Si è conclusa la 24esima edizione del Trieste Science+Fiction Festival. Un’edizione ricca di novità, che testimonia il concretizzarsi degli sforzi di un Festival ogni anno sempre più in espansione. Chi lo vive per la prima volta si stupirà dell’eterogeneità dei suoi spettatori e dell’accoglienza che questa splendida kermesse fantascientifica riserva ai suoi ospiti.
All’interno della bellissima Sci-Fi Dome, una cupola trasparente dal cui interno è possibile ammirare il centro cittadino dallo splendido gusto mitteleuropeo, abbiamo avuto l’occasione di scambiare due chiacchiere con Francesco Ruzzier, responsabile da anni della comunicazione del Festival.
Cliccando qui è possibile visitare il sito ufficiale del Festival.
La storia del Trieste Science+Fiction Festival
Francesco, per iniziare vorrei approfondire con te la storia del Trieste Science+Fiction Festival. Quando è nato, come è nato, ma soprattutto perché un Festival dedicato al cinema fantascientifico proprio a Trieste?
In realtà il legame tra la città e la fantascienza ha veramente radici molto profonde. Giusto per intenderci, lo scorso anno, quindi nell’edizione del 2023, abbiamo festeggiato 60 anni di fantascienza a Trieste. Il motivo è che un tempo, per quasi un ventennio, dal 1963 al 1982 la città ospitò lo storico e visionario Festival internazionale del film di fantascienza, che si teneva al Castello di San Giusto, con i film proiettati all’aperto d’estate. Da un certo punto di vista il Trieste Science+Fiction Festival, che vede la sua edizione zero nel 2000, riporta in vita quello storico Festival. Quest’anno siamo alla 24esima edizione, il prossimo anno spegneremo venticinque candeline, per cui, in realtà, il legame tra Trieste e la fantascienza è un legame vivo e che va avanti da tantissimo tempo.
Tra l’altro, secondo me, è molto interessante vedere come quest’anno ospitiamo la cinquantesima edizione di Italcon, che è il convegno del fantastico italiano. Un appuntamento annuale, dedicato alla letteratura di fantascienza, che, per l’appunto, torna romanticamente a Trieste, la città che gli diede i natali nel 1972, alla sua cinquantesima edizione. Diciamo che, quello tra la fantascienza e la città, è un rapporto che va avanti veramente da tantissimo. Inoltre, bisogna tenere in considerazione che Trieste è una città che ospita veramente tantissime realtà scientifiche. Come si può evincere dal nome stesso del nostro Festival, “Science+Fiction”, la componente scientifica, per noi, è sempre stata un aspetto fondamentale da tenere in considerazione.
Un Festival che sa come parlare alla propria città, e non solo
Questo legame con la storia e la cultura della città, in cui il Festival è ospitato, mi sembra evidente fin dai primi minuti in cui vi ci si mette piede. L’aria che si respira è unica, condivisa e partecipata. Quanto è importante per voi il dialogo con la comunità triestina e come riuscite a coltivarlo?
Per noi il dialogo con Trieste è importantissimo, soprattutto per quanto concerne gli eventi collaterali. Lavoriamo veramente con tantissime realtà del territorio. Praticamente tutti gli eventi sono realizzati in collaborazione con qualche realtà locale e non solo. Il legame con la città non solo ci fornisce un appoggio insostituibile, ma ci permette di espanderci continuamente, di allargare anche il nostro sguardo. Se resti sempre fisso e focalizzato soltanto su quello che vedi tu, è difficile anche ampliare i propri orizzonti. Quindi, appunto, la collaborazione con le altre realtà della città, per noi, è assolutamente fondamentale e necessaria.
Penso che andando in sala a vedere i film, si respiri molto la presenza di una community di persone molto legata alla manifestazione. Persone che partecipano attivamente, che si sentono elemento integrante del programma. Però, ecco, credo che il nostro pubblico, per fortuna, non si limiti a essere soltanto della città di Trieste. Mi sembra che sia sempre di più in espansione, con persone che vengono a trovarci da tutta Europa.
Una cupola è atterrata sulle strade del centro
Una delle novità di questa edizione riguarda uno spazio allestito nel centro di Trieste: la Sci-Fi Dome. Spazio che rispecchia senza ombra di dubbio la volontà di portare il Triesta Science+Fiction Festival sempre di più nelle strade stesse della città. Cosa ci puoi raccontare a riguardo?
Esatto. Abbiamo deciso di affidarci a questa nuova struttura un po’ fantascientifica, posta in Piazza della Borsa, proprio perché volevamo entrare in contatto diretto col centro della città. Trieste non è una location così ricca di situazioni e spazi. Non fornisce molti ambienti adatti a organizzare quella tipologia di eventi collaterali che potessero andare bene a noi. Ci siamo rimboccati le maniche e ci siamo messi un po’ a far ricerca, per riuscire effettivamente a creare qualcosa che fosse immediatamente assimilabile al nostro Festival. A qualcosa di “alieno” che atterra letteralmente in città.
