“Il rabdomante è una storia originale e fresca. Harja, una ragazza venticinquenne dell’est in fuga dal malavitoso Cintanidd trova rifugio in una masseria in cui il proprietario è uno strano personaggio, Felice, un quarantenne che vive fuori dal tempo con la sua rabdomanzia”.
Fabrizio Cattani sa che il suo film piace e piacerà a molti, non lo dice ma guardandolo si capisce che n’è certo. E attenzione non si tratta di arroganza. Tutt’altro. È solo consapevolezza di aver fatto un film degno di questo nome, cosa non facile per nessuno, tanto meno per chi dopo qualche soddisfazione personale si sta giocando in questi anni le sue carte migliori.
Il rabdomante (2007) è una storia originale e fresca. Harja, una ragazza venticinquenne dell’est (l’ungherese Andrea Osvart), in fuga dal malavitoso Cintanidd, boss indiscusso della mala pugliese nel business dell’acqua, trova rifugio in una masseria in cui il proprietario è uno strano personaggio, Felice, un quarantenne che vive fuori dal tempo con la sua rabdomanzia. Entrambi sono soli e fanno della loro solitudine un’arma per difendersi l’uno dalla povertà materiale e l’altra dalla povertà di spirito. Cattani non regala il lieto fine e questo ci riempie di gioia. Pascal Zullino, un po’ meno la Osvart, sono azzeccati e degni dell’importanza che il ruolo impone loro.
Riccardo Zinna è grande come sempre nel ruolo che più gli si addice, quello dell’antagonista senza scrupoli. Il rabdomante è stato prodotto con la soluzione “The Coproducers”, nata come sistema di produzione alternativo e che si ispira ad un sistema di quote di diritti del film che ci proponiamo di approfondire a breve.
Vincenzo Patanè Garsia
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