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Linea d'Ombra Festival

Linea D’Ombra Festival, intervista ai direttori artistici Giuseppe D’Antonio e Boris Sollazzo

Dal 9 al 16 novembre il festival ha presentato numerosi eventi. Ecco il bilancio finale della rassegna

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Si è conclusa il 16 novembre 2024 la 29° edizione del Linea D’Ombra Festival, una rassegna che ha visto la partecipazione attiva di un variegato pubblico, composto da giovani e appassionati di cinema e audiovisivo.

Un evento pieno di presentazioni, anteprime (qui le nostre recensioni) e rassegne cinematografiche. Ma anche di workshop e incontri con personaggi dell’intrattenimento, tra cui Pilar Fogliati, Pietro Sermonti, Enzo D’Alò e tanti altri.

Il tema principale è stato quello dei diritti, un filo conduttore che va a completare le tematiche affrontate negli scorsi anni e che si collega perfettamente al contesto contemporaneo che stiamo attraversando. Ne abbiamo parlato con i due direttori artistici di Linea D’Ombra: Giuseppe D’Antonio (fondatore del Festival) e Boris Sollazzo.

Il bilancio finale di Linea D’Ombra Festival con i direttori artistici

Il tema di quest’anno è stato particolarmente interessante. Cosa vi ha spinto a scegliere i diritti come filo conduttore del festival?

Giuseppe D’Antonio: In realtà, è stato abbastanza semplice perché sembrava costruire una sorta di percorso quasi naturale rispetto ai temi che avevamo utilizzato le volte precedenti, che avevano guardato la contemporaneità con una prospettiva più ampia. A un certo punto ci siamo resi conto che, per completare questo discorso, era necessario fare un approfondimento sul tema dei diritti. Come se questi diritti si stessero per congelare. Se si blocca il meccanismo dinamico in termini di diritti, cioè la tutela, lo stesso diritto finisce in qualche modo per decadere. E allora abbiamo pensato che proprio perché sentiamo minacciata la stagione dei diritti (quelli conquistati negli anni 70-80 e dopo), è opportuno conservare lo stesso tema anche per la trentesima edizione.

Gli ospiti e i film

Con quale criterio avete scelto le opere presentate e gli ospiti da invitare?

Immagine gentilmente concessa dall’ufficio stampa del festival

Giuseppe D’Antonio: I film li abbiamo scelti in modo molto libero, nel senso che non dovevano rispondere al tema. Anche se poi, di fatto, se andiamo a guardare tutti quelli che abbiamo presentato, molti sono legati al tema del diritto la nella contemporaneità. E anche quando sembravano rivolti al passato, parlavano della nostra contemporaneità e del fatto che i diritti venivano minacciati dalla guerra, dalla fame, dalle discriminazioni.

La reazione delle giovani generazioni

In che modo il festival quest’anno ha voluto coinvolgere i giovani su questi temi cruciali?

Giuseppe D’Antonio: Sono state cinque giornate intensissime (riferendosi al periodo che va dal 11 al 15 novembre, con il nostro Progetto MEF – Media Education Factory) , molto belle, molto partecipate e soprattutto molto interessanti. I ragazzi sono rimasti molto colpiti. Ad esempio, durante un incontro abbiamo proiettato Io Capitano di Garrone, ed era presente un profugo eritreo che ha in qualche modo attraversato il Mediterraneo né più né meno nello stesso modo con cui l’aveva attraversato il protagonista del film. I ragazzi presenti sono stati molto affettuosi, hanno posto delle domande estremamente interessanti. Abbiamo fatto vedere anche C’è ancora domani della Cortellesi e in sala c’era una giovane donna con un coraggio incredibile, che ha subito l’uccisione della madre da parte del padre e il suicidio di lui. La sua vita è stata sconvolta. I ragazzi hanno reagito benissimo, ponendo delle domandi molto interessanti.

Boris Sollazzo: Infatti, abbiamo confermato la nostra idea sulla straordinarietà delle nuove generazioni, che hanno una sensibilità estremamente spiccata. Ed è la forma mentis del festival, merito di Giuseppe D’Antonio e della sua squadra, l’anima di questo festival. C’è sempre stata un’attenzione verso le giovani generazioni. Basti pensare alle giurie che hanno un’età media forse tra le più basse di un festival generalista non specifico.

Immagine gentilmente concessa dall’ufficio stampa del festival

Sui diritti

Questo è uno dei tratti più interessanti di Linea D’Ombra, il fatto che coinvolgete i giovani a 360 gradi.

Boris Sollazzo: È straordinario questo, perché se può essere normale in un festival tematico che vuole essere indirizzato ai giovani, in un festival che non lo è invece vuol dire aver costruito un percorso che voglia coinvolgerli. Ho poi deciso insieme a Peppe che l’ultimo incontro doveva essere sul diritto dei lavoratori, ed essendo purtroppo stato oggetto di una violazione abbastanza importante dei diritti dei lavoratori, mi sono messo in discussione direttamente. La reazione non è stata solo la volontà di partecipare, di lavorare insieme, ma anche quella di dividersi la responsabilità sociale dei diritti. I ragazzi hanno parlato come vorremmo che potessero parlare i nostri politici.

L’attualità del cinema

Secondo voi il mondo dell’audiovisivo quindi può portare a una riflessione profonda su questi temi attuali?

