‘Paris, Texas’: un viaggio nella solitudine esistenziale
L’opera di Wim Wenders torna al cinema in occasione del suo 40esimo anniversario. Vediamo assieme alcuni degli elementi che lo hanno reso un capolavoro
Vincitore della Palma d’oro come miglior film al Festival di Cannes nel 1984, Paris, Texas finalmente torna nuovamente al cinema, in collaborazione con CG Entertainment. Il restauro è avvenuto grazie alla Cineteca di Bologna e al sostegno di Chanel e del German Film Heritage Funding Program (FFE). Per chi non conoscesse il film, questa è la perfetta occasione per assaporarlo su grande schermo. Tuttavia, non pochi sono gli appassionati che per l’ennesima volta sceglieranno di assistere a questa atipica reunion di famiglia, come afferma lo stesso regista, Wim Wenders, in un video che precede la visione del film.
Il cast
A interpretare il protagonista Travis, Harry Dean Stanton, attore statunitense scomparso nel 2017. Durante la sua carriera, si è mosso tra film indipendenti e quelli di stampo hollywoodiano. Stanton ha collaborato con registi di grande spessore: David Lynch, Francis Ford Coppola, Martin Scorsese e John Carpenter, per citarne alcuni.
Nastassja Kinski, invece, interpreta Jane. Figlia dell’attore Klaus Kinski, ha lavorato con Wenders anche nei film Falso Movimento (in cui ha esordito) e Così lontano così vicino. Durante gli anni Ottanta, oltre a recitare nei film di Wenders, Nastassja Kinski ha realizzato film con Roman Polanski, Paul Schrader, Lina Wertmuller e Francis Ford Coppola.
Altra figura nota all’interno del film è quella di Dean Stockwell, interprete di Walt e anch’egli scomparso da qualche anno. L’ esordio avviene con Due marinai e una ragazza (Canta che ti passa) all’età di sette anni, dove ha recitato al fianco di Frank Sinatra e Gene Kelly. Con Frenesia del delittoStockwell ha vinto il Prix d’interprétation masculine presso il Festival di Cannes nel 1959, premio diviso anche con Bradford Dillman e Orson Wells. Durante gli anni Ottanta è affermato come attore non protagonista, apparendo in film come Velluto Blu e Dune di David Lynch. Dal 1989, poi, il pubblico televisivo l’ha conosciuto attraverso la serie NBC In viaggio nel tempo, dove ha recitato al fianco di Scott Bakula.
La collaborazione con Sam Shepard
La sceneggiatura è uno dei tanti punti forti del film, con i suoi dialoghi toccanti e profondi. Per il suo lungometraggio, Wenders sceglie di lavorare con Sam Shepard, famoso regista, drammaturgo, sceneggiatore, scrittore e attore. Wim Wenders collaborerà con lui anche per la realizzazione di Non bussare alla mia porta (Don’t Come Knocking).
Il tocco di Sam Shepard è perfettamente riconoscibile: come nelle sue opere, anche in Paris, Texas sono presenti una famiglia disfunzionale e lo sgretolamento dell’American dream. I personaggi che popolano il film sono sicuramente più umani e veri delle figure dipinte nell’ideale americano, che di reale e concreto possiedono ben poco. Rappresentati in tutte le loro fragilità, essi potrebbero essere definiti degli inetti con la costante percezione di essere fuori luogo, privi di figure che possano comprenderli nel profondo.
Un viaggio che indaga i rapporti interpersonali
Un uomo, nel bel mezzo del deserto, sta vagando solo. Non si conoscono i motivi, né la destinazione. Non appena il fratello Walt lo va a recuperare e lo porta a casa con sé, la sua identità appare più chiara: egli si chiama Travis, ha un figlio e, data la sua assenza prolungata, tutti lo credevano morto.
Tornato tra la società, Travis tenterà di ricreare un nido famigliare riavvicinandosi a suo figlio Hunter e intraprendendo un viaggio per ritrovare la moglie Jane, anch’essa scomparsa da anni. Proprio il viaggio compiuto dall’uomo sarà riflesso del percorso interiore che lo coinvolgerà nel corso della vicenda.
La scelta delle luci
Moltissime scene di Paris, Texas si svolgono alla luce diurna; altrettante, però, sono caratterizzate dalla presenza di luoghi bui, rischiarati da luci al neon.
