Un unicorno muore. Non è spoiler, è il titolo. Oltre al titolo, sono i primi quindici minuti di Death of unicorn a spoilerare il resto del film. Nonostante questa prevedibilità non pianificata, Alex Scharfman regge botta e firma una commedia piacevole con qualche spunto horror qua e là.
L’inizio della storia di Death of a unicorn
Papà Elliott e figlia Ridley, Paul Rudd e Jenna Ortega, viaggiano in macchina verso un molto poco entusiasmante weekend lavorativo di lui. C’è qualcosa che non va fra loro, ma se ne riparlerà più avanti. Ora si devono occupare di altro: Elliott ha investito qualcosa. Un capriolo? Non siamo mica in Abruzzo. Un cinghiale? Non siamo mica a Monte Mario. L’incidente scatenante di Death of a unicorn è letteralmente un incidente e questo è molto poco originale. Se non fosse che Elliott ha investito un unicorno. Anzi, “un animale a forma di cavallo con una massa tumorale sulla testa” agli occhi di Elliott, che procede con il porre fine alle sofferenze dell’animale in fin di vita. Ridley, invece, è più sensibile ed entra in connessione con questa creatura, nonostante, possiamo dirlo, l’unicorno abbia un bizzarro design da mascotte del Ministero della Sanità per la sensibilizzazione sulle malattie mentali.
Arrivano gli altri personaggi
I due decidono di portarsi dietro la creatura. Arrivano a destinazione, la lussuosa villa immersa nel verde boscoso del Canada dei datori di lavoro di Elliott, la famiglia Leopold. La ricchissima e potentissima famiglia Leopold, composta dal megalomane Odell (Richard E. Grant), malato di cancro, la filantropa moglie faccia-di-bronzo, Belinda (Téa Leoni), e il loro figlio, Shepard (Will Poulter), un imbecille aspirante erede di Elon Musk. Un trio di macchiette, derise dallo sguardo giudicante del regista che dall’inizio alla fine sembra aver dato queste indicazioni agli attori: “Prendetevi in giro”. Una di quelle scelte che dichiara esplicitamente il tono di Death of a unicorn: divertiamoci facendo un po’ di satira contro i poteri forti. Charlie Brooker ha messo mi piace.
In quattro minuti netti, la famiglia Leopold scopre l’unicorno e scopre, soprattutto, i poteri del suo sangue: riesce a curare qualsiasi male. E tu guarda, l’unicorno finisce dritto nelle mani dei proprietari di un’azienda farmaceutica, pronti a tutto per guadagnarci sopra. Ma, colpo di scena: l’unicorno ha dei genitori, leggermente infastiditi, alla ricerca del loro cucciolo. E all’improvviso, Death of a unicorn si trasforma nel remake di Jurassic Park, ma con degli unicorni arrabbiati. Odell, guarito dal cancro grazie al sangue dell’unicorno, vuole affrontare queste creature feroci e catturarle. Belinda e Shepard gli danno una mano, insieme a Elliott, che vuole guadagnarsi la sua parte di profitti per garantire alla figlia un futuro all’altezza delle promesse fatte alla moglie malata. Ridley, prossima rappresentante del WWF, resta l’unico personaggio a pensare in maniera sensata e deduce che, forse, conviene lasciare in pace gli unicorni.

Il tono superficiale di Death of a unicorn
Death of a unicorn è un film che sceglie di non prendersi sul serio. E va bene così, finché ci si limita a voler divertire. Con le uscite assurde dei Leopold. L’inettitudine di Elliott. Le grottesche relazioni fra i personaggi. Anche con le morti splatter, simili a quelle dei recenti The Monkey e Mickey 17. Il problema è che questi sono solo spunti. Non c’è organicità. Sharfman mette in mezzo tanti temi, ma non li affronta mai veramente. Ha un approccio superficiale, leggero, anche se a tratti aspira ad altro. Il tentativo di fare la satira, che tanto piace alle distribuzioni A24, non va proprio a segno: non si capisce su cosa si vuole fare satira. Sulla nostra ossessione per l’immortalità? Sul potere delle case farmaceutiche? Sui nostri rapporti familiari? Non si sa, però, nel dubbio, facciamo una battuta sulle cryptovalute.
Il problema è nei protagonisti
Anche costruire dei protagonisti così piatti non aiuta. I Leopold sono lo stereotipo della famiglia ricca e potente. La versione grottesca della famiglia di Succession. E va bene così: sono i cattivi, non condividiamo i loro problemi, servono solo a dare un tono al film. Il problema riguarda Ridley ed Elliott. Lei è l’unica che capisce come stanno andando le cose, ma non viene ascoltata. Cliché. È un’adolescente della Generazione Z con un rapporto complesso col padre. Cliché. È attenta alla storia mentre a nessuno frega niente del passato. Cliché. La protagonista di Death of a unicorn non viene mai premiata e l’unica cosa che può fare è dire “ma non capite che non ha senso?”. Fastidioso per lei, divertente per noi.
Dall’altra parte c’è Elliott, un padre single che non ha la minima idea di come fare il padre. Dichiara dall’inizio di voler fare tutto quello che serve per aiutare la figlia, ma poi non ne azzecca una. Non l’ascolta mai, non l’aiuta, lui che più di tutti dovrebbe darle retta e stare dalla sua parte. Non proprio il papà dell’anno. Almeno, però, Elliott ha un problema da risolvere ed è spinto a cambiare. Si empatizza più con lui che con Ridley, che invece ha ragione dall’inizio alla fine. Ridley è costretta a fare la maestrina per come è costruito Death of a unicorn, cioè in modo superficiale, poco approfondito.
Conclusioni
P sul lato tecnico, poco da dire. Il film non ha molte ambizioni. Classica regia copia carbone dello Spielberg di Jurassic Park. Fotografia gestita bene. Montaggio sotto controllo. CGI migliorabile (gli unicorni sembrano un po’ di gomma, duole ammetterlo), ma si tratta di un film da quindici milioni, budget sotto la media per Hollywood. Distribuzione A24, che non ci sta puntando più di tanto, forse consapevole della non eccezionalità del film. Insomma, Death of a unicorn non è memorabile, non cambierà la storia del cinema e lo sa benissimo. Conosce la formula per funzionare, ma non ci gioca molto. Preferisce giocare e divertirsi con altro.