Giuseppe D’Antonio: La struttura del nostro festival è composita e complessa. É un festival con tantissimi prodotti; per cui ci sono moltissimi film come cortometraggi, lungometraggi, documentari, animazione. Di per sé l’immagine e l’immaginario contengono pensiero, anche quando non si forzano a voler indicare una strada, definire un tema, a voler trattare un determinato argomento secondo una traccia predefinita. Basterebbe una sola fotografia, un solo fotogramma, un solo frame di un film qualsiasi. E certe volte mi arrabbio. Ad esempio, quando sento che si parte dal film per  discussioni che poi sembrano allontanarsi totalmente dallo stesso film. Poi ci ripenso e dico che questa è una cosa straordinaria, perché si parte da un oggetto che è quello dell’opera in qualche modo audiovisiva e si comprende che sta parlando a uomini e donne che, rispetto a quest’opera, cominciano ad elaborare i pensieri, sviluppare visioni.

Boris Sollazzo: Per le giovani generazioni l’audiovisivo sta diventando sempre di più la fonte primaria di informazione e memoria storica. Lo si vede dal docu-drama, da tutto ciò che soprattutto la storia recente ha masticato attraverso l’audiovisivo, che a sua volta ha masticato la storia recente. Questo aspetto fa sì che sia un elemento dialettico e anche storico e intellettuale decisivo ancora più che in passato, dove le fonti erano diverse, dove lo studio era molto meno multimediale e quindi diciamo era una fonte secondaria. Adesso per molti è una fonte primaria. E questo aumenta la responsabilità di un festival, e la centralità di un tema che il festival sceglie. Non solo in modo immaginario, ma con consapevolezza e memoria storica.

Le esigenze del pubblico

Un bilancio di questa 29° edizione del Linea d’Ombra Festival?

Boris Sollazzo: Abbiamo fatto un salto sia a livello quantitativo (sicuramente un 15-20% in più di persone al festival), sia a livello qualitativo. Il pubblico è più vario, si è in qualche modo targhettizzato, e rimane una percentuale molto importante che sono i fedelissimi del festival. Ma aumentano anche quelli che scelgono di seguire alcuni eventi del festival perché lo trovano interessante. Questo fa sì che il pubblico diventi anche più esigente, oltre che più estesa.

Le aspettative sul futuro?

L’anno prossimo sarà il trentennale di Linea D’Ombra Festival. Avete già in mente come procedere, cosa fare e come portare avanti il discorso dei diritti?

Giuseppe D’Antonio: Siamo aperti a tutti gli scenari possibili, dalla riduzione o l’aumento dei giorni al cambiamento del periodo. Siamo ovviamente disposti a cambiare anche quello che non va, e staremo sicuramente dentro il tema dei diritti. Io credo in linea di massima che porteremo a conclusione questo modello di festival, quello che abbiamo fatto fino alla ventinovesima edizione. Abbiamo anche l’idea di potenziare ancora la nostra capacità di attrarre pubblico, non solo più consistente ma anche differenziato perché noi crediamo nella rottura dei tetti di vetro.

Boris Sollazzo: Io, Peppe e tutto il nostro gruppo di lavoro, che se non ci fosse il festival non potrebbe andare avanti, abbiamo intenzione di fare una grande trentesima edizione. Siamo diventati un punto di riferimento più europeo che italiano e questo ci dovrebbe far riflettere, anche a livello di investimento. Però servono risorse economiche e l’investimento economico è un investimento politico. Non in senso fazioso: politico nel senso di immaginare una polis diversa. Abbiamo avuto un grande sostegno dalle istituzioni quest’anno. Io chiedo a tutti coloro che hanno dimostrato una grande sensibilità, non scontata, perché di solito le istituzioni pubbliche o private finanziano per convenienza, per conoscenza, per prossimità, magari anche per strategia politica. Ma loro hanno dimostrato di farlo per condivisione degli obiettivi e per una visione comune. Perché Linea D’Ombra diventi ancora più grande serve un investimento, che prima è politico e quindi economico. Perché i diritti sono fondamentali, lo sappiamo, ma senza un supporto pratico ed economico non possono essere esercitati, non possono essere nemmeno raccontati. È il momento di investire, e per il diritto di esistere tutti devono fare il loro sforzo.

Verso una rivoluzione culturale

Quali pensate siano i diritti più a rischio nel nostro contesto contemporaneo e sui quali bisogna lavorare soprattutto con i giovani?

Giuseppe D’Antonio: Io credo che la cosa che vogliamo di più è il diritto di avere diritti. Perché ho la sensazione che adesso il fatto che qualcuno rivendichi dei diritti sia quasi un fastidio. Che i giovani che sono venuti, le persone che ci hanno ascoltato, fossero sintonizzati su questa idea che bisogna difendere i diritti e quindi noi abbiamo il diritto di pretendere e di avere diritto.

Boris Sollazzo: Il problema dei diritti è che non solo possono essere negati ma possono essere svuotati. Le dittature in passato li hanno negati; adesso i governi e le multinazionali li stanno svuotando. Una cosa che abbiamo notato nei nostri incontri, sia con i grandi maestri, sia con i ragazzi, è che a volte non manca la voglia di lottare per i diritti, a volte ci si dimentica quali siano. Perché ci si è abituati al fatto che siano stati svuotati e diamo per scontato che vengano ignorati. È come se ci si stesse rassegnando, ed è il motivo per cui noi di Linea D’Ombra esistiamo. Se questo mondo non ci piace, un modo per cambiarlo c’è: potenziare la consapevolezza culturale, perché le rivoluzioni partono da qui. Non sono le leggi a fermare la violazione dei diritti, è la rivoluzione culturale. E la rivoluzione culturale parte da luoghi come questo.

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