Anthony Chen presenta con Tucker Film la sua ultima e quarta produzione. Dopo il fortunato film di esordio, Ilo Ilo, il regista di Singapore è già stato riconosciuto a livello internazionale come una firma autorevole e mutevole. Non per niente il 2023 è stato un anno particolare per l’autore, che ha presentato Drift al Sundance Film Festival, e The Breaking Ice a Cannes.
The Breaking Ice, dal 13 marzo in sala, è interpretato da Zhou Dongyu (Better Days), Qu Chuxiao (Love will tear us apart) e Liu Haoran, ed è un lavoro speciale, in cui si possono riconoscere atmosfere peculiari: è al freddo nord-ovest cinese (dong bei) che ci sentiamo indirizzati, un luogo dove negli ultimi anni abbiamo avuto occasione di viaggiare con una certa frequenza. Da An Elephant Sitting Still al The Manchurian Tiger, ma con un evidente tocco di Nouvelle Vague e di fughe in stile The Dreamers.
Uno spleen composto e malinconico attraversa la relazione dell’inaspettato trio di protagonisti, sebbene vivano esperienze di vibrante spontaneità e molto curative. Il film sembra un’ode alla concordia da una parte, e il racconto dell’indolenza dell’esistere dall’altra. E con questo, sottilmente, accenna alla condizione della gioventù cinese e a quel complesso sistema sociale che questi stessi giovani, troppo spesso, li castiga.
Per approfondire questi temi così complessi e intrecciati, abbiamo parlato con il regista che si è concesso in un lungo racconto dal freddo di Yangbian fino al clima tropicale della sua patria, Singapore.

Anthony Chen (in piedi) e gli attori (da sinistra a destra) Liu Haoran, Zhou Dongyu e Qu Chuxiao – per gentile concessione di Canopy Pictures
Antony Chen, l’intervista
Ciao Anthony, grazie per essere qui oggi con Taxidrivers.it. Il tuo film sta per uscire nelle sale italiane e ci piacerebbe approfondire un po’ i temi che tratti.
Abbiamo notato una forte vicinanza con un certo cinema di recente produzione in Cina: i panorami ghiacciati e le storie di lontananza e malinconia del dongbei (nord-ovest). C’è una connessione con questo mondo? Cosa ti ha ispirato a raccontare questo angolo di Cina?
Penso che sia interessante il fatto che io non provenga dal Dongbei, vero? E nemmeno dalla Cina, perché vengo da Singapore. Ho concepito questo film durante la pandemia. Ero rimasto a casa per tanto tempo senza fare molto. Leggevo tanto, ma sembrava davvero la fine del mondo: con i cinema chiusi e tutti che guardavano tantissimi streaming, TikTok e cose sui social media… Mi sentivo davvero bloccato e ho deciso che volevo fare un film diverso dai miei lavori precedenti.
I miei lavori precedenti erano tutti realizzati a Singapore e raccontavano storie molto personali sul mio rapporto con la mia casa, con il mio paese. Questa volta, per la prima volta, ho deciso di uscire dalla mia zona di comfort e di girare un film in un luogo in cui non avevo mai girato prima. Ho deciso che sarebbe stato totalmente diverso da ciò a cui ero abituato.
Sono cresciuto a Singapore, un paese tropicale, caldo e soleggiato. Ho deciso di andare nel posto più freddo della Cina per girare questo film, che si trova nel nord-est del paese. Inoltre, i miei film precedenti non riguardavano i giovani; erano per lo più drammi familiari. Per la prima volta, dunque, ho deciso di guardare alla giovane generazione.
Leggevo molto su questa generazione di giovani durante la pandemia. In ogni paese, che fosse Cina, Giappone, Corea, Stati Uniti o Regno Unito, questa generazione si sentiva molto delusa, senza speranza, come se fosse stata defraudata. Non avevano controllo sulla loro vita e tutto era diventato così costoso che non potevano permettersi il tipo di successo o di ricchezza materiale che le generazioni precedenti avevano avuto. Ero molto incuriosito.
