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‘Siluman’, il cinema coloniale e le lavoratrici invisibili

Una riflessione sul rapporto tra sublime e soggettivazione dei popoli indigeni nella rappresentazione cinematografica coloniale.

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Presentato al terzo UnArchive Found Footage Fest, di Roma, un festival internazionale dedicato al riuso creativo delle immagini d’archivio, Siluman – Stealth, Invisible, Ghostly, Phantom-Like, è un cortometraggio sperimentale di Paula Albuquerque, ricercatrice e artista visiva che esplora criticamente il cinema coloniale e dà voce agli invisibili.

Di non immediata lettura, il corto porta in un mondo poco conosciuto e inesplorato.

Siluman e l’Indonesia

C’è un mondo laggiù, dove sono ambientati molti racconti popolari e miti indonesiani, in cui la parola “siluman” si riferisce a spiriti o creature soprannaturali che vivono e interagiscono con gli esseri umani, spesso in comunità specifiche. Queste creature possono essere considerate come fantasmi, esseri soprannaturali o addirittura persone che hanno lasciato il mondo dei viventi, il cui spirito si è unito a questa comunità. I più noti sono i Siluman harimau (gli spiriti tigre) o i Siluman Ular kepala banyak (gli spiriti serpenti a più teste).

In un mondo quasi fantastico, e sicuramente d’altri tempi, Albuquerque mette insieme, con grande originalità e intuizione, fantasmi, archivi e tante altre entità.

La sfida alle narrazioni storiche

Nuove prospettive e messa in discussione delle rappresentazioni storiche e culturali del colonialismo e delle sue strutture di potere: questo è Siluman, realizzato con filmati provenienti dall’archivio dell’EYE Filmmuseum di Amsterdam.

Un insieme di pellicole che hanno la consistenza granulosa tipica dei vecchi media, accompagnata dal ronzio del proiettore. Quello scorrere sul treno lungo binari faticosamente interminabili, con velocità e sferragliamento, ricorda i paesaggi in bianco e nero e le prospettive de L’angelo del male (La Bête Humaine) di Jean Renoir.

Siluman è un’opera che vuole riflettere sul rapporto tra il sublime e la soggettivazione dei popoli indigeni nella rappresentazione cinematografica coloniale. Quella che non regge più, che non è più credibile, che va riletta, ripensata, rielaborata.

Il film si basa, in particolare, su un cortometraggio religioso olandese girato in Suriname negli anni ’50. Attraverso un montaggio critico, Albuquerque rielabora queste immagini per evidenziare le dinamiche di potere e le narrazioni coloniali presenti nel cinema dell’epoca.

L’obiettivo è quello di dare voce alle donne e ai lavoratori marginalizzati, spesso esclusi dalle rappresentazioni ufficiali. Agli invisibili.

Il tema fondante non è tanto e solo l’archivio, ma il modo in cui l’archivio stesso è creato. Come i fantasmi, gli archivi manifestano qualcosa che in realtà non si vede. Per esempio, mai viene specificato esplicitamente che l’archivio è un riflesso del discorso dominante o di interessi specifici. Eppure, dice l’artista, un archivio, e il modo in cui viene creato, incarna esattamente questo. Il fatto che esistano numerosi film, testi e fotografie realizzati dai coloni e pochi, se non nessuno, da soggetti coloniali, dimostra quale sguardo e quale eredità sono considerati sufficientemente importanti da preservare.

Il sublime maschile e femminile

L’estetica del film di partenza, secondo la regista, sembrava provenire direttamente dalla storia dell’arte e dalle idee dominanti sul “sublime”. Ecco perché ha dichiarato di aver deciso di realizzare Suliman, dove esamina il concetto occidentale e maschile del sublime e lo rimette discussione.

“L’impegno più costante del sublime femminile è quello di sostenere”. Paula Albuquerque

“Il sublime maschile, o sublime standard”, dice, “vede il mondo come qualcosa di incomprensibile e quindi anche come qualcosa che deve essere controllato. Tutto sarebbe in attesa di dominio. Ciò si traduce anche nel modo in cui ci si avvicina e si tratta la natura e le persone. Si dice, per esempio, che le donne siano più vicine alla natura e che gli abitanti nativi delle ex colonie siano completamente legati a essa. Contrariamente a questa idea tradizionale, il sublime femminile si avvicina al mondo non come a un insieme di elementi separati da costringere in una camicia di forza, ma come a qualcosa di intrinsecamente prezioso. Quando si osserva il mondo in questo modo, la distinzione tra soggetto controllante e oggetto controllato scompare. Ciò che ne deriva è l’urgenza di prendersi cura e sostenere il mondo, piuttosto che dominarlo”.

