Richard Linklater fa un grande regalo soprattutto ai cinefili in questa edizione del Concorso: Nouvelle Vague riporta in vita, davanti ai nostri occhi, tutti i membri di quello che è stato uno dei movimenti più importanti nella evoluzione del cinema mondiale. La loro anarchia spensierata e ferma, la loro giovinezza, il loro modo di vivere dentro al cinema, con il cinema, per il cinema.
Una luce nuova si espande in un bianco e nero vivo, ci trascina dentro un tempo condiviso con noi posteri: testimoni e spettatori di tutte le sperimentazioni e avanguardie tecniche, morali, narrative sedimentate dentro i nostri occhi, le nostre menti, il nostro cuore.
Li vediamo, didascalizzati nel nome e cognome (ciascuno impersonato abilmente da un attore) e ogni sovraimpressione crea un piccolo sobbalzo, sorriso, una intima complicità: Éric Rohmer, Jacques Rivette, Jean-Luc Godard (un ispirato Guillaume Marbeck), Claude Chabrol, François Truffaut (l’empatico Adrien Rouyard), insieme a tutti gli altri protagonisti e le meteore artistiche e intellettuali di quel tempo.
Al centro di Nouvelle Vague, la genesi de Fino all’ultimo respiro (1960), film manifesto del movimento e dell’avvio della carriera registica di Jean-Luc Godard, il più intransigente critico dei Cahiers du cinéma. Dopo il successo a Cannes de ‘I 400 colpi‘ del collega e amico Truffaut, Godard è pronto a fare cinema.
Il modo migliore di criticare un film è fare un film
Godard non può che rivolgersi al riluttante amico e produttore Georges de Beauregard (Bruno Dreyfürst) per farsi finanziare il suo progetto. Richard Linklater ‘sfrangia’ il manifesto della Nouvelle Vague, mostrandone la ‘costruzione imperfetta’ con Godard al suo primo set, il suo taccuino degli appunti, nei rimandi ad altri registi per lui maestri, nei foglietti con i suggerimenti per gli attori, nelle pause e interruzioni improvvise della scaletta di lavorazione. Un caffè come base, un flipper per rilassarsi. Il rapporto scanzonato con Jean-Paul Belmondo (Aubry Dullin), quello controverso con Jean Seberg (Zoey Deutch), che dall’America era arrivata per recitare con Truffaut, Chabrol, non certo con uno sconosciuto e indefinito Godard.
Una passione contagiosa
Nouvelle Vague è un film destinato anche al futuro. Con la stessa freschezza che caratterizzava quel momento così libero, follemente brillante nello spezzare legacci estetico-commerciali, stilistici, nella voglia di osare, offrire allo sguardo spento e assuefatto nuovi orizzonti di verità, di bellezza, di consapevolezza, Richard Linklater invita le nuove generazioni a guardare davanti a sé cercando ciò che ancora non è manifesto: gli sguardi riflessi negli occhiali a specchio di Godard (quello di di Jeann Pierre Leaud che chiude I 400 colpi e di Jean Seberg di Fino all’ultimo respiro) condensano ciò che noi abbiamo raccolto degli occhi e delle visioni di questi indimenticabili esseri umani.