«Eroine senza radici alle prese con l’amore e la solitudine»
Esistono molti bravi registi, ma sono solo una manciata a possedere una sensibilità così unica come Stefano Lorenzi. I suoi film si riconoscono da quegli eroi comuni, senza radici, alle prese con l’amore e la solitudine. Personaggi velati di malinconia, capaci di confondere la linea tra sogno e realtà. Il suo ultimo lavoro, Afrodite, è un vero e proprio viaggio sott’acqua, in grado di restituirti tutta la bellezza e l’intensità di un’intera parte di mondo. Un film al femminile con due interpreti che si completano a vicenda, dando vita a un’opera che racconta una piccola, grande, storia d’amore.
Afrodite racconta un amore al femminile. Una scelta coraggiosa con due perfette interpreti, Ambra Angioini e Giulia Michelini. Come mai questa scelta?
Questo progetto è nato otto anni fa, anche se ha preso luce solo adesso, probabilmente perché le cose sono un po’ cambiate. Avevo proprio il desiderio di raccontare una storia tutta al femminile. Per dieci anni ho lavorato con Paolo Virzì, facevo il suo assistente, e spesso gli dicevo e discutevamo tanto sul fatto che era necessario raccontare le storie al femminile. Ho sempre avuto questo desiderio, anche perché sono cresciuto in una famiglia di donne e questo mi ha permesso di sviluppare una certa sensibilità. Volevo raccontare una storia intima, e avere Ambra e Giulia è stato quel valore aggiunto. Loro stesse si sono riconosciute in questa alchimia, le ho trovate sin da subito diverse ma complementari, che poi è quello di cui il film aveva bisogno. Tra l’altro questa è stata una scelta inusuale perché comunque avere per protagoniste soltanto delle donne, anche se c’è una parte maschile, è l’elemento che rende questo film diverso dagli altri.
Afrodite è il nome della nave che fa da sfondo al film. Tra l’altro nasce da Urano e dalla schiuma del mare; quindi è la protettrice dei marinai. Ma Afrodite è soprattutto la dea dell’amore. Possiamo definire questo film anche un inno all’amore?
Sì, certamente. Due sub che fanno immersione per recuperare del tritolo, per conto della mafia, nascosto all’interno di un relitto. Mi sembrava quasi di vedere un fiore sbocciare nel deserto perché, all’interno di un contesto mafioso, quindi privo di sentimenti, nel raccontare che la sopravvivenza può far emergere l’amore, mi sembrava quasi di avere il detonatore della mafia. Queste due donne in qualche modo si liberano da qualcosa che è opprimente, che le rende prigioniere. E anche il personaggio maschile, se ci fai caso, è a sua volta prigioniero di una mentalità sbagliata. Ho sempre detto che la Sicilia è una bellissima donna violentata, e per me è una delle regioni più belle, se non la più bella che abbiamo. E lo dico da toscano. Ogni volta che la vedo mi innamoro perché ha una ricchezza infinita tra mare, cultura, storia. Quindi spero che possa ambire in futuro ad una rinascita, che è un po’ quello che fanno le due protagoniste in questo film: rinascono attraverso il male.

Mi ha anticipato la domanda. Nei suoi precedenti lavori, parlo del cortometraggio Valzer di primavera, e della serie TV Inchiostro contro Piombo, lei tratta due tematiche che le sono molto care, la mafia e la guerra che ripropone, poi, nel film Afrodite. Perché?
Ma perché credo che nei contesti di oppressione, la rinascita possa essere raccontata attraverso i sentimenti e le storie d’amore. É come se in un contesto di guerra ci si dimenticasse quello che è il fondamento dell’essere umano, ovvero le emozioni, i sentimenti. Mettere a contrasto i sentimenti con qualcosa che è totalmente opposto, che è violento, repressivo e sbagliato come la guerra ci permette di superare tutte quelle barriere, quei muri che ci dividono. In Afrodite ci sono due donne che vogliono esprimere la loro identità, ma anche lo stesso mafioso sta cercando qualcosa che non riesce a trovare e che poi lo porta a fare delle scelte sbagliate. Credo che, nel racconto di una storia, ci siano tanti elementi importanti, che poi sono la base di quello che è la nostra quotidianità, anche se spesso ce lo dimentichiamo.
