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Interviews

Álex Galán: Vi racconto i retroscena del mio film ‘Territory’

In questa intervista, il regista Álex Galán racconta com'è stato girare il documentario Territory

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In un angolo remoto delle montagne del Kirghizistan, dove il paesaggio selvaggio e inaccessibile è rimasto intatto da secoli, il regista Álex Galán ha intrapreso un viaggio che va oltre la semplice esplorazione: è una ricerca della libertà, un’indagine sulle forze della natura e sul mistero di una delle creature più sfuggenti del pianeta, il leopardo delle nevi. In questo documentario straordinario, il regista non solo ha seguito le tracce di questo magnifico predatore, ma ha anche esplorato il legame profondo tra uomo e ambiente, tra la bellezza incontaminata delle vette e la lotta per la sopravvivenza in un mondo sempre più minacciato.

Ho avuto l’opportunità di fare una lunga chiacchierata con lui, parlando del suo lavoro, delle difficoltà e delle rivelazioni di un viaggio che lo ha portato lui e l’attore protagonista, Darko Peric, al confine tra il visibile e l’invisibile, tra l’ignoto e la bellezza pura delle montagne.

In Territory vediamo paesaggi mozzafiato e natura selvaggia e ostile. Da dove nasce l’esigenza di raccontare questa storia e cosa rappresenta il leopardo delle nevi? É forse un simbolo?

«Mi interessa da sempre raccontare la visione più antica dell’essere umano. Tutti i miei lavori sono un’esplorazione della natura umana, il tentativo di trovare la nostra essenza come gli animali. Negli ultimi anni ho viaggiato più volte in Asia centrale e ho convissuto con una comunità di nomadi, volevo portare la loro realtà sul grande schermo. Trovo profondamente accattivante il modo in cui queste persone chiamano ‘casa’ luoghi apparentemente ostili come le montagne del Kirghizistan. La prima volta che ho visitato questa zona era inverno e ho pensato che fosse così bella ma molto ostile. Temperature di -20º sotto zero, tutto coperto di ghiaccio, falò per riscaldarsi. Allora ho chiesto loro come riuscissero a vivere in un posto come quello, e mi sono sentito rispondere: “Perché è casa mia”. Una domanda di cui oggi mi pento. Perché la casa è un diritto inalienabile. In questo affascinante ambiente appare un animale leggendario: il leopardo delle nevi. Per gli occidentali è un tesoro da trovare, per i naturalisti è quasi un fantasma, e per i pastori nomadi è un pericolo quotidiano da evitare. Il leopardo rappresenta un’attrazione quasi mistica verso la natura selvaggia e in relazione ad essa, una ricerca dell’inesistente. Proprio quello che sta cercando il protagonista.»

Come è avvenuta la scelta su Darko Peric?

«Ho conosciuto Darko qualche anno fa al Festival del Cinema Western di Almería. In quel periodo stavo presentando il mio primo lungometraggio, un docu-western dal titolo Selvaggi, che parla del conflitto tra lupi e pastori in Spagna. Darko era in mezzo a una nuvola di fan perché aveva appena finito The House of Card e tutti lo riconoscevano. Durante il festival abbiamo parlato e ho capito che il suo desiderio era quello di esplorare altro, oltre i riflettori mediatici del settore. Aveva voglia di mettersi alla prova come autore indipendente. Quindi gli ho offerto di unirsi a me in una spedizione che stavo preparando in Asia Centrale alla ricerca del leopardo delle nevi. Mi è sembrata una buona simbologia.»

Ha scelto lei di fargli togliere la barba?

«In realtà è stata una scelta naturale. Darko voleva tentare una strada esterna al suo ruolo da protagonista ne La Casa de Papel e volevo un attore disposto ad allontanarsi dal mondo dell’industria e che accettasse di essere uno sconosciuto. La barba di Helsinki non si adattava a questa storia, portarla via simboleggiva farl sparire quel personaggio.»

Sbarazzarsi del successo. Perché?