In particolare in Cina c’era questo concetto di “tangping” (躺平), che significa “stendersi e restare passivi”. Come quando lasci il lavoro e non fai nulla, semplicemente sopravvivi. Ero molto sorpreso da ciò, perché non è il mio sistema di valori. I film che hai citato: An Elephant Sitting Still e The Manchurian Tiger, infatti, quest’ultimo l’ho visto quando ero nella giuria del Festival del Cinema di Shanghai, durante la pandemia; e ovviamente anche Diao Yi’nan con Black Coal, Thin Ice. Ecco, conosco il tipo di atmosfera che il clima del Dongbei e i film di quella zona tendono a riflettere, e solitamente riguardano il crimine, il noir o i thriller. Sono davvero oscuri e deprimenti, ma io non volevo fare quello. Quello spazio di solito viene catturato e riflesso in un certo modo nei film.
Così ho deciso di fare io stesso quel viaggio e ho scoperto questa città di confine con la Penisola Coreana chiamata Yanji, che si trova nella provincia di Yanbian. È così diversa da molte altre città cinesi che ho visitato. C’è una grande comunità di etnia coreana: sono tutti cittadini cinesi, ma etnicamente sono coreani. Quindi parlano il coreano, ci sono barbecue coreani ovunque, i cartelli stradali hanno le scritte in cinese e coreano. Insomma sembrava così diversa, ma anche molto vibrante.
I film che avevo visto, ti dicevo, erano deprimenti, cupi e grigi. Ma lì, penso a causa di questa comunità coreana, c’era invece molto colore. Nei cartelli, nel cibo; molto colore nel modo in cui le persone si vestivano, perché molti di loro vanno e vengono dalla Corea per lavorare e portavano con sé molta cultura coreana. Ci sono tanti caffè, e non intendo Starbucks, ma caffè indipendenti, perché è una grande cosa in Corea, e quindi hanno letteralmente trasformato questo luogo in qualcosa di variopinto, vibrante e giovanile.
Ecco così ho pensato di fare un film su questa generazione di giovani che si sentono persi nelle loro vite: stanno vivendo una sorta di crisi esistenziale, cercano un senso, il significato della loro giovinezza. Ho capito che era perfetto ambientarlo in questa città di confine, dove tutto sembra leggermente surreale: sembra la Cina, ma non sembra la Cina. C’è qualcosa di molto onirico in questa città ed era perfetto.

Anthony Chen (a sinistra) e Liu Haoran durante le riprese di ‘The Breaking Ice’ – per gentile concessione di Canopy Pictures
The Breaking Ice, il lavoro con gli attori
Ho apprezzato molto il lavoro che hai fatto con gli attori: prima di tutto perché Zhou Dongyu, Qu Chuxiao e Liu Haoran hanno una energia davvero diversa, a cui si aggiunge la tua firma. Per questo i personaggi hanno cura l’uno dell’altro, mentre avanzano nella loro vita, magari trattenendosi dal comunicare a parole, quanto piuttosto esprimendosi in altri modi. Puoi raccontarci della relazione tra i tre protagonisti?
Durante la pandemia, ho realizzato un cortometraggio che è stato proiettato anche al Festival di Cannes, ed è stato interamente realizzato a distanza: è stato allora che io e Zhou Dongyu abbiamo deciso che volevamo lavorare insieme fisicamente. È stata la prima volta che ci ho pensato.
Quello che è molto interessante di questo film è che ho scelto gli attori prima di finire l’intera sceneggiatura. Avevo una certa idea di chi fossero questi tre personaggi. La prima ha fallito il proprio sogno: è stata addestrata come atleta di pattinaggio sul ghiaccio, fin da giovane età, probabilmente a partire dai 10 anni; è stata sottoposta a lunghe ore di allenamento, e poi un infortunio ha infranto il suo sogno. Quindi, cosa le rimane nella vita, per cosa vive?
