Dopo il successo di Io sono ancora qui (Ainda estou aqui), il pluripremiato film del 2024 diretto da Walter Salles (vincitore dell’ Oscar 2025 al miglior film in lingua straniera), un altro regista torna a parlare dell’oscuro periodo della dittatura brasiliana (il cosiddetto regime dei Gorilla, 1964-1985), con un approccio ed un mood completamente differenti, ma altrettanto convincente e coinvolgente.
Il film di Kleber Mendonça Filho, O Agente Secreto (The Secret Agent), infatti, presentato in Concorso a Cannes – dove già nel 2016 il regista aveva proposto l’apprezzatissimo Aquarius – è un’esplosione di luce e colore, tanto quanto Salles si affidava ad una fotografia opaca con tonalità quasi sfocate da Super8, pur mantenendo entrambe le opere un tono ‘diversamente’ vintage.
Nonostante la trama drammatica, Mendonça si affida all’energia vibrante delle strade, all’ironia dei dialoghi, al ritmo dell’azione, alla musica locale che in alcuni momenti richiama l’anima ancestrale del Brasile, al vorticoso intreccio di storie e personaggi interessanti, all’incredibile e decadente bellezza del Paese per conquistare il pubblico e legarlo con tensione alla sorte dei protagonisti.
Infatti, oltre all’eroe principale, Marcelo, intorno cui si incentra il plot, interpretato dal simpatico attore brasiliano Wagner Moura (classe 1976), O Agente Secreto è un film corale, che racconta di come, in tempi bui, donne e uomini ingiustamente braccati costruiscano rifugi, resistenze, comunità solidali.
Comunità umane solidali: nonni, bambini e rifugiati
In particolare la casa ‘protetta’ creata dall’anziana Donna Sebastiana a Recife, all’interno di un programma di protezione dei ‘rifugiati’, diventa asilo politico e luogo di accoglienza per tante e tanti che il regime perseguita ed opprime semplicemente perché non allineati, indipendenti, dotati di pensiero critico.
Fra questi Fatima, l’amata moglie di Marcelo, mamma del bambino, anche lei ricercatrice universitaria, uccisa anni prima per aver detto liberamente ciò che pensava ad un funzionario federale corrotto: l’uomo, con i suoi sgherri, era venuto dalla metropoli ad ordinare la fine delle ricerche avanzate che il gruppo conduceva in ambito tecnologico, e il ritiro dei finanziamenti pubblici all’università regionale, in vista dell’acquisto di prototipi probabilmente dall’America, cui il governo militare strizzava più di un occhio.
In questo gruppo di persone che, rifugiate nel Pernambuco per motivi diversi, cercano di portare avanti le loro vite con falsi nomi e identità, si trasferisce e si nasconde anche Marcelo, lasciando per la seconda volta il figlio ai nonni materni.
Nonni che sono la sola famiglia che il bambino ha conosciuto, con la mamma morta e il padre clandestino: sono loro che rappresentano il popolo onesto, lavoratore e intelligente, che conduce un’esistenza operosa cercando di aiutare gli altri.
Il nonno è proiezionista in un cinema del quartiere, dove passano tutti i film del periodo (il bambino vuole vedere Lo Squalo, ma il padre non vuole), un omaggio prezioso alle opere cinematografiche dell’epoca, di cui si vedono manifesti e spezzoni (fra questi il film con Belmondo ‘agente segreto’ da cui il titolo), mentre si svolgono le riunioni occulte tra Marcelo e le persone che lavorano al programma di protezione, e dunque un ricordo dei cinema di un tempo, come luoghi di incontri, scomparsi poco a poco dai quartieri anche in Brasile.
Archivi e ricerche: incrociando storie e generazioni
Il film trae lo spunto da due giovani ricercatrici universitarie che fanno emergere i materiali relativi ai casi dei perseguitati o fatti sparire dal regime, ascoltando registrazioni delle vecchie audiocassette degli anni Settanta e Ottanta – quindi la voce di Marcelo/Armando e di altri – e reperendo anche i giornali dell’epoca scannerizzati nelle mediateche, poiché tutto appartiene ad un’era pre-Internet e dunque ogni traccia va ricostruita da più fonti.
Allo stesso tempo anche Marcelo, cui l’organizzazione di protezione a Recife dà un lavoro di copertura in un archivio che ha schede (manuali) con l’anagrafica di tutte le persone morte e scomparse nell’area, cerca di ritrovare la scheda e quindi l’identità di sua madre, rimasta incinta di un ricco signore presso cui lavorava.
Come tutto sembra complicato e lento senza le attuali tecnologie ma anche foriero di investigazioni serrate, in cui ogni ritrovamento è una vittoria. Queste informazioni, insieme ai flash-back narrativi, costituiscono il ponte generazionale che porterà, nel finale, ad una inattesa chiusura del cerchio nelle vite dei protagonisti.
La leggenda metropolitana della gamba castigatrice
Elemento divertente e magico del film (ritorna l’ancestralità ma anche l’ironia) è quello di una gamba, rubata dall’obitorio, ritrovata da sola senza corpo che, in alcune notti, prende vita e va a castigare persone non gradite, tra cui i componenti della comunità LGBT , i ‘capelloni’ e altri gruppi considerati eversivi del conservatorismo.
Sembra che a Recife, secondo una leggenda metropolitana, negli anni Settanta una ‘gamba pelosa’ senza corpo, venuta fuori dalle viscere di uno squalo, creasse seri problemi nell’area nordorientale del Paese, rubando prove e corpi dagli obitori e diventando protagonista di efferatezze e crimini che riempivano i giornali dell’epoca.
In realtà si trattava di una metafora per denunciare i crimini del regime militare e le sue gesta oppressive: in una scena esilarante del film il regista si diverte a immaginare questa gamba che colpisce improvvisamente vari gruppi di persone intente a svolgere il mestiere più antico del mondo sulle panchine o dietro agli alberi, in un parco dove si ritrovano gay e trans.
Nel cast: Wagner Moura, Maria Fernanda Candido, Gabriel Leone, Carlos Francisco, Alice Carvalho, Roberio Diogenes, Hermila Guedes, Igor De Araujo, Italo Martins, Laura Lufesi, Udo Kier, Roney Villela, Isabél Zuaa