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Addio Claudia, icona di eleganza, charme e professionalità

Ci ha lasciato ieri sera Claudia Cardinale, attrice insuperabile, che ha attraversato il cinema autoriale italiano (e non solo) dagli anni Cinquanta ai Novanta.

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“Secondo me, Claudia Cardinale è, dopo gli spaghetti, la più bella invenzione degli italiani.”

Così David Niven, il simpatico attore londinese.

Eppure Claudia Cardinale, all’anagrafe Claude Joséphine Rose Cardinale, nata, in verità, a Tunisi il 15 aprile 1938, da genitori di origine siciliana, non credeva di essere una bellezza.

“So di avere il collo troppo lungo, la bocca triste con gli angoli rivolti all’ingiù, la tendenza a ingrassare, gli occhi piccoli. Sembrano grandi per il trucco, in realtà sono piccoli. Del resto, secondo me, bisogna avere dei difetti fisici.  La gente veramente bella non ha molto successo nel cinema. I visi perfetti non prendono la luce, le facce caratterizzate sono più fotogeniche e più importanti. In ogni caso. Io sono io e così voglio restare.”

Dopo aver mosso, senza grande successo, i primi passi come attrice in Tunisia, fu notata da Franco Cristaldi che la fece debuttare nel 1958 ne I soliti ignoti di Mario Monicelli, al fianco di Totò, Mastroianni e Gassman.

È l’inizio di una carriera folgorante grazie alla quale si aggiudicò David di Donatello, cinque Nastri d’argento, tre Globi d’oro, il Premio Pasinetti alla Mostra di Venezia, una Grolla d’Oro.

Giovanissima, Germi la volle nel suo Un maledetto imbroglio, tratto dal famoso romanzo Quel pasticciaccio brutto di Via Merulana, di Carlo Emilio Gadda.

“Per la prima volta con Germi, mi sono sentita a mio agio davanti alla macchina da presa. Ho cominciato a vivere la cinepresa nel ruolo di un’amica, la mia complice: l’ho sentita per la prima volta. E mi sono sentita, davanti a lei, libera e senza inibizioni.”

Decisivo l’incontro con Visconti, che le affidò il ruolo di Angelica ne Il gattopardo.

“Visconti mi diceva: «Devi convincerti che tutto il corpo recita, non solo il viso: recitano le braccia, le gambe, le spalle: tutto.»Ed io da allora ho imparato: ho cambiato modo di camminare. Non più come facevo, caracollando un po’ sui tacchi alti. Ho imparato come lui voleva, a camminare a falcate, non a passi. Visconti mi ripeteva anche: «Ricordati, gli occhi devono dire una cosa che la bocca non dice, perciò lo sguardo deve avere un certo tipo di intensità che contrasta quello che stai dicendo. Anche se ridi, gli occhi non devono ridere. Insomma, devi separare il tuo viso in due: lo sguardo è una cosa; quello che dici è un’altra.»”

Nel capolavoro 8 ½ di Federico Fellini interpreta Claudia, dove per la prima volta non viene doppiata.

Seguono altri numerosi film, diretti dai più grandi registi italiani. Tra gli altri: Marco Bellocchio (Enrico IV), Mauro Bolognini (Il bell’AntonioSenilità, La viaccia), Liliana Cavani (La pelle), Luigi Comencini (La ragazza di BubeLa storia), Damiano Damiani (Il giorno della civetta), Sergio Leone (C’era una volta il West), Citto Maselli (Gli indifferenti, I delfini), Antonio Pietrangeli (Il magnifico cornuto), Pasquale Squitieri (Claretta), Visconti (Rocco e i suoi fratelli),Luigi Zampa (Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata), Valerio Zurlini (La ragazza con la valigia).
Tra i registi stranieri, su tutti va ricordato Werner Herzog che la volle in Fitzcarraldo.

Corteggiatissima, ha raccontato, più volte, con ironia e disincanto, le avances ricevute dai colleghi.

“Alberto Sordi era molto carino con me. Una volta bussa alla mia porta con una bottiglia di champagne e dice: «Beviamo?» Gli dico, «Andiamo giù» c’era tutto lo staff e io ne ho dato a tutti un po’. Lui si è sbiancato. «Ma come lo dai a tutti? Era per noi due.»”

Ancora più gustoso l’aneddoto che riguarda Marcello Mastroianni.

