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Approfondimenti

‘L’Eternauta’. Catastrofe di carta, celluloide digitale

‘L’Eternauta’ è una serie fantascientifica del regista Bruno Stagnaro tratta da un fumetto del 1957 di Héctor Oesterheld. Entrambi argentini. L'operazione non è notevole solo per il passato che conserva ma anzi, soprattutto, per il presente che evoca

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L'eternauta

È una nevicata che non si scioglie mai, quella che scende sulle periferie di Buenos Aires. Non è un caso che L’Eternauta torni oggi, in una stagione globale segnata da nuove paure: il cambiamento climatico, la crisi delle democrazie, le guerre “locali” dalle conseguenze globali. Le narrazioni cinematografiche catastrofiste non sono semplici prodotti di consumo: si ripresentano ciclicamente nei momenti in cui il futuro appare compromesso, il presente indecifrabile, e il passato un’eco repressa. Proviamo ad immergerci in questa avventura commerciale portatrice di valori antichi e rivoluzionari.L'eternauta Hector Oesterheld

1. Oesterheld, autore del fumetto, desaparecido della memoria

Negli anni Cinquanta, mentre l’Argentina entrava nel clima repressivo che avrebbe portato alla dittatura, un geologo, Héctor Germán Oesterheld, lavorava per la casa editrice di un ebreo italiano emigrato. Iniziò così a sceneggiare le sue prime storie per un pubblico infantile. Ebbe la possibilità di attraversare l’Argentina, esplorare e contemporaneamente si dilettava alla creazione di fumetti che divennero colonne portanti della storia del genere. L’Eternauta fu uno di questi: una delle più belle ed importanti opere del fumetto mondiale di genere fantascientifico, che trasformò una nevicata mortale in una una minaccia
invisibile e totalizzante. Un disastro ambientale? Un disastro politico? Una forma di occupazione? Un’invasione lenta e spersonalizzante? Molte sono le congetture che avanzano personaggi assieme al lettore/spettatore. Il nemico non ha volto,
come non l’avevano i carnefici delle giunte militari. Il fumetto diventa così una forma di resistenza. Questo approccio narrativo ha fatto sì che in molti attribuissero proprio a Oesterheld la formula: “l’unico modo per raccontare la verità è inventarla.”

Oesterheld scomparve il 21 aprile del 1977 a La Plata, prelevato da una squadra armata. Da allora è entrato a far parte della numerosa schiera dei desaparecidos argentini.

L'eternauta

L’adattamento televisivo di L’Eternauta (uscito su Netflix il 30 aprile 2025, 78 anni dopo) rappresenta la prima trasposizione ufficiale andata davvero in porto, dopo decenni di tentativi interrotti: dal pilot animato del 1968 mai proseguito, ai progetti cinematografici e televisivi degli anni ’90, 2000 e 2010, fino all’interesse incompiuto di altri registi argentini come Aristarain, Martel e Álex de la Iglesia. Solo questa versione è riuscita a superare le complesse vertenze di copyright e problemi finanziari (immaginate soltando che il procedimento sull’incertezza dei diritti si concluse solo nel 2018 quando la Corte Suprema Argentina riconobbe definitivamente i diritti alla famiglia Oesterheld). Una operazione imperfetta per tanti aspetti, questa di Netflix: passaggi molto teatrali, svolte lente ad accadere, grande frammentarietà narrative… ma crediamo fortemente che il risultato meriti attenzione, anche, ma non solo, per l’originalità degli elementi in campo. Come già accaduto con La casa di carta, anche L’Eternauta dimostra che è possibile far convivere una confezione commerciale e internazionale con una forte vocazione politica e locale — sarà un caso che, in entrambi i casi, si tratta di produzioni nate nel cuore del mondo ispanofono?

2. Perché ancora cinema catastrofico

Un simile meccanismo, utilizzato per costruire una serie televisiva, non è altro che un espediente narrativo tipico di alcuni periodi, e si ritrova anche in altre epoche e territori. Negli anni Settanta, ad esempio, mentre imperversava la Guerra Fredda e l’ombra della bomba nucleare, il cinema hollywoodiano produceva film come The Andromeda Strain (1971) o Soylent Green (1973), che travestivano l’angoscia geopolitica da distopia scientifica. Negli anni Ottanta, nel pieno del reaganismo e della crisi dei valori post-Watergate, arriva The Day After (1983), che simula con realismo devastante gli effetti di un attacco nucleare sul Midwest americano: non più mostri, ma la messa in atto di una paura reale. I racconti catastrofici assolvono da sempre alla funzione di un esorcismo collettivo, permettendo alla società di elaborare paure profonde attraverso la narrazione e la condivisione simbolica del disastro.

