Grazie a OpenDDB – Distribuzioni dal basso arriva in alcune sale Un paese di resistenza, secondo capitolo scritto dalle registe dopo Un paese di Calabria, Shu Aiello e Catherine Catella. Dopo la partecipazione a numerosi festival, italiani e francesi, il documentario arriva in tour in sala. Dopo la prima tappa a Bologna altre date e altre città sono pronte a ospitare il documentario. Il film è prodotto da Bo Film (Italia), Les Films du Tambour de Soie (Francia), Dancing Dog Productions (Belgio), ed è distribuito in Italia da OpenDDB – Distribuzioni dal basso.
Qui per tutte le date e le tappe del film: https://openddb.it/film/un-paese-di-resistenza/
La storia di Riace, paese di Calabria, si intreccia con quella di Domenico Lucano, per tutti Mimmo, oggi di nuovo sindaco. È la storia umana e politica, esemplare e dolorosa, di un paese e di un uomo che negli ultimi anni ha subito un ribaltamento del proprio racconto: da modello di accoglienza ad accuse di disegno criminale. Il film Un paese di resistenza di Shu Aiello e Catherine Catella spiega che non è così, che Riace porta con sé una storia di coraggio, scritta da chi ha perseguito l’utopia anche quando sembrava impossibile.
In occasione del tour nelle sale abbiamo fatto alcune domande alle registe.
Un paese di resistenza: il secondo capitolo
Si può dire che avete quasi creato una serie/saga perché Un paese di resistenza è sicuramente da vedere e considerare come un secondo capitolo dopo Un paese di Calabria, è corretto?
Catherine: Sì, si può dire che è un secondo capitolo. Dopo aver fatto il primo film per noi era come raccontare una favola. Per noi era molto importante parlare dell’accoglienza come qualcosa di possibile e Riace dava la possibilità a tutti di capirlo. Quando abbiamo saputo dell’arresto di Domenico Lucano, nell’ottobre 2018, noi stavamo girando un altro film in Grecia e ci siamo dette che dovevamo andare. All’inizio era solo per la manifestazione e per solidarietà e siamo andate con una cinepresa per sostenerlo. Siamo amiche di tutto il paese, conosciamo tutti e quando la manifestazione è finita noi siamo rimaste e abbiamo visto proprio le ferite di questa situazione sul paese.
Quello che era successo era devastante e abbiamo deciso di fare un secondo capitolo. Era impossibile non farlo.
Per la foto di Catherine Catella si ringrazia l’ufficio stampa
A me ha colpito anche perché sembra proprio che sia da leggere come un secondo capitolo: nel primo spiegate un po’ la situazione di Riace, mentre con questo secondo, in qualche modo, conosciamo meglio il paese, le persone, si entra più nella vita di Riace.
Catherine: Può essere un punto di vista. Per noi Un Paese di Calabria raccontava di più la comunità, il paese. E questo secondo film, siccome è più su questa vicenda, è più incentrato su Domenico e su certi aspetti del paese, ma le conseguenze sono diverse.
Non ha la stessa intenzione né lo stesso punto di vista del primo. Per noi è un po’ il contrario. Un Paese di Calabria è più su questa comunità, non è incarnato nello stesso modo, perché c’è la storia anche della partenza, c’è il racconto di questa donna che è partita dalla Calabria per andare in Francia, dunque è un doppio racconto.
In Un paese di resistenza, invece, siamo più fissati sulla vicenda giudiziaria e si raccontano più le conseguenze sul paese e come il mondo esterno è arrivato e si è infiltrato a Riace. Partiamo dal paese e come queste idee si sono diffuse come il veleno nelle menti, nelle strade.
Il paesaggio e le idee di Riace
Sì, da questo punto di vista è vero. Io l’avevo associato al fatto che era protagonista il paese perché ci sono diverse vedute paesaggistiche mentre sentiamo la voce fuoricampo. In questo modo sembra quasi che facciate parlare il paesaggio, il paese di Riace. Alla luce di quanto detto, però, forse la voce fuoricampo può essere considerata il mondo esterno che entra a Riace attraverso questa vicenda giudiziaria e si insinua dentro il paese che avete raccontato nel primo capitolo.