Un inno al femminile spesso lasciato da parte.

Fantasmi

C’è poi un parallelismo incredibile tra i fantasmi e i popoli (ex) colonizzati. Da un lato, è sorprendente come ai fantasmi vengano attribuiti certi stereotipi razziali e di genere. D’altro canto, i fantasmi incarnano una certa posizione sociale e sono presenze che si manifestano in modo tangibile “infestando”, ma sono altrimenti invisibili.

In questo modo, anche gli ex sudditi coloniali e i loro discendenti sono presenti nella società e ne garantiscono il funzionamento, ma allo stesso tempo vengono messi a tacere, come se fossero meno rilevanti o non esistessero affatto.

Questa è l’idea centrale di Siluman. Il narratore chiama le donne che ancora oggi continuano a lavorare nelle piantagioni di palma da olio indonesiane Buruh Siluman, ovvero lavoratrici fantasma. Queste donne sono Buruh Siluman perché sono considerate irrilevanti, invisibili. Questo fenomeno attuale affonda chiaramente le sue radici negli stereotipi del passato, in parte perpetuati dai film coloniali. Le immagini di popolazioni indigene silenziose e senza nome, considerate incivili, pietose e sporche, continuano a vivere. Sono vecchie di secoli, ma continuano ad avere un’influenza evidente e quotidiana.

“Da questa prospettiva”, continua Albuquerque, “per me è particolarmente importante dare a questi spiriti, i Buruh Siluman di allora e di oggi, l’opportunità di manifestarsi, ritraendoli in modo più rispettoso e dando loro voce. L’infestazione deve poter aver luogo. Nei miei film spero di dare loro questa opportunità, senza ripetere la violenza dell’archivio”.

Estetica glitch

Albuquerque adotta un’interessante estetica glitch (la glitch art è la pratica che consiste nell’utilizzare degli errori digitali o analogici a fini estetici) e un montaggio sperimentale per decostruire le immagini originali, creando un’esperienza visiva che invita lo spettatore a riflettere sulle terribili e dimenticate implicazioni del colonialismo e sulla rappresentazione delle identità subalterne.

Gli effetti glitch ricreano un’atmosfera e una sensazione di quei sottili effetti di sfondo che disturbavano la visione dei video sui vecchi monitor a tubo catodico.

Il film si inserisce, poi, nel contesto del found footage, utilizzando materiali preesistenti, del girato di repertorio, per generare nuove narrazioni e significati.

Quindi…

Siluman è, in sintesi, un’opera che sfida le convenzioni del cinema tradizionale, offrendo una critica incisiva al colonialismo e alle sue (solite) rappresentazioni. Attraverso l’uso innovativo del materiale d’archivio, Paula Albuquerque invita lo spettatore a riconsiderare la storia e le narrazioni dominanti, dando spazio alle voci spesso silenziate.

È in forte discussione, quindi, la legittimità degli archivi che creano stereotipi sociali, ancora presenti nel tessuto sociale contemporaneo.

Albuquerque mette in luce la natura ideologica del film originale e restituisce la sovranità perduta agli “spiriti” delle popolazioni indigene. Una dura critica all’onnipresenza della sorveglianza e una forte attenzione all’impatto dell’invisibile.

Paula Albuquerque

È un’artista e ricercatrice portoghese (nata in Galles, nel 1974, di madre mozambicana e padre indiano) con sede ad Amsterdam, nota per il suo lavoro sperimentale che esplora le intersezioni tra immagini d’archivio, colonialismo, sorveglianza e rappresentazioni marginalizzate. Ha conseguito una laurea in Arti Visive presso la Gerrit Rietveld Academie e un Master in Belle Arti presso il Sandberg Institute di Amsterdam. Successivamente, ha ottenuto un dottorato in Ricerca Artistica presso l’Università di Amsterdam. Attualmente, è Senior Researcher presso la Gerrit Rietveld Academie e Assistant Researcher all’Universidade Nova de Lisboa, collaborando con l’EYE Film Museum e la Cinemateca Portuguesa. Tra le sue opere più recenti: Like the Glitch of a Ghost (2023), Colonised Landscapes and Spectral Deterritorialised Flora (2024).

 

 

Siluman - Stealth, Invisible, Ghostly, Phantom-Like. Gli invisibili

  • Anno: 2024
  • Durata: 24'
  • Genere: documentario
  • Nazionalita: Olanda
  • Regia: Paula Albuquerque