L'eternauta, the day after 1983

The day after, 1983

Allo stesso modo, Children of Men (2006) di Alfonso Cuarón — uscito in pieno clima post-11 settembre — rilegge la distopia come blocco biologico della speranza: nessuna nascita, nessun futuro.

Oggi, in piena epoca di pandemia appena alle spalle, tra guerre dimenticate e nuove forme di sorveglianza, il ritorno di una storia come L’Eternauta non è solo un’operazione culturale: è una interrogazione politica travestita da fiction. Ed è qui che la serie Netflix può fallire o riuscire di fronte al suo pubblico: la catastrofe non è spettacolarizzata e deve necessariamente essere decodificata.

3. L’andamento narrativo e la costruzione del ritmo: una scaletta tecnica del primo episodio

Per cogliere l’impronta linguistica della serie L’Eternauta, è utile osservare la struttura del primo episodio attraverso la scaletta desunta, la lista delle macrosequenze dal ritmo lento e cadenzato che costituiscono il primo movimento narrativo. La scaletta desunta è in grado di mettere in luce gli espedienti narrativi adottati.

– Si apre con tre ragazze in barca, ancorate al largo di Buenos Aires. Tra loro c’è la figlia del protagonista, ma lo scopriremo solo più tardi. La scena è placida, conviviale, ma sullo sfondo la città si oscura e una nube verde si addensa sull’orizzonte. Le ragazze, spaventate, tentano di salpare, ma due di loro svengono, colpite dai primi effetti della catastrofe.
Solo la figlia di Juan, scendendo sotto coperta, si salva: mentre chiude il portello, cade il primo fiocco di neve tossica.
– La città è già nel caos: traffico, black-out, proteste. L’aria è densa di qualcosa che non si capisce ancora. Juan, fin da subito, mostra una predisposizione al ricordo e all’intuizione: è come se avvertisse il carattere
eccezionale della situazione.

– Juan, intanto, arriva in macchina con l’amico Alfredo e Omar, evidentemente spaesato e sofferente per una recente separazione a casa di Tano che li aspetta con l’amico Favalli per un poker. Un grande seminterrato che funge da rifugio condiviso

– Nel seminterrato i quattro uomini giocano. Omar si muove ai margini del gruppo. In questa fase ha luogo una “semina” di elementi funzionali alla storia: la maschera antigas della Seconda guerra mondiale, conservata come cimelio, il riferimento alla consegna del whisky, passione dichiarata di Favalli. Si tratta di dettagli che torneranno in forma attiva più avanti, come strumenti o snodi narrativi.

– Durante il gioco, la luce si spegne. All’interno il seminterrato è arredato con oggetti vintage (radio d’epoca, giradischi, mobilio anni ’60). Il “corriere” che doveva portare il whisky sviene in strada: Ana, la moglie di Tano, affacciandosi per caso, lo vede accasciarsi. La neve ha cominciato a cadere: gli amici percepiscono una correlazione tra la precipitazione e la morte improvvisa dell’uomo. La catastrofe si insinua, senza ancora mostrare pienamente il suo volto.

– Il gruppo è spiazzato, ma comincia a elaborare ipotesi: da dove viene la neve? Cosa la rende mortale? L’atmosfera è tesa, e quando Alfredo viene sopraffatto dal panico e tenta la fuga, gli altri cercano di trattenerlo. Appena fuori, però, crolla al suolo. La sua morte segna uno spartiacque: da questo momento il gruppo sa che uscire significa rischiare la vita.

– Una donna sconosciuta arriva in bicicletta: chiede di entrare dal garage, ne era rimasta bloccata da prima della neve. È una “corriera” improvvisata, una sopravvissuta. Dopo un primo momento di sospetto(soprattutto da parte di Tano), viene accolta. Il suo arrivo introduce un nuovo aspetto della catastrofe: il repentino abbassamento della temperatura. Il pericolo non è solo la neve, ma il freddo estremo, la vulnerabilità biologica.