Il bell’Antonio è stato anche il film dell’incontro con Mastroianni. C’eravamo tutti e due anche ne I soliti ignoti, ma in scene separate e non ci siamo praticamente mai incontrati. Invece ne Il bell’Antonio giravamo insieme tutto, dalla prima all’ultima scena. E lui prese una cotta pazzesca per me. Quando ci rivediamo oggi, me lo dice sempre:
«Ti ricordi quanto mi hai fatto soffrire?», e ne ridiamo con tenerezza. Arrivava al trucco la mattina, metteva su un giradischi della musica leggera nostalgica, mi guardava… Io niente. Una sera arriva Mauro Bolognini: «È sparito Marcello.», e chiede a me e a Tomas Milian di andare a recuperarlo. Non avevamo la più pallida idea di dove poteva essere. Ma alla fine lo troviamo in una bettola. Quando mi ha visto, ubriaco, mi ha accolto, «Sei una vipera… non mi capisci.»Giorni dopo c’era una festa nell’albergo dove eravamo tutti alloggiati. Balliamo insieme. Lui ricomincia: «Io, tu… Tu e io… Claudia, io ti amo.» Lo guardo negli occhi e gli dico: «Che gran buffone che sei.» Ed è proprio questo che mi ricorda ancora, me lo dice sempre: «Come hai fatto a dirmi una cosa del genere. Tu non mi credevi, non mi hai mai creduto. Ma lo giuro, io ero sincero.»

Eppure la sua vita amorosa è stata costellata, per lo più, da violenze subite e da rapporti burrascosi.

Giovanissima rimase incinta in Tunisia, di un uomo più grande di lei di dieci anni, che la picchiava e la mise incinta di un figlio, Patrick, la cui nascita tenne nascosta per anni.

Nella sua autobiografia Io Claudia, tu Claudia, racconta il rapporto tormentato con Franco Cristaldi, descritto come un despota che la dominava, la umiliava e agiva su di lei un controllo asfissiante.

A riguardo, lei stessa dichiarò:

“Spesso gli attori sono belli come li si vede sullo schermo. Ma sono molto più infelici di quanto non appaia e non si sappia. Sono infelici in maniera più o meno eguali gli uomini e le donne. Perché è difficile, per gli uni e le altre, convivere con il mito di se stessi. La memoria, quando ripenso ai miei colleghi e alle mie, diciamo, colleghe di lavoro, mi restituisce l’immagine di gente cupa, silenziosa, pochissimop comunicativa. Henry Fonda, per esempio, non parlava con nessuno. Nelle pause, dipingeva. Era sempre distaccato da tutti. Anche Charles Bronson, del resto: stava sul set di C’era una volta il West, ma si comportava come se fosse stato di passaggio, senza parlare mai con nessuno. Robert De Niro era uno che arrivava sul set e, come Klaus Kinski, non voleva vedere nessuno: soprattutto non voleva incontrare, su di sé, occhi e sguardi di nessun tipo. Quando lui arrivava, tutti dovevano accoglierlo con teloni neri sulla testa. Poi lui diceva: «Partite con la macchina e aspettate in silenzio. Io entro quando sono pronto.»”

E successivamente:

“Alain Delon racconta come Romy Schneider fosse in difficoltà a passare dal costume di Sissi, imperatrice d’Austria, alle bollette del gas e al frigo vuoto. Io penso, al contrario, che le nostre piccole preoccupazioni legate a una normale quotidianità, ci restituiscono un’umanità che la nostra statura cinematografica, quel viso in primo piano, quella figura costruita, quello sguardo o quel sorriso magnificati, ci fanno talvolta dimenticare. Essere attore significa spesso fare la muta, come un serpente. Si sa che gli animali sono fragili nel momento in cui cambiano pelle. Per noi è la stessa cosa. Al momento della metamorfosi, anche noi come loro, dobbiamo appartarci, metterci al sicuro, proteggerci. È il lato buio della nostra professione.  Ma esistono anche lati luminosi. La libertà che ci dà, cambiando pelle, di vivere mille vite.”

Attrice internazionale, elegante, dotata di una sensualità e un candore senza eguali, amatissima da critica e pubblico, lascia un vuoto incolmabile. Sua una frase da incorniciare:

“Il cinema appartiene ai sognatori.”