«Il Cinema è l’arte di evocare fantasmi.» J. Derrida
Cinema e fantasmi. Immagini provenienti dall’inconscio che si palesano attraverso il fascio lunare che irradia una sala cinematografica. Non si può non partire da questo strettissimo rapporto tecnologico, strutturale e iconografico che c’è fra il Cinema e la natura irrazionale delle immagini che produce per parlare di una delle figure che più di chiunque altra ha dominato il suo enorme schermo, luogo di transizione fra la realtà e un’altra dimensione: il Vampiro.
Se ne potrebbero contare migliaia di opere cinematografiche con protagonisti gli affascinanti succhiasangue frutto di antiche leggende dell’Europa dell’Est. Basterebbe solo pensare alle numerose trasposizioni tratte dal testo capitale di tutto l’immaginario vampiresco, Dracula di Bram Stoker (1897). A partire dall’omonimo film di Tod Browning con Bela Lugosi che ha innestato nella mente di tutti le caratteristiche più note del celebre conte transilvano, passando per le sanguinose gengive di Cristopher Lee nei film di produzione Hammer, oppure l’ingiustamente sottovalutata versione di John Badham del ’79, fino ad arrivare alla rilettura erotica e romantica di Francis Ford Coppola in Dracula di Bram Stoker (1992).
Epifanie vampiriche al cinema
Tuttavia, il mito dei vampiri non si esaurisce con Dracula, né tantomeno con ulteriori personaggi simili, dal momento che si possono rintracciare figure vampiriche anche in opere del tutto estranee e apparentemente lontane dalla narrativa sui non-morti. Prendendo in esame la filmografia di Coppola non si può non riflettere su quanto fosse quasi inevitabile l’approdo da parte del regista italoamericano al testo di Stoker. Don Vito Corleone e il colonello Kurtz che si presentano al pubblico venendo fuori dall’oscurità cosa sono se non le prime epifanie draculee del cinema di Coppola? Personificazioni del Male intrise di un fascino soverchiante che solo il corpo attoriale di Marlon Brando avrebbe potuto sostenere. «L’orrore. L’orrore ha un volto e bisogna essere amici dell’orrore» è la celebre battuta di Apocalypse Now, oppure una delle manipolazioni del conte Dracula per dominare la mente del povero Renfield?
Tuttavia, questo rapporto strettissimo fra la Settima Arte e i vampiri è riconducibile a un testo filmico epocale: Nosferatu il vampiro (1922) di Friedrich Wilhelm Murnau. Da quel momento in poi l’arte “non-morta” per eccellenza non avrebbe mai più potuto fare a meno dell’ombra lunga del vampiro e così anche il nostro immaginario.
In questo approfondimento andremo però a sviscerare la diversa natura che intercorre fra l’opera del regista tedesco, e dunque con i film riconducibili a Nosferatu il vampiro, e la sua base letteraria di partenza. Che differenza c’è fra il Dracula di Stoker e il Nosferatu di Murnau?
NOSFERATU IL VAMPIRO – LA NASCITA DEL MITO
Albin Grau, fondatore nel 1921 della Prana-Film, aveva avuto l’idea di girare un film sui vampiri già nel 1916. È nota la sua passione per tutto ciò che riguardasse l’occulto e le antiche leggende. Così assegnò il compito di scrivere una sceneggiatura al riguardo a Henrik Galeen. In particolare, doveva ispirarsi al romanzo di Dracula di Stoker del 1897, nonostante la Prana-Film non fosse in possesso dei diritti per la trasposizione cinematografica. Dunque, Galeen trasferì la storia in un fittizio borgo della Germania, Wisborg, cambiò i nomi dei personaggi, eliminò la figura di Van Helsing e introdusse l’idea dell’epidemia di peste. Grau e il regista che venne scelto per realizzare l’opera, F.W. Murnau, dunque, avevano campo libero nel creare qualcosa di completamente nuovo iniziando dalla figura del vampiro stokeriano, partendo anche dal fatto che l’unica opera cinematografica che avevano alle spalle con protagonista un vampiro risale al 1913, The Vampire, che però ha come personaggio principale una femme fatale e non il nostro celebre conte.
La creazione del mostro
Il conte Dracula si trasforma in “Orlok” e, cosa ben più interessante, viene definito nosferatu, un termine di origini sconosciute che lo stesso Stoker utilizza in maniera molto vaga e approssimativa. Nel suo passaggio da romanzo a sceneggiatura, dunque, Nosferatu il vampiro interviene sul piano del linguaggio e accentua l’ambiguità posta nell’indeterminatezza di quel misterioso termine che gli dà il titolo. Tutto ciò non può che porre le basi per la costruzione di un immaginario nuovo, diverso e che di lì a breve cambierà per sempre la storia del cinema. Tuttavia, il processo che genererà il definitivo scarto fra film e romanzo giungerà a compimento grazie alle scelte registiche di Murnau, esemplificate dalla figura del vampiro interpretato da Max Schreck. Del Dracula di Stoker non è rimasto iconograficamente quasi nulla. Quell’afflato romantico e aristocratico che permeava la descrizione del conte nelle pagine del romanzo ha lasciato il posto a una figura deforme, animalesca, mostruosa e che immagazzina tutto il suo potere mitopoietico in quell’ombra minacciosa che si staglia sullo schermo.
