Denise Fernandes ci induce a immergerci in una poesia che prende forma immagine dopo immagine. ‘Hanami‘ è un mondo a rallentatore, fatto di suoni, rumori e vibrazioni quasi impercettibili. Attraverso scorci suggestivi vengono analizzati temi importanti come l’emigrazione, la tradizione con il proprio territorio e il legame con l’isola che fin dai primi minuti è indissolubile.
Le vicende si aprono e si svolgono sul panorama dell’isola di Fogo, a Capo Verde. La regista francese intende rendere protagonista la cultura capoverdiana in un racconto fatto di appartenenza, nostalgia e ricordi. ‘Hanami‘ – primo cortometraggio di Denise Fernandes – è in concorso al Bolzano Film Festival.
‘Hanami’, l’importanza delle radici
Il film si apre con Nia (Alice da Luz), una giovane donna che sceglie di lasciare la sua isola natale alla ricerca di un futuro migliore. Questo evento segna l’inizio della storia di sua figlia, Nana (la cui infanzia è interpretata da Dailma Mendes e la sua adolescenza da Sanaya Andrade), la vera protagonista, che Nia è costretta ad abbandonare. Nel breve capitolo introduttivo, la voce di Nia accompagna un rituale intenso e simbolico: Nana viene passata di mano in mano lungo una fila di donne, un gesto che incarna il sostegno, l’amore e la forza femminile che la accompagneranno durante la crescita, nonostante l’assenza della madre.
Ma non è solo la presenza umana a circondare la bambina: anche l’isola stessa sembra accoglierla in un abbraccio visivo e sonoro. Il suono delle onde, quasi onnipresente, richiama il movimento incessante della vita, ciò che si allontana e ciò che ritorna. Questa combinazione di immagini evocative, narrazione profonda e suoni immersivi regala al pubblico un’esperienza sensoriale intensa, come se, avvicinando una conchiglia all’orecchio, potesse sentire il respiro stesso dell’oceano e lasciarsi trasportare dal racconto.

Tra abbandoni e ritorni
Colpita da una febbre alta, Nana viene portata ai piedi di un vulcano per ricevere cure. Qui si trova immersa in un mondo sospeso tra sogno e realtà, dove il confine tra ciò che è reale e ciò che è immaginato si fa labile. Anni dopo, ormai adolescente, Nana si ritrova di fronte al ritorno improvviso della madre. La regista sceglie di rappresentare questo incontro attraverso un raffinato gioco di specchi e trasparenze. Suggerendo visivamente il loro legame complesso, fatto di vicinanza e distanza allo stesso tempo.
E’ una narrazione logica, che non tradisce. La regista ci mostra gli avvenimenti tramite lo sguardo di Nana. I lunghi piani sequenza non sono mai superflui, ma carichi di significato. Ci sono temi delicati e universali come l’abbandono e il senso di appartenenza, raccontati con una delicatezza fine e passionale. Sullo sfondo, il dilemma dell’emigrazione si intreccia con il fascino di un mondo pervaso di magia e tradizione, mentre l’oceano – presenza costante – avvolge la storia con il suo richiamo senza tempo.