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Trieste Science+Fiction Festival

Trieste Science + Fiction: “Heavens: The Boy and His Robot” di Rich Ho

Da Singapore un memorabile, “autarchico” kolossal che omaggia le grandi saghe robotiche

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Evviva i robottoni!

Non ha vinto premi, all’ultima edizione del Trieste Science + Fiction Film Festival. E del resto per un film come Heavens: The Boy and His Robot, votato al più scanzonato intrattenimento, sarebbe stato quantomeno azzardato ipotizzare il contrario. Ma per noialtri questa temeraria “operazione nostalgia” portata avanti da Rich Ho, regista di Singapore, rende costui una sorta di “vincitore morale” della kermesse triestina incentrata sulla fantascienza cinematografica.
Sarà giudicato forse un po’ eccentrico, il nostro punto di vista, ma all’interno di un festival che con esiti più o meno brillanti ha privilegiato racconti labirintici sui viaggi nel tempo, grida d’allarme nei confronti del “cambiamento climatico”, produzioni cinematografiche dal timbro decisamente serio se non addirittura serioso, questo tributo talmente basico, sfacciato e volendo un po’ infantile alle saghe fantascientifiche (perlopiù animate e di produzione giapponese) di una volta, in cui sono potenti robottoni guidati da giovani piloti a scontrarsi tra loro, è un qualcosa che ci ha fatto letteralmente sognare.

Nel segno di Gundam?

All’inizio della proiezione una breve didascalia, che è praticamente un saluto del donchisciottesco cineasta orientale, ci avverte di come Rich Ho abbia impiegato svariati anni per portare a compimento questo suo sogno, che è diventato strada facendo il nostro sogno. Del resto ci risulta che il film-maker singaporiano, oltre ad essersi autoprodotto il film, firmi qui regia, sceneggiatura, fotografia e colonna sonora, dopo aver inoltre collaborato con un team comprendente Steve Sexton, Grant Lovering e Michael Majchrzak per la messa a punto degli effetti speciali, peraltro notevoli.
Tutto questo sfoggio di CGI, per raccontare cosa? Sull’autarchico kolossal Heavens: The Boy and His Robot sembra aleggiare lo spirito delle saghe robotiche disegnate sullo schermo da Go Nagai, ma ancor più quelle di Yoshiyuki Tomino. Mobile Suit Gundam (con tutte le sue filiazioni), in particolare. Non a caso l’ambientazione del lungometraggio di Rich Ho corrisponde a un futuro in cui la Terra è al centro di guerre galattiche tra un governo centrale e le varie colonie disseminate nello Spazio, Marte in primis. L’attenzione si focalizza da subito sull’addestramento e sulle prime missioni del giovane pilota Kai, un “figlio d’arte” (sia il padre che la madre si sono sacrificati, in tempi diversi, per la difesa della Terra) capace di gettare il cuore oltre l’ostacolo, essendo dotato di una mente particolarmente creativa ma di un fisico non all’altezza, pur di sviluppare quella forte connessione simbiotica necessaria a pilotare Little Dragon, il robottone che i comandanti del Mecha Corps gli hanno assegnato. Le difficoltà potranno apparire all’inizio insormontabili. Ma poiché tra ragazzo e robot viene a crearsi un rapporto davvero speciale, sarà il nemico a vedere i sorci verdi…

Un’avventura spaziale magnifica… e in parte “spensierata”

L’humus, quindi, è lo stesso di certe storiche serie animate giapponesi. Nel rapportarvisi, però, in modo piacevolmente ludico, Rich Ho ha saputo coniugare brillantemente lo smalto visivo dei combattimenti (specie nella sua dimensione scenografica, la computer grafica è sempre di grande effetto, come pure nella descrizione di quei giganti d’acciaio simili ad antichi Samurai) con un umorismo diretto e sanguigno, il cui bozzettismo di fondo diventa irresistibile allorché l’attenzione si concentra sui buffi compagni d’addestramento di Kai o sullo strampalato rapporto tra robottone e ragazzo.
Certo, i puristi della fantascienza “impegnata” storceranno un po’ la bocca, di fronte a un futuro per certi versi “apocalittico”, in cui alla faccia di cambiamenti climatici presunti o reali, guerre devastanti e blocchi planetari in competizione tra loro, almeno la vita in campagna sulla Terra pare quella di sempre. Però per i “discorsi seri” ci si può “tranquillamente” rifugiare in altre visioni. Ciò che regala Heavens: The Boy and His Robot è ben differente. E quella voce femminile sui titoli di coda, che potrebbe anche essere quella della madre di Kai data per dispersa nello Spazio anni prima, ci aiuta a sperare che il regista di Singapore voglia farci sognare ancora…

 

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