– I personaggi cercano di capire se possono fuggire: provano ad accendere le auto nel garage, ma nulla si muove. I sistemi elettronici sono fuori uso. Tano, tecnico elettronico, recupera vecchi testi di studio per elaborare una spiegazione. Favalli lo affianca. È un momento in cui la scienza torna ad avere un ruolo: la razionalità come tentativo di difesa.

– Una coppia di anziani si intravede da una finestra: il gruppo tenta di avvertirli del pericolo, ma loro si affacciano comunque e muoiono all’istante. La potenza mortale della neve viene ribadita, questa volta come conseguenza dell’incredulità.

– Juan prende allora la decisione: partire per salvare la figlia. Il gruppo lo aiuta a prepararsi, con abiti impermeabili e l’uso della maschera antigas. La scena finale dell’episodio è dedicata a questa “vestizione”, vero e proprio rito di passaggio: il protagonista lascia il rifugio, affrontando l’ignoto.

L’episodio si fonda su un ritmo cadenzato e atmosferico, che sospende a lungo la catastrofe per farla filtrare progressivamente nei dettagli quotidiani. La scansione delle sequenze permette di comprendere come venga costruito un sistema coerente di anticipazioni, reazioni, ipotesi e transizioni e soprattutto viene intavolato lo scacchiere delle relazioni tra i personaggi, le loro motivazioni e le loro paure: elementi fondamentali per la costruzione delle puntate seguenti.
Come nei giochi enigmistici delle “immagini nascoste” — o nei ritratti di Arcimboldo, dove il dettaglio svela un doppio senso — anche ne L’Eternauta la narrazione allude a un significato altro. Si attiva così un meccanismo inferenziale tipico della fantascienza distopica, quel ‘vedere come’;, nel senso wittgensteiniano del termine. Si tratta di elementi visivi che sostanziano la specificità del linguaggio audiovisivo di quest’opera.

Poniamo però qui l’attenzione su due in particolare, affinché il lettore-spettatore sia stimolato a trovarne altri. Uno è materiale, oggettivo: la bussola. L’altro è contenuto in un dispositivo narrativo: il flash back.

1. Le bussole impazzite

Questo dettaglio attraversa L’Eternauta come una crepa sotterranea, invisibile ma determinante. E’ durante l’episodio 4 che Tano, ormai consapevole che qualcosa di enorme e innaturale sta accadendo, si rende conto che nemmeno le bussole riescono a seguire il Nord, rendendo evidente che la tormenta sta alterando il campo elettromagnetico terrestre: gli strumenti d’orientamento a lui tanto cari, sono inutili. Non c’è più un “dove andare”, e nemmeno un “da dove si viene”. È un dato scientifico, sì, ma ha il peso simbolico di un presagio. In un mondo in cui tutto sembra ancora formalmente integro — le case, i corpi, le armi — qualcosa di profondo si è spezzato: l’asse interiore che dava senso al movimento e alla scelta.

La serie televisiva recupera questa immagine (efficace già nel fumetto) e la rilancia con forza visiva, insistendo sullo smarrimento dei protagonisti. E oggi, rispetto al 1957, la bussola è diventata una metafora quasi definitiva del nostro tempo: società che avanzano a tentoni, generazioni che non vedono orizzonti, cittadini che non sanno più dove cercare il vero. La catastrofe non è solo esterna, non viene dal cielo o da un’invasione aliena. È un collasso epistemico: quello in cui la realtà, pur esistente, non è più interpretabile. L’Eternauta ci costringe a una domanda: che cosa orienta l’essere umano in un mondo disorientato? E soprattutto, quali sono oggi le bussole che rifiutiamo di ascoltare, o che qualcuno ci ha sabotato senza che ce ne accorgessimo?

2. San Giorgio e il drago

Ne L’Eternauta, i flashback — o meglio, le “visioni allucinatorie” del protagonista — agiscono come materiale visivo ciclico e potente: frammenti di una guerra passata, volutamente non identificata, echeggia tanto nella memoria collettiva argentina quanto nell’esperienza individuale di ogni lettore-spettatore.