Il secondo personaggio è per me emblematico delle strutture molto tradizionali della società asiatica, dove cresci con l’idea che devi lavorare duramente a scuola, avere buoni voti, andare all’università, ottenere un buon lavoro, fare carriera e avere successo nella vita. Ma lui si perde in tutto questo. Dopo essersi trasferito in una grande città, aver trovato un lavoro e essere ben pagato, non si sente realizzato, non ha trovato se stesso.
Il terzo personaggio, ha pensato, rappresenta probabilmente proprio tutto ciò che ho letto a riguardo della generazione tangping. È cresciuto senza andare bene a scuola, non è un gran studioso, non è bravo come gli altri, quindi perché dovrebbe lavorare così duramente per competere? In qualche modo getta la spugna e se ne dimentica, decide che non vuole sentirsi un fallimento, quindi si arrende prima ancora di fallire.
Ho costruito i tre personaggi lungo queste linee e ho scelto attori che mi sembravano veri, che in qualche modo catturassero il personaggio. Molta della scrittura e dei dettagli sono emersi durante i provini, e da quello che ho letto di loro, quando ho parlato con loro, finchè ho incorporato molte cose delle loro vite nel film.
Per esempio, Chuxiao, il ragazzo con i capelli cortissimi, ama la sua moto, gli piace guidarla. Poi ho scoperto su Wikipedia che ha iniziato a suonare la chitarra a 10 anni e ho detto: “OK, scriverò una canzone per te da suonare nel film e suonerai la chitarra nel film”. Ma quando ha fatto il provino, ho scoperto che non suonava da molti anni. A quel punto ha dovuto imparare tutto da capo, e aveva un mese per farlo, quindi era molto stressato. Poi, il suo manager gli ha pure detto “stai attento a ciò che metti sulla tua pagina Wikipedia, perché i registi poi pensano che tu sappia fare tutto quello che dici di saper fare…”
Per quanto riguarda Zhou Dongyu, non era una pattinatrice artistica, ma prima di diventare attrice, quando era molto giovane, alle elementari, si è preparata come ginnasta. Quindi capiva il senso delle lunghe ore di allenamento, del cosa significa essere spinta a coltivare un talento o realizzare un sogno che tutti gli altri ti impongono.
Questo è stato il processo. Sono molto grato ai tre attori, sono stati generosi e disponibili, e si sono semplicemente fidati di me, ed è così che abbiamo realizzato questo film.
Puoi raccontarci perché hai scelto questo titolo, The breaking ice.
Non ho mai girato in inverno prima d’ora, sono cresciuto a Singapore dove la temperatura è tra i 25° e i 32° tutto l’anno, non ci sono stagioni, è estate tutto l’anno. Poi ho deciso “ok farò questo film nel posto più freddo in Cina, farò questo film in inverno” (l’abbiamo girato a -20° quasi -30°).
Qual è la prima cosa a cui pensi visivamente, in termini di inverno? La prima cosa che viene in mente è sempre la neve, giusto? Ma sentivo che la neve era stata già così pesantemente romanticizzata nei film. C’è in Il diario di Bridget Jones, nei film romantici, nei film di Natale…
L’altra cosa era il ghiaccio. Continuavo a pensare a questa idea del ghiaccio e a come si forma, mi intrigava, perché, sai, un lago potrebbe congelarsi durante una sola notte se la temperatura scendesse sotto il punto di congelamento.
Prendi un sacchetto d’acqua, mettilo nel freezer e dopo poche ore si trasforma in ghiaccio. Ma se togli quel ghiaccio e lo metti sulla superficie di un tavolo, inizia quasi immediatamente a sciogliersi. È un processo così breve, si trasforma da forma solida a liquida, e poi torna di nuovo ad essere acqua.