«Perché senza successo la vita è più vera, e forse più lunga. Ho vissuto con i pastori nomadi nelle steppe, gente che non ha nessun obiettivo a parte il presente e prendersi cura dei propri animali e delle proprie famiglie. Il tempo lì è diverso. Le giornate sono più lunghe, le settimane sembrano ferme nel tempo. È come se l’assenza di obiettivi complessi rendesse eterna l’esistenza. Mi piace molto vivere e mi preoccupa pensare che possa finire. Insomma, se potessi allungherei tutto! Mi piace pensare che il successo non sia importante. Ciò rende tutto puro e genuino.»

Redenzione verso gli istinti perduti. Quali sono questi istinti?

«Ci siamo evoluti molto e molto velocemente, ma l’essere umano continua a essere un animale. Il nostro cervello è biologicamente lo stesso di quando eravamo cacciatori-raccoglitori, è cambiata solo la cultura. Ci siamo allontanati molto dalle nostre radici animali e penso che la destabilizzazione emotiva che attualmente soffriamo è in parte dovuta a noi. Ci siamo allontanati troppo dalla nostra origine. Abbiamo nuotato e siamo lontanissima dalla riva. Guardare verso la natura selvaggia e verso le poche comunità umane che restano è un modo per stare a galla. Sono una guida per la nostra esistenza e non possiamo perderle. Per tutta la vita ho cercato di rispondere alla domanda che mi hai fatto: “Quali sono i nostri istinti?” E cerco ancora di sorprendermi.»

Cos’è per lei la libertà?

«C’è una frase dello scrittore francese Sylvain Tesson che cerco di ricordare spesso: “La libertà esiste ancora, bisogna solo pagarne il prezzo“. Credo che la libertà in molti casi sia un privilegio. Vuoi vivere in assoluta libertà? Allora vai in montagna e vivi come un eremita. È possibile, ma tutto ha un prezzo: la distanza, la solitudine, la crudeltà. Nel caso di Territory intendiamo esplorare questo concetto attraverso l’attore protagonista, Darko Peric. Vuoi smettere di essere il tipo de La Casa de Papel e diventare un autore? Okay, togliti la barba e vieni sulle montagne del Kirghizistan per girare un documentario che ha a che fare con un fantasma. Lì nessuno ti riconoscerà, sarai libero dai canoni dell’industria, potrai sviluppare quello che hai dentro. Ma questa cosa ha un prezzo: la tua pellicola non sarà il film più visto dell’anno, non sarai invitato a centinaia di feste, non farai un buon lavoro con i soldi e il film potrebbe essere un disastro. Potrebbero persino dimenticarsi di te. Ma amico, questa è la libertà.»

Il leopardo ha lasciato le sue tracce, ora voglio lasciare le mie. Può commentare questa frase meravigliosa che, secondo me, racchiude il senso dell’intero viaggio?

«Apprezzo molto questa domanda perchè sento esattamente la stessa cosa. Nel film, Darko cerca di allontanarsi dalle cose che lo consumano e cerca di riscoprire le proprie radici. Man mano che la spedizione procede, tutto viene idealizzato. Perdendo interesse per il successo, il suo obiettivo diventa quello di trovare il leopardo delle nevi. Comincia così ad ammirare l’esistenza invisibile. Sa che non sarà in grado di comunicare direttamente con l’animale, eppure il suo obiettivo è quello di trovarlo, ha la necessità di ottenere successo, anche se minimo. Lasciare la telecamera simboleggia che Darko non riesce a staccarsi completamente dalla telecamera. Ha bisogno di successo. Non potrà vedere il leopardo, ma almeno proverà a vederlo la fotocamera lo fa per lui. Dopotutto l’ego non scompare così facilmente. E questo finale si collega con la frase che apre il film: “Alcune cose esistono solo perché non vengono mai viste.” Il leopardo sarà ancora lì perché non può essere visto dalle persone. É quella la sua natura.»

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