Kei Ishikawa con A Pale View of Hills riporta a galla ad Un Certain Regard le memorie e le ferite dei superstiti di Nagasaki. Lo fa adattando cinematograficamente il primo omonimo romanzo di Kazuo Ishiguro, scrittore britannico di origine giapponese, premio Nobel per la letteratura nel 2017.
Nagasaki, 1952. La giovane futura mamma Etsuko (la’Ozuniana’ Suzu Hirose) vive una vita apparentemente tranquilla, accudendo il marito e la casa. Sottopelle, la propria inquietudine affiora in oggetti segreti affidati ad un baule gelosamente custodito. Dalla finestra del suo caseggiato avvista una giovane donna che attrae la sua curiosità. Il caso la porterà a conoscere presto Sachiko (la pluripremiata Fumi Nikaido) e la piccola Mariko.
A Pale View of Hills congiunge due epoche e due Paesi distanti, il Giappone e la Gran Bretagna, nei ricordi che Niki, la secondogenita di Etsuko, vuole estorcere alla madre, immersa in una bella casa nella campagna londinese. Niki progetta di scrivere un libro sulle esperienze postbelliche vissute da Etsuko a Nagasaki. La donna fa fatica ad aprirsi, è preda di brutti sogni, dorme sul divano avendo accanto un rassicurante, splendido giardino.
Una prospettiva riflessa
Kei Ishikawa decide di impostare il racconto di tematiche care al cinema giapponese (Ozu non è ‘replicabile’ in nessun maniera) utilizzando un inganno narrativo che si scioglierà naturalmente soltanto alla fine del racconto. Kazuo Ishiguro è stato molto felice di poter vedere realizzato un film sul suo romanzo proprio da un regista della nuova generazione nipponica, includendo anche una prospettiva britannica di chi non ha vissuto direttamente quella tragedia.
A Pale View of Hills ci mostra quanto possa essere diversificata l’eredità della distruzione atomica: chi rimane ancorato al passato, alla tradizione e chi invece va avanti, cambia. Etsuko e Sachiko incarnano due facce di una stessa medaglia. La pellicola ci mostra come le vicende che ci accadono ci plasmano e in che modo il passato arriva a noi attraverso le esperienze di coloro che ci hanno vissuto accanto. Di quanto riescono a trasmetterci, superando dolore, rimorsi, sensi di colpa. Il modo in cui scegliamo di portare avanti queste cicatrici interiori è uno dei temi che A Pale View of Hills esplora.
Kei Ishikawa riesce a riprodurre più veridicità solo quando si immerge nel Giappone del 1952: il suo ‘classicismo edulcorato’ ha un senso. Funziona meno, soprattutto visivamente, lo stacco ad un contemporaneo che non viene marchiato fotograficamente. Il botta e risposta non è immediato: tra i due solchi temporali ed il segreto che li unisce non c’è quella continuità che visivamente avrebbe avuto un senso. Tutto viene appiattito ad una grammatica filmica abbastanza scontata, lo ‘shock’ finale non cancella un pregresso che scalda appena, nel suo insieme.