Oltre ad avere un impatto visivo notevole e a conferire un’estetica particolare al film, questa scelta sembra rispecchiare il mood della storia e l’interiorità dei personaggi. Infatti, tutto il lungometraggio è pervaso da un senso di malinconia, solitudine e tristezza. Questa scelta permette di riflettere ed esaltare i sentimenti che abitano i personaggi durante il corso del film. Inoltre, visivamente consente di conferire loro un aspetto del tutto particolare, unico.
Riguardo all’utilizzo delle luci, sul sito della Cineteca di Bologna si legge l’intervento di Philipp Orgassa:
“Ciò che è davvero interessante in Paris, Texas è il modo in cui vengono usati i colori. Ci sono alcune scene notturne con molte luci al neon, dai cartelloni pubblicitari e dalle insegne, o in un parcheggio [che vediamo alla fine del film]. Wim mi disse che voleva davvero esaltare quei colori. Era totalmente nuovo avere questi colori perché, di solito nel cinema, ai gaffer viene detto di uniformare i colori di una luce. Se hai lampioni – luci normali nella scena – ci si aspettava che l’illuminazione fosse impostata per corrispondere alla temperatura del colore, così da sembrare uniforme e ‘tecnicamente’ corretta. Ma Wim e Robby decisero di non volerlo. Volevano vedere cosa avrebbero fatto quelle che potremmo chiamare le luci sporche. Questo è ciò che rende così speciale questo film – lo rende così vibrante. Hai quei colori folli”.
Se si pensa, poi, al momento in cui Travis rivede Jane per la prima volta dopo tempo, la donna, seduta al bancone, è colpita da intense luci a neon verdastre. Queste rendono il suo maglione fucsia di un colore ancora più intenso, mettendo così in risalto il personaggio da un punto di vista visivo. Oltre a ciò, l’illuminazione permette di disegnare attorno al suo corpo una specie di aura, esaltando la sua bellezza eterea e facendola apparire come una figura evanescente.
Anche una delle ultime scene, in cui Travis osserva la stanza d’albergo nel parcheggio, è caratterizzata da una luce neon verdastra. La carica emotiva viene ulteriormente intensificata grazie al cielo crepuscolare, con toni che sfumano dal rosso al blu.
Soli in mezzo agli altri
Il fulcro attorno cui ruota tutto il film è la solitudine.
All’inizio Travis si trova isolato nel bel mezzo del deserto, luogo in cui la solitudine raggiunge il suo grado massimo. Tornato a contatto con la civiltà umana, egli continua a sentirsi un estraneo, non riuscendo a integrarsi presso la famiglia del fratello Walt. L’unica cosa che sembra sollevarlo è il rapporto che costruisce man mano con il figlio.
Anche Hunter, però, si sente solo e spaesato: infatti, all’età di otto anni realizza che tutti gli anni vissuti con la sua famiglia sono stati una menzogna e solo recentemente ha potuto conoscere il suo vero padre. Questo sicuramente provoca in lui un senso di disagio e smarrimento, che si mantiene durante tutto il corso degli eventi.
La madre di Hunter, Jane, si sente altrettanto emarginata. Vive da sola, ormai senza avere più contatti con il figlio e svolge un lavoro alienante. Oltre al fatto di non essere gratificante, con il suo impiego viene privata della dimensione fisica delle relazioni che intraprende con i clienti. Infatti, Jane lavora in una sorta di “peep-show”, in cui un vetro oscurante le impedisce di vedere i propri clienti.
Anche il fratello di Travis e sua moglie, divenuti genitori sostitutivi di Hunter, si sentono smarriti dall’arrivo di Travis. Consapevoli che il loro figlioletto acquisito potrebbe lasciarli per sempre per rimanere con il suo vero padre, i due entrano in una profonda crisi. Infatti, la loro vita senza Hunter sarà vuota e priva di senso.
Una famiglia disgregata
In Paris, Texas aleggia lo spettro nostalgico di qualcosa che ormai non c’è più e sembra impossibile da ricreare: l’unità famigliare.
Due sono le famiglie disgregate, quella di Travis e quella di Walt, entrambe a causa del protagonista. In primo luogo, Travis distrugge l’equilibrio instauratosi nel nucleo composto dal fratello Walt, sua moglie Anne e Hunter, preso da loro in affido dopo la scomparsa di entrambi i genitori. Con la ricomparsa di Travis, i due coniugi entreranno in crisi, realizzando che ciò che li univa veramente era proprio Hunter.