L’ombra del vampiro
L’ombra è il vero elemento rivoluzionario dell’operazione di (ri)costruzione dell’immaginario vampiresco da parte di Murnau, perché Orlok a differenza di Dracula è una creatura proveniente direttamente dall’inconscio, dal mondo dei morti e assume caratteristiche del tutto oniriche e mistiche. Non a caso il conte Orlok ha nelle sue fattezze molte più cose in comune con il sonnambulo Cesare de Il gabinetto del dottor Caligari e il Golem del film Il Golem – Come venne al mondo, due dei capisaldi dell’Espressionismo tedesco, che con il Dracula di Stoker.
Eppure, nonostante il film di Murnau sia considerato uno degli apici del movimento cinematografico tedesco appena citato, Nosferatu il vampiro problematizza la sua estetica scegliendo di dedicare diverso spazio a inquadrature sulla natura e decidendo di fare più volte a meno di riprese in interni completamente modificati e smaccatamente scenografati. Tuttavia, la componente naturalista del film si scontra con il pesante trucco e le fattezze del personaggio interpretato da Schreck, a tal punto da instillare in un contesto “realistico” una creatura che proviene dall’irrazionale e dall’inconscio. La figura del vampiro, dunque, viene riportata ai suoi motivi ancestrali e pre-romantici, ma allo stesso tempo la sua ombra, che viene da un passato quasi fiabesco e indeterminato, minaccia il presente e ancor di più il futuro. Il terrore nasce dalla proiezione del mostro che sta per arrivare, estendendosi attraverso la sua misteriosa zona buia che non è altro che il prodotto di un mistico fascio di luce. E sarà proprio un fascio di luce a far sfumare nell’etere il nosferatu e a sconfiggerlo (altra significativa e influente aggiunta di Galeen al Dracula di Stoker).
Dietro il volto di Orlok però, non si cela nulla di così lontano dalla realtà come potrebbe sembrare. Anzi, come solo il fantastico riesce a fare, il vampiro ci mette di fronte alla rappresentazione dei dolori più profondi di un paese e di un’identità culturale, quella tedesca in questo caso, che si trova ad affrontare uno dei momenti più difficili della sua storia. Nosferatu il vampiro ci permette di riflettere sull’oppressione dell’uomo da parte di un potere apparentemente umano, ma che assume caratteristiche sovrannaturali nella sua deforme e soggiogante malvagità. L’ombra di Orlok nasconde in realtà l’ombra ancor più terrificante di Adolf Hitler e di quell’idea di eternità del Male che ancora oggi avvolge le nostre coscienze.
Ma di ciò forse riuscirà ancor meglio a parlarne un “nipote” di Murnau, Werner Herzog, attraverso il remake del 1979 di quest’opera monumentale.
NOSFERATU, IL PRINCIPE DELLA NOTTE – LA RINASCITA DEL NON-MORTO
«Sono convinto che non ci sia film tedesco migliore di Nosferatu – Il vampiro. Ha dato al cinema tedesco una legittimità che poi Hitler avrebbe distrutto, per questo per me è così importante» W. Herzog.
Werner Herzog e la sua generazione, la prima del Dopoguerra, si sono ritrovati cinematograficamente orfani, privi di qualsiasi punto di riferimento e senza alcun insegnante o mentore. Tutto ciò che avevano era l’era del muto, quella dell’Espressionismo. Dunque, confrontarsi con i loro “nonni” non poteva che essere necessario per porre le basi di ciò che sarebbe stata la nuova estetica cinematografica della Germania a cavallo fra gli anni ’60 e ’80. In particolare, l’operazione di riportare sullo schermo il vampiro di Murnau da parte di Herzog descrive questo rapporto strettissimo fra il cinema espressionista e il Nuovo Cinema Tedesco.
Le scelte di Herzog
L’idea di realizzare un remake di Nosferatu il vampiro ci mette nelle condizioni di affrontare ancor più direttamente il discorso esposto precedentemente riguardo alla forte differenza tra il film e il Dracula di Stoker. Nel 1979 infatti, scadono i diritti del romanzo e dunque Herzog avrebbe totale libertà nel realizzare una sua trasposizione cinematografica; eppure il regista tedesco decide di misurarsi non con la fonte letteraria, bensì con il suo adattamento cinematografico e non uno dei numerosi realizzati nel corso di quegli anni, ma proprio con il film tedesco.
