U Cuntu di Nenè che imparò a volare è tra le opere destinate ad inaugurare il Terra Lenta Film Fest, al via nella giornata del 23 luglio, che illuminerà il borgo di Pignola (PZ) per ben cinque giornate, ognuna incentrata sull’ambiente e l’ecosostenibilità.
[Il Festival ha lo scopo di promuovere il cinema documentario indipendente e d’autore, sensibilizzare il pubblico e le comunità sulle tematiche ambientali, favorire spazi culturali di dialogo e apprendimento, supportare la ricerca multimediale in campo, incentivare azioni ecosostenibili. …]
Parole potenti, chiare e pure. Un cinema che, inevitabilmente, gioca un ruolo sempre più decisivo all’interno di una causa tanto urgente, quanto importante.
U cuntu di Nené che imparò a volare – Sinossi
Un bambino si fa strada nella nuova era attratto dalle voci ammalianti di nuovi esseri conquistatori, sospinto lontano dagli scongiuri inquieti della terra in subbuglio. Le presenze aliene lo osservano, cercano un contatto. U Cuntu di Nenè racconta l’euforia per la scoperta del petrolio in Sicilia, ma per un moto d’incredulità, la storia e le sue tracce diventano fantascienza.
Dagli archivi emergono i canti di una Sicilia perduta, che gonfiati da suoni elettrici diventano un presagio oscuro, un ritorno identico ad ogni diversione della trama. L’immaginario industriale si presta con ironia ad evocare un’invasione aliena, mentre frammenti di vecchi radiodrammi deformano i contorni del sogno del petrolio ormai prossimo ad infrangersi. U Cuntu di Nenè è un gioco della memoria, la speranza ritrovata. U Cuntu di Nenè è un augurio a reagire.

U Cuntu di Nenè che imparò a volare
Recensione
Addentrarsi tra le pieghe della memoria e dell’immaginazione. Questo fa Giorgia Amodio, orchestrando scene surreali e immagini di repertorio, creando una pungente armonia tra generi e un’estetica volutamente simile alla fantascienza anni ’70.
Tra vecchi radiodrammi, canti popolari, registrazioni e suoni elettronici – inquietante e azzecatissima la musica di Mai Mai Mai -, il materiale d’archivio genera un paesaggio acustico straniante, rafforzando l’impressione di trovarsi in un sogno inquieto, una realtà parallela dove la memoria è paragonabile a un presagio distopico.
Una sorta di allucinazione sonora e visiva e, dulcis in fundo, una denuncia a dir poco geniale, con cui l’industria, e le sue promesse mancate, viene parodiata da un’invasione aliena: non più razza superiore che conquista, ma fantasma di un progresso che ha già fallito nel momento stesso in cui è stato annunciato.