La scelta è ricaduta su questa struttura che ha ospitato moltissimi eventi collaterali, che ci hanno permesso di lavorare con la fantascienza in ogni sua forma possibile. Siamo andati dalla divulgazione scientifica ai videogiochi e agli incontri letterari. Ma non ci siamo fermati qui. La Sci-Fi Dome ha ospitato anche concerti, feste e sperimentazioni di video arte. Veramente, ci sono state molte esperienze alternative, che ci hanno permesso di entrare in contatto magari con un pubblico più generalista, che solitamente non ci conosce. Questo ha influito anche sull’affluenza in sala, perché moltissime persone hanno trovato qui i nostri programmi, ci hanno scoperto e poi si sono presentate alle biglietterie del Rossetti e del Miela. Uno spazio che si è rivelato vincente e che ci ha permesso di costruire un programma molto, molto ricco.
La filosofia dietro la selezione del Trieste Science+Fiction
Ora entriamo sempre di più nell’ambito prettamente cinematografico. Avete presentato molti film, sia di finzione che documentari, che parlano di intelligenza artificiale, ma anche veri e propri inni alla libertà, utopie e distopie, per non parlare poi di opere recanti un’irresistibile nostalgia verso l’immaginario degli anni Settanta e Ottanta. C’è stata una linea particolare che avete voluto perseguire e mantenere in fase di programmazione?
Allora, l’idea è sempre quella comunque di provare a mettere assieme gli sguardi più diversi. Cercare di assemblare il programma più eterogeneo possibile, sia per quanto riguarda la selezione dei film, che per quanto concerne quella degli eventi collaterali. Chiaramente, come dicevi tu, quello dell’intelligenza artificiale è stato un po’ un filo rosso che ha collegato più sezioni diverse, a partire poi dal poster, realizzato per noi da Zero Calcare che sicuramente comunque già affrontava il tema abbastanza di petto. Quello dell’intelligenza artificiale è un po’ quell’elemento che rende il nostro quotidiano a tratti una distopia e per altri versi un’utopia fantascientifica.
Poi ha sicuramente ha senso quello che dici tu, un po’ di film “nostalgici” ci sono stati durante questa edizione. Nel senso che alcune opere guardano al futuro, servendosi di un occhio citazionista rispetto al passato e, a noi, piace. Uno dei nostri intenti è riuscire ad assemblare vari sguardi: c’è chi guarda al passato per immaginare il futuro, e chi, invece, guarda direttamente al futuro e ci proietta istantaneamente nel mondo di domani.
Trieste Science+Fiction: la fantascienza arriva da tutto il mondo
Andando sempre più nello specifico. Secondo te, mettendo da parte gli USA, di cui un po’ tutti conosciamo il potere produttivo, quali sono le realtà geografiche che oggigiorno regalano sguardi fantascientifici più interessanti?
Quest’anno, giusto per dare un’idea, abbiamo selezionato tantissimi film francesi, però anche questo, in realtà, dipenda sempre dalle annate. Una curiosità di questa edizione è che ci sono in programma due film che vengono da Singapore. Avere due film da un Paese con una produzione limitata, come Singapore, è veramente qualcosa di strano. Noi da sempre amiamo proporre sguardi magari da paesi solitamente meno battuti, perché chiaramente da lì arrivano delle intuizioni più inaspettate, a cui siamo meno abituati. Sempre per rimanere in tema, vorrei citare l’esempio di Flow, un film del giovanissimo Gints Zibalodis, nato in uno studio lituano, che abbiamo visto al Festival di Cannes. Alla prima visione siamo rimasti folgorati. Si tratta di un film d’animazione senza dialoghi e rappresenta sicuramente quel tipo di sguardo inaspettato e abbastanza diverso da quelli che potremmo definire i canoni estetici del cinema hollywoodiano.
Ogni festival ha i suoi riti
C’è una domanda che chiunque venga al Trieste Science+Fiction Festival si porrà sicuramente. Prima delle proiezioni nelle sale del Rossetti e del Miela accade qualcosa di veramente esilarante. Dal pubblico vengono urlate, a modo di botta e risposta, due frasi, che con il tempo catturano chiunque: “raggi fotonici” e “alabarde spaziali”. Come è nato questa specie di “rito”?
È nato dal pubblico. Praticamente un anno, ti direi, se non sbaglio, 2012 o 2013, uno degli spot che lanciavamo come sigla prima delle proiezioni aveva un attore che urlava “raggi fotonici!”, però noi non l’abbiamo mai pensato come “urlo di battaglia”. Invece il pubblico fu di tutt’altro avviso. Noi abbiamo scelto di alimentare l’onda e poi, con il tempo, è nato un movimento di “controcultura” che invece ha voluto andare sulle “alabarde spaziali”. Quindi, sì, ci sono queste due simpatiche correnti, nate spontaneamente dal pubblico, che animano i minuti pre-proiezioni e che a noi piace, ovviamente, cavalcare!
Non tutti possono dire di essersi ritrovati tu per tu con una leggenda
Per chiudere in modo romantico la nostra conversazione, non resta che domandarti: qual è il ricordo che, ancora oggi, al solo pensiero, ti riempie di emozione?
Per me è veramente molto difficile trovarne uno. Ci sono stati tantissimi momenti che porto nel profondo del mio cuore. Però, forse, a uno in particolare mi sento molto legato. Durante la prima edizione in cui ho lavorato da volontario al festival, nel 2009, se non sbaglio, ho spinto la carrozzina dove stava Christopher Lee, gli ho tolto la giacca, e ho avuto anche modo di parlarci. Insomma, questo è stato il mio primo approccio con il Festival, ed è piuttosto indimenticabile.