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RIVIERA INTERNATIONAL FILM FESTIVAL

‘The White House Effect’: Bush e l’occasione mancata

Un interrogativo su come una diversa politica americana avrebbe potuto cambiare il corso della storia della lotta al cambiamento climatico.

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Presentato al Riviera International Film Festival di Sestri Levante, il documentario The White House Effect, dei registi Bonni Cohen, Pedro Kos e Jon Shenk racconta la drammatica storia delle origini della crisi climatica e di come il percorso americano in merito non sia stato null’altro che un’occasione mancata.

Crisi climatica, la grande dimenticanza

Gli anni passano, i governi si avvicendano, i presidenti cambiano idea.

Il tema del cambiamento climatico va più o meno di moda fra i potenti. Mai movimenti furono e saranno più ondivaghi. Gli unici a restare fermi sulle loro posizioni sembrano essere gli scienziati e gli attivisti. Imperterriti, irremovibili, certi del loro sapere e sentire.

In un Antropocene che arranca e prende fuoco (qualcuno chiama, infatti, l’epoca attuale Pirocene), le maggiori oscillazioni giungono, da sempre, dagli Stati Uniti.

Nel tempo, la politica degli Stati Uniti sul cambiamento climatico si è trasformata da serie e decise buone intenzioni a una totale negazione.

I fatti di oggi, con la posizione di Donald Trump, parlano da sé. Le politiche climatiche e ambientali statunitensi sono tornate all’inizio del 2017, quando la prima ventata di negazionismo trumpiano revocò oltre 125 norme ambientali.

Dal 20 gennaio 2025 si è assistito al ritiro degli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi, alla strategia “di dominio energetico” a base di petrolio e gas Made in USA, fino ai tagli del personale di diverse agenzie federali, tra cui l’Environmental Protection Agency (EPA).

Oggi, però, Trump non nega più pubblicamente l’esistenza del cambiamento climatico ma, semplicemente ne ignora cause ed effetti, smantellando le leggi che sarebbero motivate dall’“ideologia green”. Un terribile passo indietro. Ma è davvero cambiato qualcosa?

Oltre trent’anni fa, George H. W. Bush: poco è cambiato

Trent’anni fa, il mondo era pronto a fermare il riscaldamento globale, almeno sulla carta, almeno così pareva. Almeno così ci si augurava e si sperava.

Utilizzando esclusivamente materiale d’archivio, The White House Effect racconta di come una battaglia politica all’interno dell’amministrazione di George H.W. Bush (1989-1993) abbia cambiato il corso della storia. O, meglio, di come il mondo si sia trovato di fronte a una vera e propria opportunità sprecata, a un’occasione mancata. Anzi, alla fine, sembra, pure deliberatamente minata.

Bush si era impegnato a usare “l’effetto Casa Bianca” per affrontare il tema del riscaldamento globale. Promessa vuota per un Presidente schiacciato tra il suo capo di gabinetto John Sununu e i mediatori di potere dell’industria, da un lato, e il suo capo dell’EPA William K.Reilly e i climatologi, dall’altro.

Reilly aveva già operato sotto la presidenza Nixon e, dopo quella di George H.W. Bush, avrebbe supportato la presidenza Clinton e Obama. Era stato presidente del World Wildlife Fund (WWF) e della Conservation Foundation. Durante l’era Bush, Reilly, come amministratore dell’EPA, ha guidato gli sforzi per l’approvazione di un nuovo Clean Air Act e ha capitanato la delegazione statunitense alla Conferenza delle Nazioni Unite su Ambiente e Sviluppo tenutasi a Rio nel 1992.

L’occasione era quella di quel vertice di Rio al quale tutto il mondo si preparava. Il Presidente Bush poteva avere un ruolo decisivo e cambiare il corso della storia climatica, ma sarà solo il punto di partenza per un’America che minerà un accordo globale per porre limiti rigidi alle emissioni.

Un inizio fatto di proclami e una conclusione fatta di negazionismo.

The White House Effect, un documentario che incrimina

Il documentario rappresenta una scomoda verità di fronte a una certezza fatta di ondate di calore, incendi, uragani ed eventi atmosferici estremi che sono diventati una crisi meteorologica quasi continua.

Incentrato su tre amministrazioni presidenziali (Carter, Reagan e George H.W. Bush), il film disegna una linea che traccia i passaggi temporali del temuto quanto divisivo effetto serra. Con tanto di documenti e grafici che mostrano una crescita esponenziale della concentrazione di CO2 nell’aria (PPM).

Si inizia con il 1988, quanto il tema viene ampiamente dibattuto, di fronte a siccità record e alte temperature in tutti gli Stati Uniti. In un’audizione al Senato, James Hansen, un importante e noto climatologo della NASA afferma che non ci sono dubbi riguardo alla causa e all’effetto delle emissioni di CO2 sull’atmosfera. Un altro esperto – Michael Oppenheimer dell’Environmental Defense Fund – osserva che tali avvertimenti sono stati lanciati nella comunità scientifica già 15 anni prima.

George H.W. Bush abbraccia la realtà del riscaldamento globale, dicendo che “l’effetto Casa Bianca” è abbastanza potente da combattere quello dell’effetto serra. Dice anche: “Non è una cosa liberale o conservatrice… [è] l’agenda comune del futuro”. Sembra l’ambientalista delle nuove generazioni. Sentimenti che non dureranno a lungo.

Parte I: “Sei disposto a fare sacrifici?”