In Afrodite i campi lunghi lasciano spazio a quei primi piani che sfociano in dettagli e rendono il film esteticamente molto bello. Perché questa scelta?
Ma guarda, ci sono quei primi piani che arrivano sempre da campi alti e si focalizzano poi sui dettagli. É come se avessi bisogno di entrare dentro in maniera misurata, proprio per dare maggiore emotività. Chiaramente non è un film di primi piani, ma arrivano in momenti precisi e saltano agli occhi per fare entrare lo sguardo dello spettatore dentro l’emotività di quel momento. Penso al primo piano di Giulia appoggiata ad Ambra: per me quello è un momento emozionante e pensare che lì c’era proprio una scena scritta. L’ho ridotta a un primo piano. Doveva essere una scena girata sopra l’acqua, perché bastava quello. Venivo da un racconto dove quel primo piano era essenziale, è l’essenza di quel momento. É un po’ come succede nelle storie d’amore, ci si ricorda dei frammenti.
Qual è stata la sfida più ardua nel girare questo film?
Senza dubbio le riprese. É stato un film molto difficile, perché girare sott’acqua non è solo tecnica, ma una vera e propria impresa. Devo dire che ho avuto una troupe professionale che mi ha aiutato molto. Ma è stato difficile soprattutto a livello emotivo, perché andare sott’acqua e recitare sott’acqua è davvero dura. Ambra e Giulia sono state stupende, meravigliose, uniche, si sono preparate per mesi, l’hanno voluto. É stata una preparazione psicologica forte, mi ricordo che avevamo girato tutta la prima parte sott’acqua e poi, per piani di elaborazione, nel finale abbiamo dovuto recuperare girando di nuovo sott’acqua. Ambra ha avuto difficoltà alla sola idea di ritornare sott’acqua, una paura normalissima; così quel giorno, ci siamo presi per mano, abbiamo parlato a lungo e alla fine lei si è gettata e abbiamo girato una delle scene più belle, il recupero, a cui Ambra ha dato un’intensità unica. Quando è uscita era euforica. E il film racconta anche questo, l’idea di andare in profondità per superare e vincere le proprie paure. Quel relitto è anche la parte più inconscia di noi, quella che a volte non vogliamo affrontare. Non vogliamo andare fino in fondo a quelle che sono le nostre emozioni, perché vuol dire vincere e riconoscere dei sentimenti che probabilmente porterebbero a non avere guerre, divisioni, paure nei confronti dell’altro.

Nel film i personaggi si trasformano: le donne diventano da vittime carnefici e, soprattutto Sabrina scopre l’amore. Ha avvertito anche lei un cambiamento alla fine di questo film?
Sicuramente mi sono trasformato perché è stata veramente una condizione fisica e psicologica molto dura. Anche a livello produttivo. Una volta finite le riprese ero completamente distrutto perché metti in gioco la tua parte emotiva, e anche tutti i professionisti con cui lavori fanno lo stesso. Per me è stato un vero e proprio cambiamento perché ho capito che se riuscivo a portare a termine questo progetto nel migliore dei modi, e credo di averlo fatto, sarebbe stato un passaggio verso una grande maturità. Tra l’altro stiamo parlando di un film che è unico: 35 minuti di film montato su acqua. Nessun film italiano ha mai fatto questo, e non parliamo di scene di passaggio, ma di scene recitate sott’acqua. Inoltre, mi sono impuntato sul fatto che fossero le mie attrici, Ambra e Giulia a recitare sott’acqua. Perché volevo un racconto vivido. Per noi registi lo sguardo, gli occhi, il primo piano, sono tutte cose che fanno parte e compongono un racconto emotivo, celano all’interno delle emozioni e quindi non potevo privarmi di questo mettendo delle controfigure. Non abbiamo usato effetti speciali, è tutto reale. E quando le ho viste negli occhi sott’acqua e, con tutta la maschera le ho riconosciute, non puoi capire la mia gioia.
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