L'eternauta, san giorgio e il drago

San Giorgio e il drago

Questi squarci intermittenti non sono semplici tecnicismi narrativi, ma rappresentazioni visive di un trauma che riaffiora, reiterando l’idea dell’“eterno” vissuto dell’uomo. L’essere umano, infatti, sembra condannato a ripetere in eterno il dramma della distruzione e della guerra. La presenza simbolica di San Giorgio — patrono militare evocato da un “santino” disperso nella trincea — alimenta questa lettura: così come il drago non scompare ma torna, anche il trauma non si estingue, ma si rigenera nei ricordi e nelle visioni che lo incarnano.
Tuttavia, nella cultura popolare e religiosa, soprattutto in contesti come quello argentino, San Giorgio non è solo il santo del combattimento, ma anche figura silenziosa di resistenza spirituale: un custode della speranza ostinata, che affronta il male sapendo che esso ritornerà, e proprio per questo persiste nell’atto di combatterlo. È questa tensione, tra lotta ciclica e fede nella
possibilità di redenzione, a dar forma all’“eternauta”: viaggiatore di un tempo spezzato, eppure ancora capace di significare.

3. Una serie per il nostro presente

In un tempo segnato da guerre diffuse, crisi ambientali e nuove forme di dominio economico e simbolico, la narrazione ideata da Oesterheld e rivisitata da Stagnaro diventa una lente per leggere la contemporaneità. L’Argentina di oggi, guidata da Javier Milei, è attraversata da un progetto sistematico di smantellamento della memoria pubblica e collettiva: si privatizzano le istituzioni culturali, si depotenziano i presidi democratici, si tenta di riscrivere la storia o di cancellarla. In questo contesto, la serie assume una funzione quasi contro- egemonica, riaffermando la necessità di ricordare, di nominare i traumi, di mantenere vigile la coscienza critica.

L'eternauta

Ma il discorso non si ferma ai confini argentini: L’Eternauta risuona in un mondo in cui il controllo biopolitico si manifesta attraverso la sorveglianza, l’emergenza continua, la gestione selettiva della vita e della morte, l’abitudine alla paura e la normalizzazione del sospetto. Lo sguardo dello spettatore, addestrato a riconoscere un genocidio, non può che cogliere — nei corpi innevati lasciati sul ciglio delle strade — l’immagine crudele di una perdita che si fa routine: un’ecatombe che sembra non scuotere più. Il velo bianco che ricopre i morti, come quello dell’Eternauta, si posa anche sulla nostra empatia, anestetizzando lo sguardo. È forse proprio questo il vero orrore che la serie ci sbatte in faccia: non tanto la catastrofe, quanto l’abitudine a essa.

 

Nota Cine/Sito/bibliografica

  • Alfonso CuarónChildren of Men, 2006
  • Bruno StagnaroL’Eternauta (serie TV), Netflix, 2025
  • Nicholas Meyer The Day After, 1983
  •  Richard Fleischer Soylent Green, 1973
  • Robert Wise The Andromeda Strain, 1971
  • Héctor Germán Oesterheld, Francisco Solano LópezL’Eternauta, Editorial
    Frontera, Buenos Aires, 1957
  • Laura Scarabelli (a cura di) – L’Eternauta. Fantascienza, politica e fumetto in
    Argentina, O barra O edizioni, 2010
  • Ludwig Wittgenstein Ricerche filosofiche, Einaudi, 1967
  •  CJ Standal Comics’ Own Martyr: Héctor Oesterheld’s Life and Death, Cartoonist
    Cooperative (sito web)

 

Lo spiegone (versione deluxe per i duri e puri)

“Catastrofe di carta, celluloide digitale” è una formula densa, che racchiude — attraverso una figura retorica metonimica e metaforica — l’evoluzione dei linguaggi narrativi attraverso cui è stata raccontata L’Eternauta: dal fumetto (carta), al cinema (celluloide), fino alla serie Netflix (digitale). Ma il senso più letterale — ed è forse quello che mi convince di più — è ancora più compatto, quasi grammaticale: catastrofe (soggetto) di carta (complemento di materia), celluloide (predicato nominale), digitale (attributo del predicato).

L'eternauta

Tutto si salda. Tutto si fa struttura. La formula suggerisce che la nostra attuale “carta” — il supporto su cui scriviamo, ricordiamo e resistiamo — è ormai la dimensione digitale. La catastrofe non è più soltanto rappresentata su questi media: è costruita dentro di essi, vive grazie a essi, rischia di dissolversi in essi.

Il titolo diventa così una sintesi della transizione mediale della memoria — la stessa che tormenta il protagonista, smarrito tra tempo e trauma — ma anche un allarme sul presente: la catastrofe, oggi, ha un nome reale.

L'eternauta come Gaza

Gaza. Ed ecco che compare, improvvisa ma inevitabile, ciò che L’Eternauta evoca — forse persino senza volerlo.

L'Eternauta