Ero così affascinato da questo processo di transizione che volevo usarlo per descrivere questa relazione che si forma tra i tre. Arriva molto rapidamente ma finisce e si scioglie altrettanto velocemente. E ciò che resta davvero sono le emozioni e i ricordi; ma non si tratta di stare insieme per sempre. Sento che nella vita non è questione di “vissero per sempre felici e contenti”. A volte sono le persone che incontri in un certo punto della tua vita, per solo un pomeriggio o un weekend, capaci di cambiarti in modo molto profondo e complesso. È tutto ciò che serve. Non si tratta di “dobbiamo essere amici per sempre, dobbiamo essere amanti per sempre”. Trovo così affascinanti questi legami e queste connessioni a breve termine, li trovo così profondi e complessi, capaci di cambiarti davvero per sempre.

‘Drift’, di Anthony Chen
Nel 2023 sono usciti due tuoi film molto diversi: il primo girato in Europa (Drift), una storia di profughi dall’Africa, e il secondo in Cina e in lingua cinese (The Breaking Ice). Trovo molto interessante la tua capacità di creare delle storie ponte e mi chiedevo se questo succede perché scrivi storie volutamente inclusive, che possono avere luogo in qualunque parte del mondo perché le emozioni sentimenti sono comuni agli esseri umani. Oppure se sei capace di costruire ponti per via del tuo background e delle esperienze che hai avuto nella tua vita. Credo sia peculiare della tua regia, perciò, mi piacerebbe che tu argomentassi questo tuo approccio alla scrittura.
Penso che molte persone siano state sorprese quanto te. Entrambi i film sono stati realizzati a sei mesi di distanza l’uno dall’altro, sono stati tutti girati nel 2022 e hanno avuto una première nel 2023. Drift, che è il mio primo film in lingua inglese, è ambientato interamente in Europa, in Grecia, ed è stato presentato in anteprima al Sundance, mentre The Breaking Ice è stato presentato al Festival di Cannes in Francia.
Penso che come regista a volte non sai perché racconti certe storie, ma dopo averle realizzate e guardando indietro al tuo lavoro, inizi a renderti conto che in realtà c’è un motivo ricorrente. Tutti i miei film parlano di estranei che formano relazioni intime e complesse in un breve periodo di tempo. In Drift si tratta di una rifugiata africana dalla Liberia e una guida turistica americana: entrambe non appartengono a questa isola greca e stringono una sorta di amicizia. Entrambe sono ad un bivio della loro vita e hanno bisogno di sbloccarsi e trovare una via d’uscita.
In The Breaking Ice ugualmente ci sono tre persone che non provengono da questa zona, non sono del nord-est della Cina. Sono tutti finiti lì e si sono letteralmente connessi durante un weekend di alcool e hanno bisogno l’uno dell’altro per guarire le loro anime.
Il mio primo film Ilo Ilo, che ha avuto la première a Cannes e poi ha vinto la Camera d’Or, parla di una domestica filippina e del ragazzo di 10 anni di Singapore di cui si prende cura. Anche qui si tratta di estranei che finiscono per costruire un legame molto forte e profondo, forse più forte dei legami familiari. Il mio secondo film parla di una maestra malese sposata con un uomo di Singapore, che lavora a Singapore e insegna in una scuola e sviluppa un legame con uno studente di 16 anni a cui insegna.
Ecco, in realtà, questi sono temi molto universali, temi molto umani; ma si tratta sempre di navi alla deriva, di persone solitarie che hanno bisogno di conforto, amore e compagnia.

Anthony Chen (a destra) e Zhou Dongyu durante le riprese di ‘The Breaking Ice’ – per gentile concessione di Canopy Pictures
Anthony Chen e la multiculturalità
All fine dell’anno sarai di ritorno a Singapore per girare l’ultima parte della tua trilogia. Cosa ti aspetta a seguire?
Sto sviluppando un film coreano con una società coreana. Ci stiamo lavorando da un po’ di tempo, collaboro con uno sceneggiatore coreano e produttori coreani. È sia in lingua coreana che in inglese, e ovviamente coinvolgerà attori coreani. In un certo senso, quando guardo alle storie, sia che si tratti della storia coreana che sto sviluppando o di un altro film che sto sviluppando, che è un film di fantascienza ambientato 100 anni nel futuro, tutto riguarda estranei che formano una connessione.