Vengono forniti sempre più indizi sulla relazione tra Travis e Jane. Esemplare è la scena del filmato in super 8, in cui il figlio Hunter riconosce che il padre è ancora innamorato di Jane. I due, quindi, si metteranno in viaggio per ritrovarla, tentando così di ripristinare l’equilibrio iniziale.
Ben presto, però, gli eventi prendono un’altra svolta: dopo aver incontrato la moglie, Travis si rende conto che ricreare una famiglia è oramai impossibile. A causa del terribile passato che ha segnato la vita di tutti e tre, svelato allo spettatore nella toccante scena ambientata nel peep-show, sarebbe impossibile ritornare ad essere felici insieme. Avendo già rovinato la vita a troppe persone, a Travis non resta che compiere l’unico (e ultimo) gesto costruttivo nei confronti di chi ama: riuscire a riunire madre e figlio. Dopodiché, non gli resta che andarsene, fuggendo ancora una volta da ogni volto conosciuto e riabbracciando così la propria natura vagabonda.
Lo spazio che ingloba i personaggi
Lo spazio entro cui si muovono i personaggi di Paris, Texas contribuisce ad aumentare il loro senso di isolamento e solitudine. Frequentemente essi sono ripresi in spazi spesso vuoti e con campi lunghissimi: l’ambiente circostante diventa il vero protagonista e, conseguentemente, i personaggi sono considerati marginali rispetto al resto. Sia gli spazi esterni che quelli interni risultano, quindi, espressione dell’emarginazione, della tristezza e del disorientamento provati dai vari soggetti all’interno del film.
Personaggi complementari
È nota l’enorme stima che Wim Wenders prova nei confronti di Yasujirō Ozu, regista giapponese che Wenders considera come uno dei suoi maestri, omaggiandolo in numerose opere, tra cui Tokyo-Ga.
Numerose sono le scelte registiche adottate da Ozu e questo non sarebbe il contesto opportuno per elencarle tutte. Per citarne una, all’interno dei suoi film Ozu faceva spesso vestire i suoi personaggi in modo uguale o complementare (ad esempio due fratelli, come accade in Ohayō). In questo modo, il loro rapporto si rafforza ulteriormente grazie alla corrispondenza visiva.
In Paris, Texas avviene lo stesso. Infatti, ciò che sembra unire i tre personaggi di Hunter, Travis e Jane è il colore rosso. Partendo dal cappello di Travis nelle scene iniziali, il rosso si presenta anche attraverso i vestiti di Hunter e Travis (soprattutto quando inizieranno ad approfondire il loro legame). Anche la macchina di Jane è rossa e il colore rosso è quello che si propaga nell’ambiente quando Travis entra nel locale in cui lavora Jane. Il maglione di Jane indossato durante il primo incontro con Travis nel locale peep-show è fuxia, quasi ad indicare una discrepanza tra i due. Tuttavia, nella stanza della donna sono presenti numerosi oggetti scarlatti.
La potenza del primo piano
Secondo Béla Balázs, il primo piano cinematografico è un microcosmo significante che può racchiudere il pathos dell’intera opera e restituire il massimo grado di intensità drammatica.
Paris, Texas si conclude con un primo piano di Travis mentre sta guidando, ripreso dal sedile posteriore. Nonostante la posizione della macchina da presa, possiamo osservare complessivamente il suo volto. Gli occhi sono umidi e sul suo viso si alternano espressioni malinconiche e mezzi sorrisi.
Ciò non può che ricordare la scena finale di Perfect Days, ultima opera di Wenders. Nelle inquadrature finali il protagonista, Hirayama, con le lacrime agli occhi guida verso un luogo ignoto. Intanto, egli è pervaso da numerose emozioni, restituite magistralmente attraverso micro-gestualità del viso dall’attore Kōji Hashimoto. Tutto è accompagnato dal brano Feeling Good di Nina Simone.
In questo modo, i primi piani dei volti dei protagonisti Travis-Hirayama racchiudono l’intero dramma e le sensazioni vissute durante il corso del film. Queste vengono comunicate attraverso una maggiore intensità e impatto emotivo, nonché in maniera più immediata.
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