Con un flashback, si torna al 7 luglio 1977, quando il presidente Jimmy Carter di fronte a un urgente rapporto governativo sulla “possibilità di un cambiamento climatico catastrofico” decide di tenere “un discorso poco piacevole” in TV, esortando il pubblico a frenare “lo spreco nell’uso delle risorse” di fronte a “un problema senza precedenti nella nostra storia”. In risposta, la gente per strada sembra disposta a fare cambiamenti e sacrifici per un bene superiore. Mentre Carter apre la via strada all’energia solare, la crisi del gas del 1979 porta a un forte calo nei consensi. La rotta appena abbozzata si inverte.

Incolpando l’amministrazione uscente per “il fiasco che chiamiamo crisi energetica”, Ronald Reagan entra in carica con la promessa di un periodo d’oro per le trivellazioni, riducendo la regolamentazione dell’industria petrolifera (mentre Exxon investe oltre 300 milioni di dollari nella produzione di carbone) e i programmi per l’energia solare. Il tutto, allo slogan di “Together we will make America great again” (quale eco moderna…).

Reagan sceglie anche come vicepresidente George H.W. Bush, definito da molti come uno yankee del Connecticut che si era “trasferito in Texas e aveva fatto fortuna nel settore petrolifero”.

Parte II: “Quale George Bush sto guardando?”

Otto anni dopo, George H.W. Bush fa campagna elettorale per la carica di “presidente ambientalista”, con una volontà apparentemente sincera di affrontare le preoccupazioni sul cambiamento climatico che nel frattempo si sono intensificate.

Eletto il 9 novembre 1988, George H.W. Bush nomina un imperturbabile “greenie”, William K. Reilly, come capo dell’EPA ma anche il conservatore “guerriero ideologico” John Sununu, come capo di gabinetto. Diventa subito chiaro chi avrà la maggiore influenza.

Intanto, incombe la catastrofe della Exxon Valdez. È il 24 marzo 1989, quando una superpetroliera di proprietà della Exxon si incaglia in una scogliera dello stretto di Prince William, un’insenatura del golfo dell’Alaska, disperdendo in mare oltre 40 milioni di litri di petrolio. I dati e le conseguenze sono terribili. Dal 1975, Exxon studia l’Alaska.

Il 22 aprile 1989, Reilly indica che la temperatura della terra potrebbe innalzarsi di 3 gradi al 2050 e che “il cambiamento climatico globale è IL problema ambientale internazionale”. In risposta, John Sununu, suggerisce che “non è il momento di creare aspettative”.

L’industria inizia a farsi sentire, soprattutto quella del settore del gas, del petrolio e del carbone. Si comincia a contraddire la ricerca scientifica, la si de-legittima poco a poco, al punto che un rapporto di alto profilo preparato dal climatologo James Hansen, interrogato dal senatore del Tennessee Al Gore, viene modificato contro la volontà del suo autore. Gli “esperti” iniziano a infiltrarsi nei media per minimizzare i timori climatici, spingendo voci populiste come Rush Limbaugh a inveire contro l'”eco-imperialismo”.

Reilly è sempre più solo, mentre Bush e Sununu negano qualsiasi cambiamento di rotta. Deve trovare scuse poco convincenti per l’amministrazione nei vertici internazionali in cui gli Stati Uniti diventano il più grande – e a volte l’unico – oppositore, tra le nazioni disposte a impegnarsi per obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2.

Parte III: “La scienza è in vendita?”

Non pare ormai più realistica l’affermazione di inizio mandato di Bush, secondo cui le questioni ambientali non conoscono ideologia. Il tema diventa sempre più politica, si deve ‘bilanciare’ la protezione dell’ambiente con lo sviluppo economico, le major petrolifere premono. Arrivano anche depistaggio (affermazioni secondo cui le politiche verdi sono “anti-crescita, anti-lavoro, anti-America”) e disinformazione (“gli esseri umani non stanno causando il riscaldamento globale”), premesse per creare una copertura sufficiente per un vero voltafaccia, in cui l’intera questione viene “spostata dal regno scientifico a quello politico”, come diceva Al Gore già nel 1984.

Nel 1990, arriva la prima guerra del Golfo, a quell’epoca l’Iraq pesa il 23% dell’approvvigionamento petrolifero degli Stati Uniti d’America, l’economia è la prima preoccupazione. Ne va del lavoro, dello stile di vita, della libertà americana.

Allo storico Summit della Terra di Rio de Janeiro del 3-14 giugno 1992, George W. Bush, alla fine, va, ma non assume impegni. Prende tempo. Ancora. Gli Stati Uniti sono isolati.

Mentre, per le strade, alcuni cartelli recitano “You’re Embarassing U.S.”.

Parte IV: “Cosa ci sta facendo la natura?”

Da allora la retorica negazionista americana si è solamente intensificata, anche se sembra che ogni nuovo anno diventi il più caldo della storia. La confusione porta alcuni addirittura a pensare che sia la natura a fare brutti scherzi.

The White House Effect sintetizza questa tragedia (annunciata) dei tempi moderni con, alla fine, una brevità devastante. Dalle meste interviste dell’ultimo periodo di Reilly a quelle con il climatologo Schneider, in cui si rammaricano dei percorsi non intrapresi.

C’è poi la semplice eloquenza visiva di un grafico che mostra i livelli di CO2 atmosferica da quando la civiltà umana ha iniziato (circa 10.000 a.C.): una linea quasi piatta che aumenta esponenzialmente con l’inizio delle trivellazioni petrolifere commerciali circa 150 anni fa. È un’immagine che rende ridicola e vuota ogni logica di oppositore.

The White House Effect è illuminante punto di partenza per riflettere e chiedersi: ma come siamo arrivati ​​a questo punto? La risposta alle e dalle nuove generazioni.

‘The White House Effect’

  • Anno: 2024
  • Durata: 94'
  • Genere: Documentario
  • Nazionalita: USA
  • Regia: Bonni Cohen, Pedro Kos, Jon Shenk