Catherine: Sì, noi l’abbiamo pensato così. Noi avevamo conosciuto Riace che era il mondo esterno. Era come una bolla, erano protetti dalla loro lontananza, lontano da tutto e da tutti, dunque non si sono mai posti il problema di quello che rappresentavano. Nel secondo capitolo vediamo che Riace ha rappresentato un simbolo importante di come l’accoglienza sia effettivamente possibile. È diventato un simbolo che ha oltrepassato la loro propria frontiera e dunque forse è questo che ha li ha resi fragili.
La sensazione che si ha è che il paesaggio vada in una determinata direzione e che sia tutto completamente d’accordo nel dire, fare e pensare una certa cosa piuttosto che un’altra. È come se voi ci consegnaste la vostra opinione sulla questione, ma è anche quella della maggioranza delle persone, considerando che adesso c’è di nuovo Lucano? In quel periodo però aveva perso. Nonostante questo non vediamo quasi niente di opposto, tranne un brevissimo comizio di Salvini e della Lega. Com’è la situazione?
Catherine: Evidentemente abbiamo un punto di vista e lo difendiamo, ma devo dire che la situazione politica di Riace è particolare. Se si considerano le comunicazioni che ha fatto Antonio Trifoli, il sindaco che è stato eletto durante questo periodo con la Lega, si nota che lui non ha mai fatto un discorso contro l’accoglienza. Lui è stato intervistato tante volte e ha approfittato un po’ di questa faccenda puntando sul vogliamo finire con un’amministrazione di Lucano che ha portato a questa situazione giudiziaria, ma non ha mai fatto un discorso proprio contro l’accoglienza. Ha fatto un discorso basico perché non è un leghista direttamente, ma ha puntato tutto sul fatto che c’è delinquenza, che bisogna installare delle videocamere di sorveglianza e tanti discorsi per spaventare.
Per la foto di Shu Aiello si ringrazia l’ufficio stampa
Lui ha vinto facendo questo discorso, ma bisogna dire che quando ci sono state le elezioni ci sono state tre liste: una con Domenico, una che era diffidente dello staff di Domenico che puntava solo sul continuare il progetto dell’accoglienza, ma senza lui nelle liste e una di Antonio Trifoli.
Siccome c’erano tre liste, ovviamente è stato più facile per Trifoli vincere. Se ci fosse stata un’unione tra queste due liste, avrebbero vinto.
Poi c’è stato il fatto che Salvini, che odiava totalmente Domenico e Riace, con questa elezione ha potuto far vedere che tutta questa accoglienza era associabile alla mafia, al traffico, per sporcare questa idea. Lui ha approfittato anche di questa situazione per sostenere Antonio Trifoli che era poliziotto municipale e che sono anni che si presenta contro Domenico. Proprio per il ruolo che aveva non aveva il diritto di presentarsi come sindaco. Quando è stato eletto si è autolicenziato e c’è stato anche un processo con lui che è stato condannato, ma è stato mantenuto lo stesso come sindaco.
Il legame delle registe con Riace
Qual è il vostro legame con Riace? Perché due francesi hanno deciso di fare un film su un paesino italiano? E com’è stato girare lì? Avete avuto delle difficoltà, soprattutto nel momento in cui Lucano ha perso? Il fatto che avevate già girato un film su questo ha aiutato o no?
Shu: il nostro interesse per Riace è simbolico, abbiamo fatto un film europeo. Questo nel senso che abbiamo sentito che in Europa stava per arrivare una politica con la quale siamo profondamente in disaccordo, e la questione di Riace ci è semplicemente sembrata un esempio di ciò che sarebbe successo a molti altri in Europa.
Per quanto riguarda il fatto che siamo francesi, in realtà siamo tutte e due d’origine italiana, la mia famiglia era calabrese, mentre la famiglia di Catherine è siciliana. Questo ci ha aiutate ad avere un atteggiamento originale e, per certi versi, è più facile capire qualcosa quando siamo fuori rispetto a quando si è coinvolti all’interno. Per esempio noi siamo di Marsiglia, ma non abbiamo mai fatto un film su Marsiglia.
