavoro e casa, casa e lavoro. Nel mezzo un classico paese di provincia in cui tutti conoscono tutti. Ma soprattutto, in cui tutti conoscono tutto di tutti. È facile farsi un soprannome, è facile essere etichettati. Chi per una professione, chi per altro. In questo contesto démodé prende forma la storia dei nostri protagonisti.
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Il Ciclone, una famiglia in un borgo toscano
In un piccolo scorcio di paesino toscano vive la famiglia Quarini. Il babbo Osvaldo insieme ai suoi tre figli: Levante, Libero e Selvaggia. Le loro giornate sono formate da una rilassante e prevedibile monotonia, un “vlog asmr” dei giorni nostri.
Levante, interpretato da Leonardo Pieraccioni, di professione fa il ragioniere e gestisce la contabilità di tutti i negozi e le attività del paese. Una vita passata dietro ai numeri, a incasellarli e a trovar loro la giusta posizione. La sorella, Selvaggia, interpretata da Barbara Enrichi, di lavoro fa la farmacista e nasconde una segreta relazione con la sua collega. Poi c’è Libero (Massimo Ceccherini) che insieme al padre Osvaldo (Sergio Forconi) gestisce i campi limitrofi alla loro tenuta, dedicandosi anche all’arte.
La loro vita, in particolar modo quella di Levante, viene sconvolta dall’arrivo inaspettato di un gruppo di ballerine di flamenco che hanno sbagliato strada e credono di essere arrivate in un agriturismo. Il protagonista si innamora di Caterina, una delle ballerine, e la sua vita e quella del paese cambiano radicalmente, portando scompiglio e allegria.

Andare oltre la superficialità
Parlare di commedia è spesso complicato, scomodo. Per di più quando a realizzarla è un regista italiano. C’è la tendenza di dover sminuire e minimizzare. Di guardare con superficialità fermandosi all’apparenza del prodotto. Servirebbe una prospettiva diversa, servirebbe quanto meno provare a scavare più a fondo.
Il Ciclone è la risposta alle commedie romantiche di Hugh Grant. Trama lineare, elemento di sorpresa che rompe la quotidianità e momenti di riflessione.
Una gradevole opera corale, in cui si respira il sapore di semplicità. Dove non c’è la necessità di trovare mediazioni. La storia non richiede spinte, sollecitazioni. Viaggia all’interno della sua corsia, indisturbata e senza esitazioni.
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Trattare temi attuali
Con le sue dovute proporzioni, in maniera grossolana e senza osare più approfonditamente, Pieraccioni cerca di trattare aspetti attuali come quelli legati alle tematiche LGBTQ. È una commedia che all’interno del suo spazio diventa anche audace, coraggiosa e senza frontiere.

Il Ciclone in numeri
È stato uno dei maggiori successi del cinema italiano degli anni Novanta, sia in termini di incassi che di popolarità.
Il film ha riscosso anche importanti riconoscimenti. Ha vinto il David di Donatello per il miglior attore non protagonista, assegnato a Paolo Hendel, e ha ricevuto una nomination per la miglior regia esordiente. Inoltre, è stato premiato con il Nastro d’Argento come miglior soggetto originale, scritto dallo stesso Pieraccioni insieme a Giovanni Veronesi.
Il successo del film, oltre che nei premi ricevuti, si è riflesso anche nell’apprezzamento del pubblico, tanto che Il Ciclone è diventato rapidamente un cult della commedia italiana, contribuendo a lanciare definitivamente la carriera di Pieraccioni come regista e attore.
Pieraccioni, storie possibili e ordinarie
Esiste un sentore trascendentale nei film di Leonardo Pieraccioni. La qualità di rendere possibile e veritiera un’esperienza. Non cerca la sfarzosità, non ricorre a un pressing morboso sull’induzione a una risata, non racconta storie impossibili. Ti rende partecipe di un percorso, ti fa affezionare. In un mondo in cui tutto corre velocemente, senza sapere dove andare, Il Ciclone ci chiede di fermarci, staccare la spina, guardarci intorno e riflettere. Perché – probabilmente – c’è molta bellezza in ciò che è ordinario.