Vincitore della Palma d’Oro a Cannes e degli Oscar come Miglior Film e Miglior Regista nel 2020, Parasite approda ora nel catalogo di MUBI, che lo accoglie nella sua Top 1000 consacrandolo tra le opere più celebrate dal pubblico globale. Con questo film, Bong Joon-ho mette a punto una radiografia feroce della diseguaglianza sociale nell’era del consumo globale, costruendo una macchina narrativa che, sotto l’apparente leggerezza della farsa, lascia emergere uno sguardo disincantato sull’ideologia del benessere e sulla dissoluzione della coscienza collettiva.
Un gioco di maschere e ombre
Al centro della vicenda ci sono i Kim, famiglia proletaria confinata in un seminterrato umido, dove sopravvivono tra lavoretti precari e connessioni Wi-Fi rubate. Quando il figlio Ki-woo viene raccomandato per un lavoro come insegnante privato nella lussuosa villa dei Park – un microcosmo isolato e dorato – si apre uno spiraglio: insinuarsi gradualmente in quell’universo fino a sostituire i dipendenti uno dopo l’altro con i propri familiari.
L’operazione si rivela chirurgica e teatrale: i Kim recitano ruoli impeccabili, inventano identità fittizie, tessono inganni. Non si tratta però di un atto sovversivo o rivoluzionario, bensì di una logica imposta dal sistema che richiede mimetismo e adattamento, facendo della scalata sociale l’unica forma di sopravvivenza possibile. Da truffa ingegnosa, il film si trasforma in una riflessione impietosa sulla rigidità di una società verticale, dove il successo di alcuni si regge sull’oppressione di altri.
Tra luce e ombra: la casa come metafora
La villa dei Park è un organismo perfetto, diviso tra superficie e sotterraneo, luce e buio, pieni e vuoti. Ogni ambiente riflette un ordine sociale che appare naturale, ma si regge su rimozioni e occultamenti. I Kim, pur presenti, restano invisibili: pronti a nascondersi sotto un tavolo o dietro una porta, consapevoli che la loro sopravvivenza dipende dal non emanare quel “odore di povertà” che Bong trasforma in un inquietante dettaglio narrativo.
La narrazione implode quando viene scoperto un altro ospite nascosto: il marito dell’ex governante, rifugiato da anni nel bunker sotterraneo. La guerra che si scatena non è fra ricchi e poveri, ma tra chi vive ai margini e teme di sprofondare oltre. La fragile alleanza tra gli oppressi si sgretola, lasciando spazio a una disperata tensione per mantenere anche solo una posizione di sopravvivenza.
La violenza che esplode nel finale nasce da un cortocircuito emotivo, non da una rivalsa pianificata. Il gesto estremo di Ki-taek scaturisce dal riconoscimento del disprezzo che Mr. Park nutre verso di lui, una ferita profonda nella dignità umana che non trova altre vie di sfogo. È qui che Bong svela la natura del trauma: non la miseria in sé, ma l’esclusione come condizione strutturale, impossibile da superare con l’astuzia o la fatica.
Parasite di Bong Joon-ho, distribuito da Eagle Pictures e Academy Two
Il sogno infranto e l’illusione del riscatto
A rendere il film ancora più potente è la sua forma: una regia precisa e calibrata, uno spazio narrativo trattato come partitura musicale, un montaggio che guida la tensione fino alla catarsi. Ogni gesto, ogni sguardo, ogni passaggio di livello, architettonico e morale, contribuisce a costruire un universo coerente e spietato, dove eroi e antagonisti si dissolvono, lasciando solo ruoli fragili e precari.
Con Parasite, Bong Joon-ho ci mostra ciò che rimane dopo che ogni sogno di riscatto si è spento, quando la ribellione si è trasformata in rassegnazione, e l’invidia ha preso il posto della solidarietà. Il capitalismo, come suggerisce il titolo, si rivela il vero parassita: si insinua negli spazi, nei corpi, nei sogni, rendendo tutti potenzialmente contaminati.
Oggi, il ritorno di Parasite su MUBI non è solo la riscoperta di un capolavoro contemporaneo, ma l’occasione per riflettere su un presente ancora segnato da diseguaglianze profonde. Non esistono case abbastanza grandi da contenere il rimosso, né scale sufficientemente lunghe per raggiungere una vera ascesa. Rimangono i bunker, i seminterrati, i sogni infranti e una realtà che, come la pioggia torrenziale che allaga i bassifondi, si presenta inesorabile, a spazzare via ogni illusione di redenzione.