Catherine: Poi, in questo secondo capitolo c’è anche la nozione di resistenza. Un qualcosa che in Italia vivete con il governo Meloni, ma in generale sono idee che hanno vinto già da un po’. Anche in Francia, per esempio, anche se non c’è Marine Le Pen al potere. Queste idee stanno vincendo e dunque questi posti di resistenza come Riace diventano importanti per dimostrare che l’accoglienza è più forte.
E questa è un po’ la questione anche di quest’affare giudiziario che ha condannato Domenico perché lui, con le sovvenzioni che aveva, poteva accogliere molta più gente rispetto a quello che era previsto. Dunque l’idea di Riace è che quello è un posto dove i giovani hanno sempre conosciuto migranti che sono cresciuti con loro, per loro non c’è neanche un problema.
Un paese di resistenza: Italia e Francia
È vero e, infatti, per questo è molto attuale. Pensare che lui aveva cominciato a fare tutto ciò già anni fa è sorprendente.
Catherine: Noi siamo gente di città, la gente di città è forse più politicizzata, ma anche forse più costretta su tante cose. Io ho sempre immaginato che a Riace fosse una loro scelta quella legata all’accoglienza. Una scelta molto libera e, perlomeno all’inizio, spontanea, senza pregiudizi anche politici.
La militanza è arrivata dopo perché è vero che Domenico ha sempre avuto uno spirito militante e ha frequentato molti gruppi politici ma le altre persone di Riace no, sono persone semplici che hanno sempre vissuto lì, senza quasi mai spostarsi. Per questo non avevano idea che il loro progetto di accoglienza rappresentasse una cosa enorme. Ed è per questo che è stato molto violento questo arresto, perché lì sono arrivate, da un giorno all’altro, tantissime televisioni che davano informazioni continue sulla questione, a chiedersi cosa fosse successo. Quindi gli abitanti di Riace è come se fossero stati aggrediti, in un certo senso, dal mondo fuori e questo è stato molto violento.
Abbiamo parlato del vostro legame con l’Italia, quindi adesso vi chiedo quello con la Francia. Questo film è già uscito in Francia?
Shu: La prima nazionale è il 4 dicembre, stiamo facendo delle anteprime nel frattempo in tutta la Francia. In Italia è arrivato prima.
Catherine: Per il momento, dalle anteprime francesi abbiamo ricevuto commenti positivi. Addirittura c’è stata gente che ha pianto, si è commossa e che alla fine del film ci ha detto che non conosceva questa storia che, in realtà, parla molto anche di loro. Ci sono stati dei bei dibattiti dopo le proiezioni.
Per adesso c’è un’accoglienza a questo film molto bella.
In attesa del terzo capitolo?
Ma infatti credo sia interessante per tutti conoscere questa realtà, anche in Italia dove molti sanno chi è Domenico Lucano, ma non vanno oltre. E, a proposito dell’importanza di un film come Un paese di resistenza, la fine va nella direzione di una speranza. C’è questo narratore in stazione e questi binari sfocati che richiamano la situazione di Domenico, tra arresto e libertà. Si può considerare come una speranza e come un finale aperto che va di pari passo con la vita stesso di Lucano.
Catherine: Sì, per noi è questo. Non è importante il fatto di vincere o di perdere, ma lo è il fatto di difendere un’idea, di continuare ad avere una meta e andare avanti. Resistere ed essere convinto che la tua idea è giusta. Ed è un po’ questo che racconta il film. E lo fa anche attraverso il testo, adattato in italiano, che abbiamo inserito alla fine e che ci sembrava interessante per sottolineare l’idea di accoglienza.
Avete già pronto un nuovo capitolo? Se è vero che non c’è due senza tre, ci dobbiamo aspettare una nuova visione del paese?
Sì, ma non possiamo parlarne. Non sarà, però, a Riace, anche se sempre su questa tematica dell’accoglienza.
Sono Veronica e qui puoi trovare altri miei articoli