Tale scelta è esemplificativa del discorso fatto in precedenza riguardo alla portata rivoluzionaria della costruzione di un immaginario vampirico da parte di Murnau che si emancipa da quello stokeriano. A tal proposito, Herzog decide di riprendere i nomi originali dei personaggi della storia, ma applica una curiosa inversione: Lucy diventa Mina e viceversa. Difficile comprenderne il motivo, ma forse attraverso questa scelta Herzog potrebbe ironicamente manifestare una distanza forte fra Dracula e Nosferatu il vampiro, fra verbo e immagine.
Il conte Orlok, dunque, torna in vita in Nosferatu, il principe della notte, ma adesso il suo nome è tornato a essere Dracula, anche se il suo aspetto iconografico resta lo stesso del film del ’22.
L’eternità del Male
Passato e presente. Ciclicità ed eternità. Ritorno dell’eguale e immortalità. Herzog intesse la sua rilettura filologica del Nosferatu proprio attorno alle caratteristiche intrinseche del vampiro. Vampiro che, però, torna ad assumere le connotazioni romantiche e tragiche che possedeva nel romanzo di Stoker e che vengono portate sullo schermo dal terrificante sguardo di Klaus Kinski. Dracula ci appare come Orlok, ma stranamente più che mostruoso e repellente si presenta come una figura malinconica e afflitta dalla sua insostenibile immortalità. Infatti, Herzog non ha più bisogno di interpretare la vicenda del conte transilvano come il racconto di un pericolo che sta per sovvertire le nostre coscienze. Nel 1979 Hitler e il nazismo non sono più un terribile futuro, un prolungamento di quell’ombra, ma una verità storica che la Germania deve reggere sulle sue spalle.
L’ombra del vampiro herzoghiano è l’ombra del Male assoluto e della sua imperitura esistenza. Anzi, bisognerebbe pure smettere di utilizzare il termine “ombra” e sostituirlo con “corpo”. Le proiezioni dell’inconscio diventano materiche. Non è più tempo di effetti ottici e dunque Dracula non svanisce con il calore della luce solare, ma si pietrifica lasciando che il suo corpo morto occupi un suo spazio concreto e tangibile. Il Male non si limita a restare fisicamente nella realtà. Si moltiplica e si replica ciclicamente. Nel film di Herzog non c’è spazio per il martirio e dunque il sacrificio di Lucy Harker non servirà a nulla. Suo marito Jonathan si risveglierà dallo stato febbrile in cui era caduto nel castello del conte trasformandosi in Dracula. In un finale agghiacciante che forse fa luce su quel misterioso termine, nosferatu, non-morto, che non si riferisce al vampiro stesso, bensì alla sua epidemica e pestilenziale natura malefica, capace di occupare i corpi e le anime di chiunque venga in contatto con la sua ombra.
Il MALE PROSEGUE IL SUO CORSO – IL NOSFERATU NEI FILM SUCCESSIVI
Il conte Orlok, come ci suggerisce Herzog nel finale del suo film, non termina il suo viaggio funesto neanche cinematograficamente e continua a generare con gli anni altre opere che vale la pena almeno di citare al termine di questa disamina.
Nosferatu di Robert Eggers
In primis, non si può non nominare il film di Eggers che sta attualmente infestando le sale cinematografiche italiane. Semplicemente Nosferatu, il suo titolo.
Il film si allontana dal remake di Herzog riportando i nomi dei personaggi a quelli del film di Murnau e restituendo anche le sue atmosfere gotiche (eppure non si può non notare la scelta di aggiungere il baffetto al vampiro così come è descritto nel romanzo di Stoker). Eggers procede a raccontare la vicenda del conte Orlok attraverso una rigorosa analisi filologica nella prima parte del film, per poi miscelare diverse influenze di cinema dell’orrore di altro genere. Ma non mi dilungherò sull’ultima fatica di Eggers perché potete trovate qui sul nostro sito la recensione completa del film.
Nosferatu a Venezia
Mi interessa sottolineare, invece, l’esistenza di uno strano Nosferatu italiano intitolato Nosferatu a Venezia del 1988 diretto ufficialmente da Augusto Caminito e con protagonista sempre Klaus Kinski. Inizialmente concepito dallo stesso Caminito, produttore del film, come un sequel del film di Herzog e con la regia di Maurizio Lucidi. Ma le ingerenze di Kinski, che non voleva rasarsi e truccarsi come aveva fatto per Herzog, fanno succedere alla regia numerosi nomi, fra cui Mario Caiano, Luigi Cozzi e lo stesso Kinski che si dice abbia diretto una sequenza. Alla fine, sarà costretto a girarlo lo stesso Caminito e, nonostante un cast internazionale di prim’ordine (Cristopher Plummer, Donald Pleasence etc…), il film si rivelerà un disastro.
Ma al di là della sua resa, Nosferatu a Venezia ci permette di comprendere quanto la figura del conte Orlok abbia influenzato qualunque tipo di produzione cinematografica sui vampiri e anche di ragionare su un’industria italiana che, anche se ormai caratterizzata da enormi limiti sia artistici che produttivi, aveva ancora voglia di confrontarsi con veri e propri miti cinematografici e reinventarli.
Editing: Margherita Fratantonio