In qualche modo c’è questo motivo ricorrente che rimane anche se le storie sono molto, molto diverse. Forse, nel profondo, è ciò che sto cercando. Ho sempre sentito che tutti i miei film parlano di outsider perché penso di essere sempre stato un outsider, cercando di rispondere alla domanda “chi sono e a cosa appartengo”.
Sono cresciuto a Singapore, parlo inglese e mandarino e ho frequentato una scuola di cinema a Singapore e nel Regno Unito. Ho vissuto a Londra per 15 anni; ora vivo a Hong Kong e sono qui da quasi due anni e mi sento ancora e sempre un outsider. Anche quando torno a casa a Singapore.
Anche quando guardo i miei film, sono così diversi dagli altri film singaporiani che mi sembra di osservare sempre da un punto di vista diverso. Penso che sia l’unico modo in cui faccio i miei film, è personale. Mi sembra di guardare a tutti i miei personaggi, anche se stranieri, anche se con un background culturale diverso dal mio, senza portare alcun giudizio. Cerco di non giudicare mai.
La mia ultima domanda ti riguarda in quanto produttore. Come vedi la situazione corrente del cinema a Singapore: la città-stato è riemersa dalle ristrettezze della pandemia oppure ancora fatica? Cosa ne pensi poi dei registi emergenti?
Direi che sono molto orgoglioso di questa generazione di filmmakers. Sento che sta emergendo una nuova ondata di cinema a Singapore. So che ci sono parecchi cineasti della mia generazione che hanno avuto, come me, i loro film proiettati a Cannes e Berlino, al Sundance, ai principali festival. L’anno scorso un regista singaporiano ha realizzato il suo primo lungometraggio che è stato presentato in anteprima alla Quinzaine des Réalisateurs a Cannes e ha vinto la Menzione Speciale per la Caméra d’Or [n.d.r: Mongrel di Chiang Wei Liang e You Qiao Yin].
Per un paese molto molto piccolo, siamo circa 5,5 milioni di persone, sento che gli ultimi 10-15 anni hanno prodotto molto talento. L’anno scorso abbiamo avuto un film d’esordio che ha vinto due premi a Locarno [n.d.r.: Dreaming & Dying di Nelson Yeo]. C’è un nuovo film di una regista singaporiana, il suo primo film, che è stato in competizione al Festival Internazionale del Cinema di San Sebastian l’anno scorso [n.d.r.: Last Shadow At First Light di Nicole Midori Woodfordand]. Poi ce n’è ancora un altro di una regista singaporiana che è stato in competizione al Festival Internazionale del Cinema di Karlovy Vary [n.d.r.: Pierce di Nelicia Lowso].
C’è molto talento, non potrei essere più orgoglioso. Per un paese così piccolo, penso ci siano cineasti perspicaci e intelligenti che stanno lasciando il segno nel mondo e sento davvero che ci stiamo avvicinando a una sorta di età dell’oro.
Se c’è molto talento in termini di realizzazione cinematografica, d’altra parte però, post-pandemia, succede un po’ quello che sta vivendo la Corea ora, dove il pubblico non è tornato nei cinema. L’intero botteghino è praticamente dimezzato dalla pandemia; le persone sono così abituate a guardare Netflix e TikTok e i social media che semplicemente non vanno al cinema.
Personalmente sento che il talento è pronto, i cineasti sono maturi, ma dov’è il pubblico? E se il pubblico non è davvero di supporto, non è davvero uscito di casa per sostenere i film locali, nonostante ci sia così tanto talento…
Sento che questo è il prossimo passo per il cinema di Singapore, per continuare a crescere e ottenere più successo. L’onere non è più solo sulle spalle dell’industria cinematografica o del circolo degli addetti: ci vuole davvero la motivazione di un intero Paese a sostenerne il lavoro culturale. E io non posso che augurarmelo.
Il film di Anthony Chen The Breaking Ice sarà nei cinema in Italia a partire dal 13 marzo per Tucker Film.