C’è un modo diverso di raccontare una città. Non attraverso il traffico o i monumenti, ma seguendo il corso dell’acqua. As águas que correm, documentario del regista francese Julien Heurtier, è esattamente questo: un film che non ha fretta di spiegare, ma si prende il tempo di osservare, immergersi, lasciar fluire. Presentato in anteprima nazionale al concorso Terra Lenta Film Fest 2025 (Pignola, Basilicata), il film è una sorta di poema visivo urbano ambientato a Rio de Janeiro, in un Brasile intimo e spirituale lontano dalle cartoline da viaggio.
Realizzato nel 2023 e della durata di 74 minuti, il documentario nasce da una produzione indipendente francese e ha già partecipato a festival internazionali come il Santos Film Fest in Brasile nella sezione “Mostra humanidade”, che raccoglie film a forte impatto sociale ed emotivo. Sta lentamente trovando spazio nei circuiti festivalieri attenti al cinema ambientale e d’autore.
Il filo d’acqua che lega corpi e città
La struttura del film è tanto semplice quanto potente: l’acqua diventa il filo conduttore per attraversare quartieri, storie, spiritualità e resistenza. A guidarci non è una voce fuori campo, ma le storie di chi vive in quei luoghi, raccolte con discrezione e rispetto. Sono testimonianze che emergono con naturalezza, senza forzature, capaci di restituire la complessità e la bellezza nascosta del quotidiano.
Uomini, donne, giovani artisti e anziani che vivono in aree spesso dimenticate raccontano le loro esperienze con lucidità e poesia. Parlano di spiritualità afro-brasiliana, di discriminazione, di creatività e sopravvivenza quotidiana. Ogni voce è diversa, ma tutte trovano uno spazio nel film, come se Julien Heurtier avesse costruito una geografia sonora della città. E quando le parole tacciono, subentrano i suoni dell’ambiente, le musiche, le danze, i gesti rituali.
Tra corpo, acqua e spiritualità
In As águas que correm, le performance artistiche non sono elementi decorativi, ma veri e propri atti di resistenza e connessione con il territorio. Il documentario mostra danzatori e performer che usano il corpo per raccontare ciò che le parole a volte non riescono a dire. In questo contesto, i riti orixás (spiritualità di origine africana) si fondono con la vita quotidiana, in un legame profondo tra sacro e urbano.
L’acqua è il grande simbolo del film: nasce nelle alture periferiche della città, attraversa canali, fognature, quartieri dimenticati, e arriva all’oceano. È un’immagine bellissima e malinconica insieme, che rappresenta sia il movimento della vita sia la memoria dei luoghi.
Già in precedenti lavori, come Das águas que passam, realizzato prima del disastro della diga sul Rio Doce, Heurtier aveva usato l’acqua come elemento narrativo e simbolico. Anche in As águas que correm, quel linguaggio ritorna, ma si fa ancora più stratificato, tra urbano, spirituale e politico.
Un approccio sensibile e mai invadente
Heurtier, che cura anche fotografia e montaggio, dimostra un approccio quasi “in punta di piedi”. Non si sente mai la sua voce, né compare in scena. La macchina da presa è statica o lenta nei movimenti, come se volesse ascoltare prima di raccontare. L’effetto è quello di un documentario che si costruisce come un mosaico spontaneo: fatto di voci vere, di silenzi e di immagini che restano impresse.
La scelta di alternare storie sociali e momenti di pura osservazione dona al film un ritmo intimo e ma mai statico. È un’opera che ti coinvolge per la sincerità con cui tratta i temi delle differenze sociali, dell’identità, della dignità di chi spesso non viene ascoltato.