L’estate danese di My Eternal Summer appare come sospesa nel tempo. La fine della scuola e il ritiro nella dimora estiva di Fanny (Kaya Toft Lohot) e la sua famiglia non sono rappresentati dalla regista Sylvia Le Fanu come un momento di pausa dal tran tran della vita quotidiana. Non c’è spensieratezza, non c’è gioia, ma c’è la lunga attesa della perdita che aleggia sui personaggi per tutta la durata del film.
La regista affronta, nel suo lungometraggio d’esordio, il tema della perdita, intessendo un raffinato arazzo di relazioni umane e di esistenze che proseguono nell’arco di un’estate infinita. Il dolore della separazione emerge attraverso una quotidianità rinnovata, che si è trasformata in una stanca routine, mantenendosi in equilibrio su un sottile filo emotivo.
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My Eternal Summer, un’estate sospesa nel tempo
La giovane Fanny e i suoi genitori trascorrono le giornate al bordo piscina o in riva al mare, tra letture estive, tuffi al tramonto, passeggiate nella natura e pic nic. Pur cercando di matenere una propria normalità tra lavoretti estivi, amori che nascono e finiscono e amici che vanno e vengono, non mancano piccoli momenti di tensione tra la giovane donna che cerca di costruire sé stessa e il mondo che la circonda.
La fotografia avvolge ogni inquadratura di tonalità calde di giallo e azzurro, enfatizzando la bellezza e la luminosità del paesaggio estivo danese, in netto contrasto con la storia raccontata che fa trasparire una quiete pervasa da silenzi carichi di tensione.

Le Fanu sfrutta proprio questo contrasto tra l’esterno luminoso e il turbamento interiore dei personaggi per costruire un coming of age intenso e senza fronzoli, senza momenti sovra le righe e con una tensione emotiva che non esplode mai, ma resta lì, nell’ombra del dolore mentre si riflette nel sole di mezzogiorno diventando un paradosso narrativo che emerge forte da ogni piccolo silenzio, da ogni sguardo spento e dai piccoli gesti apparentemente banali.
My Eternal Summer, il quarto personaggio
La scelta di girare il film sull’isola di Langeland, nel sud della Danimarca, con i suoi campi aperti e il suono delle onde che si infrangono sulla costa, amplifica il senso di attesa di una fine inevitabile. La distanza geografica sottolinea l’isolamento di Fanny, quindicenne alle prese con il delicato passaggio dall’infanzia all’età adulta mentre aspetta la morte della madre (Maria Rossing).
In questo scenario, la casa di vacanza assume i tratti di un quarto personaggio: custodisce ricordi e memorie di un passato che sta cedendo il passo a una nuova realtà segnata dalla malattia. Emblematico è il simbolismo della scala che conduce al piano superiore, dove il piano inferiore, ormai inaccessibile alla madre, confinata a letto dalla malattia, diventa metafora della fine e della crescente distanza emotiva tra madre e figlia negli ultimi giorni.

My Eternal Summer, un coming-of-age tra speranze e rimpianti
Frammenti di memoria familiare vengono raccontati attraverso una narrazione a tratti documentaristica, priva di fronzoli, patetismi e sentimentalismi facili sulla malattia e il dolore della perdita. La regista sembra che sia riuscita perfettamente a dipingere emozioni e reazioni autentiche davanti alla morte scegliendo uno stile asciutto e sobrio, privo di artifici melodrammatici, ma che anzi grazie a silenzi carichi di tensioni, parole non dette e piccoli gesti, aiuta a osservare i personaggi e il loro dolore con discrezione e una complicità distante.
Dando risalto ai primi piani che fermano l’attenzione sui volti immersi nell’attesa, la performance di Kaya Toft Loholt nel ruolo di Fanny diventa centrale nel decodificare il panorama umano che ci viene presentato. La giovane attrice offre un’interpretazione intensa fatta di sguardi e piccoli dettagli che fanno emergere con forza il fil rouge del film interamente retto sul dualismo tra vita e morte.

Da un lato Fanny vuole iniziare a vivere la sua vita da giovane donna, ma dall’altro deve affrontare l’imminente perdita della madre e un rapporto non idilliaco con il padre (Anders Mossling). In My Eternal Summer la narrazione viene affidata alle piccole interazioni quotidiane tra madre e figlia. Un abbraccio, una carezza, una risata inaspettata sul divano mentre vedono una partita, diventano un lampo di tenerezza che illumina il buio e che conferiscono calore e conforto inaspettati, mostrando che non è tutto perduto nonostante la sofferenza che bisogna sopportare.
My Eternal Summer, l’addio alla fanciullezza
Con questo lungometraggio, Le Fanu sceglie di raccontare l’adolescenza di Fanny nel momento più fragile della sua vita, in equilibrio tra la speranza di una miracolosa guarigione della madre e il rimpianto di non poter vivere questa lunga ed eterna estate con la spensieratezza che le spetterebbe. Mentre cerca di rispondere alla domanda “sono una brava figlia”, Fanny dice addio alla sua fanciullezza.

Pesentato con successo nei festival internazionali da San Sebastián al BFI London Film Festival, My Eternal Summer è in arrivo al Riviera International Film Festival e segna l’ingresso di Sylvia Le Fanu tra le voci più interessanti del nuovo cinema europeo. In un periodo in cui il cinema indipendente mostra grande libertà nel raccontare storie intime quanto universali, questo esordio si distingue per la sua autenticità dimostrando che anche temi complessi, come il lutto e la crescita, possono essere affrontati con estrema delicatezza e sensibilità.
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